Storia

Le radici del ‘900

📍1. Che cos’è la società di massa?

Che cosa intendiamo quando parliamo di società di massa?

Parliamo della nostra società. Infatti nella società attuale si è realizzata una diffusione di massa dei prodotti di consumo.

In altri termini, nella societò di massa si verifica il fenomeno del “pieno”, le città sono “piene di gente”, le strade anche, le case anche.

La massa è dunque un insieme omogeneo in cui i singoli individui scompaiono rispetto al gruppo, nuovo e più importante soggetto politico e civile.

Nella società di massa i cittadini vivono nei grandi agglomerati urbani, a stretto contatto tra di loro.
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Sono state le trasformazioni politiche, economiche e culturali della seconda rivoluzione industriale a produrre una società co uniformata e omogenea.

Alcuni hanno visto in questa trasformazione un momento positivo di affermazione della democrazia; altri un processo di appiattimento delle personalità.

Con la terza rivoluzione industriale la società di massa si diffonderà in tutto il pianeta dando luogo a un fenome che non è solo economico, ma anche politico e culturale: la globalizzazione.

Alla fine dell’Ottocento solo Francia, Germania e Svizzera prevedevano nei loro ordinamenti il suffragio universale maschile.

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In Italia l’introduzione del suffragio universale maschile avvenne nel 1912.

Si andò dunque ad affermare il modello del partito politico di massa, come forma di partecipazione popolare all’organizzazione politca dello Stato.

Contemporaneamente ai partiti di massa, sorsero organizzazione sindacali a livello nazionale.

Lo sciopero era lo strumento di lotta che utilizzavano per dare più forza alle rivendicazioni operaie.


La diffusione su larga scala dei beni di consumo rese più comoda la vita di molte famiglie.

Si diffusero anche i mass media, come i quotidiani, la radio e la televisione.

Fu proprio la stampa quotidiana e periodica a incrementare maggiormente la produzione e la vendita.

Nell’economia assunse un ruolo importantissimo il terziario, cioè la produzione di servizi: commercio, banche, ospedali ecc.

Anche il mondo della scuola subì un mutamento sostanziale: l’istruzione non venne più considerata un bene elitario, ma un’opportunità da offrire a tutti i cittadini.

La scuola venne organizzata e finanziata dallo stato.


📍2. Il dibattito politico e sociale.

il dibattito ideologico che si era sviluppato per tutto il corso dell’Ottocento aveva fatto propri i temi della riflessione politica settecentesca: i limiti del potere dello Stato e i diritti dei cittadini.


Nel corso dell’Ottocento all’interno del movimento socialista si impose la tendenza marxista, che individuava nella rivoluzione lo strumento del riscatto del proletariato.

In tutti i Paesi sorsero i partiti socialisti.

Il primo a formarsi e il più importante fu l’SPD, il Partito Socialdemocratico Tedesco.

I partiti socialisti europei, nonostante le diverse caratteristiche, erano uniti da alcuni obiettivi comuni: tutti auspicavano il superamento del sistema capitalistico e la gestione sociale dell’economia.

Tutti facevano capo a un’organizzazione erede di quella Prima Internazionale Socialista.


La nascita della Seconda Internazionale Socialista sorse nel 1889, quando i principali partiti socialisti si riunirono a Parigi per approvare alcune importanti deliberazioni: la limitazione della giornata lavorativa di otto ore e la proclamazione di una giornata mondiale di lotta per il primo maggio di ogni anno.

A dominare ideologicamente la Seconda Internazionale fu il marxismo.

Progressivamente però si delinearono due tendenze all’interno dei partiti:

  • Quella socialdemocratica che rifiutava la rivoluzione ponendo in luce la necessità di un’azione democratica e riformista da parte delle classe operaria.
  • Quella rivoluzionaria che non rinunciava all’obiettico individuato da Marx: una società senza classi da raggiungere attraverso una rivoluzione violenta.

L’interprete principle della tendenza socialdemocratica fu Eduard Bernstein.

L’interprete principle della tendenza rivoluzionaria fu Karl Kautsky.


In Francia ebbe origine un’altra tendenza al’interno del movimento operaio, ch eprese il nome di sindacalismo rivoluzionario.

I sindacalisti francesi insistevano sulla necessità di addestrare le masse operarie alla lotta, più che sulle conquiste economiche dei lavoratori.

Georges Sorel fu l’interprete più autorevole ed esaltò la violenza proletaria.


Leone XIII fu caratterizzato dalla ricerca di una proposta sociale coerente con il messaggio evangelico.

Questa ricerca si concretizzò nel 1891 con la Rerum Novarum, contenente:

  • denuncia degli eccessi del capitalismo: viene ribadita la condanna al liberalismo.
  • condanna delle teorie socialiste e colletivistiche che sostengono l’abolizione della proprietà privata.
  • invito allo Stato a intervenire per rimuovere le cause che possono esasperare il conflitto tra operai e padroni.
  • condanna della lotta di classe ed esortazione alla collaborazione tra padroni e operai.


Solo nel 1919 il non expedit sarà completamente abrogato e i cattoliti potranno dar vita a un loro partito: il Partito Popolare Italiano fondato dal sacerdote Luigi Sturzo.


La rivoluzione industriale portò le donne nelle fabbriche.

Nell’industria la donna era doppiamente discrimanta, sia perchè a parità di lavoro percepiva un salario minore, sia perchè era esclusa dalle funzioni dirigenziali e di responsabilità.

Nacquero in Inghilterra e negli Stati Uniti i primi movimenti delle suffragette, così chiamate perchè rivendicavano l’estensione del suffragio alle donne.

Si può sintetizzare la protesta di quei tempi con le parole de Il pane e le rose, la canzone di lotta delle donne americane.


📍3. Nazionalismo, razzismo, irrazionalismo

L’idea di nazione si affermò in Europa nella prima metà dell’Ottocento.

A partire dal 1850 essa assunse sempre più un carattere reazionario e militaresco, fino a diventare ideologia di guerra durante il primo conflitto mondiale.

Il nazionalismo si diffuse in tutta Europa assumendo caratteristiche a seconda dei contesti:

  • Il nazionalismo tedesco ebbe come programma il pangermanesimo;
  • Il nazionalismo italiano rivendicò per l’Italia le terre ancora irredente, come il Trentino.


Il razzismo consiste nel ritenere che esistano razze superiore e inferiori, e che la razza superiore abbia il diritto - dovere di sottomettere quella inferiore.

Questa terioa ebbe il suo precursore nel francese Joseph Arthur de Gobineau.


Tra Ottocento e Novecento anche il contestò culturale mutò: al positivismo subentrò l’irrazionalismo, caratterizzato dalla volontà di andare al di là della scienza. (Freud, Nietzsche, …)

In generale si affermò un’atmosfera di crisi in contrasto con l’ottimismo positivistico, un nuovo clima culturale che si è soliti definire decadentismo.


📍4. L’invenzione del complotto ebraico.

Un caso particolare di razzismo è quello che attribuisce agli Ebrei caratteristiche morali negative e in particolare la pervicace volontà di comandare sulle razze superiori: poichè gli Ebrei non avrebbero le qualità morali e fisiche per diventare una razza dominante, gli ambienti antisemiti hanno ritenuto che questo potese accadere soltanto con l’inganno e con attività segrete.

A questo scopo comparvero i Protocolli dei Savi di SIon, un libretto che presenta un piano ebraico per il dominio del mondo.

I Protocolli sarebbero nati per volontà del capo della polizia segreta russa come propaganda destinata a giustificare la politica antiebraica del suo Paese.


📍5. Il sogno sionista.

Il sentimento di diversità e l’antisemitismo giocarono un ruolo determinante per la nascita del movimento sionista.

Fu la Russia la vera culla delle prime forme di sionismo.

Nel 1896, Theodor Herzl espresse il suo progetto di riunificazione degli Ebrei della diaspora in una nazione ispirata agli ideali democratici dei movimenti patriottici europei del primo Ottocento.

Per alcuni anni l’Organizzazione Sionista Mondiale fu impegnata nel lavoro diplomatico per ottenere ufficialmente dalla Turchia la possibilità per gli Ebrei di stanziarsi in Palestina.

Ma la Turchia rifiutò.

In realtà, mentre si discuteva su quale dovesse essere la terra per gli Ebrei, la colonizzazione della Palestina era già in atto.

Tuttavia solo una minoranza di Ebrei scelte la Palestina; infatti la maggior parte di coloro che lasciarono l’Europa si diresse verso l’America.


Età giolittiana e Belle époque

Il nuovo secolo sembrò dare l’avvio a un’epoca di pace e benessere.

Le scoperte e le invenzioni si susseguivano senza sosta.

Malattie un tempo terribili diventarono curabili.

Il periodo che va dalla fine dell’Ottocento al 1914 è stato chiamato Belle époque, l’epoca bella per eccellenza.

Una definizione curiosa se si pensa che si trattò di un’epoca in cui si diffusero pericolosamente il nazionalismo e il razzismo ed esplosero nelle relazioni internazionali contraddizioni tali che portarono alla strage del 1914-18.

Belle époque per ricordare la sperimentazione artistica e la vita brillante nelle grandi capitali europee simboleggiata dal locale più alla moda di Parigi, Moulin rouge.

E’ quindi fuorviante leggere il periodo a cavallo fra i due secoli in modo esclusivamente ottimista o drammatico.

Esistevano Stati che puntavano tutto sulla potenza militare.

Anche l’aumento delle spese militari venne considerato come l’inevitabile premessa di un conflitto o come uno strumento deterrente nei confronti di una guerra.

Il nazionalismo e il razzismo avrebbero presto manifestato tutta la loro pericolosità.


Durante quest’epoca numerosi intellettuali rifletterono sulla grande novità politica rappresentata dalla massa.

Nel 1895 venne pubblicato il saggio Psicologia delle folle dello psicologo Gustave Le Bon.

L’originalità dell’opera consisteva in una acuta e preveggente capacità di analisi delle motivazioni, spesso irrazionali, del comportamento delle folle.

La seconda rivoluzione industriale aveva indotto grandi utamenti, per Le Bon la dinamica storica non era mossa dai rapporti economici di produzione, ma dalle opinioni e dalle credenze.


Le Bon afferma che la politica del suo tempo aveva assunto caratteri decisamenti diversi rispetto al passato: era la nuova religione delle masse.


📍2. I caratteri generali dell’età giolittiana

Nel 1901 il re Vittorio Emanuele III nominò presidente del conglio Giuseppe Zanardelli.

Lo affiancava come ministro degli Interni, Giovanni Giolitti.

Giolitti era un uomo pratico, moderato, esperto conoscitore della macchina burocratica statale.

Zanardelli lasciò che fosse Giolitti a prendere le decisioni più importanti e quando rassegnò le dimissioni fece sì che Giolitti stesso gli subentrasse come Primo ministro.

Dal 1901 al 1914 si parla di età giolittiana.

In realtà Giolitti non resse il governo per tutti questi anni: faceva parte del suo modo di far politica l’abbandonare nei momenti di crisi il potere nelle mani di uomini di fiducia. In questo modo continuava la propria opera. Una volta dimostrata l’incapacità di amici e avversari, tornava al governo.


L’età giolittiana coincide con il decollo della rivoluzione industriale.

I progressi più evidenti si registrarono nell’industria siderurgica e nell’industria elettrica e meccanica.

Queste industrie aveveano sede soprattutto nel cosidetto triangolo industriale, formato da Torino, Milano e Genova.


L’industria italiana fu fortemente aiutata nel suo nascere dall’intervento statale.

Particolare rilievo ebbero le varie commesse statali nel campo dei trasporti ferroviari.

La politica protezionistica attuata con l’imposizione di alte tasse sui prodotti esteri, favorì notevolmente lo sviluppo delle industrie del Nord Italia mentre danneggiò il Mezzogiorno.


Lo sviluppo industriale portò notevoli miglioramenti nel livello medio di vita degli italiani.

I segni più evidenti di questo straordinario sviluppo si videro nelle città.

La popolazione però si spostò in grande misura dalle compagna alle città, di conseguenza la vita delle cità comportò nuovi disagi per gli abitanti e soprattutto per quelli delle classi operaie costretti a vivere in quartieri generalmente sovraffollatti.


In questo contesto economico e sociale si svolse l’azione politica di Giolitti.

Egli elaborò un suo piano di riforme, allo scopo di allargare la partcipazione alla vita dello Stato italiano, coinvolgendo in particolare il Partito socialista italiano.

All’interno del Partito socialista italiano si erano formate due correnti: quella riformista e quella massimalista.

I riformisti ritenevano che si dovesse cambiare la società gradualmente, attraverso le riforme.

I massimalisti, guidati da Benito Mussolini, ritenevano che per cambiare la società fosse necessario ricorrere alla rivoluzione, senza scendere a patti con i governi borghesi.


📍3. Il doppio volto di Giolitti

L’azione di governo di Giolitti fu caratterizzata da una profonda contraddizione.

Il suo modo di far politica venne definito del “doppio volto”:

  • Un volto aperto e democratico nell’affrontare i problemi del Nord;
  • Un volto conservatore e corrotto nello sfruttare i problemi del Sud.


Per quanto riguarda il Nord, Giolitti assunse un atteggiament olungimirante verso le nuove forze sociali; egli infatti consentì gli scioperi e fece assumere al governo una posizione di neutralità di fronte ai conflitti sindacali.

Ma Giolitti non si limitò a consentire gli scioperi, varò nel contempo alcune riforme che migliorarono le condizioni di lavoro degli operai:

  • Orario di lavoro diminuito, massimo di 10 ore.
  • Cassa nazionale per l’invalidità e la vecchiaia dei lavoratori.
  • Maternità delle lavoratrici e il lavoro dei fanciulli.

La lotta sindacale portò all’aumento dei salari dei lavoratori che poterono così cominciare ad acquistare non solo prodotti alimentari, ma anche prodotti industriali.

Nel Nordo si andò diffondendo quel benessere economico tipico della società di massa.


Altri interventi si ebbero nel campo ferroviario, con la statalizzazione delle ferrovie.

Nell’età giolittiana però non venne affrontata la questione meridionale, ovvero il drammatico ritardo del Sud rispetto al Nord.

Anzi, nell’età giolittiana il divario del Paese crebbe.

Gran parte del flusso di denaro che arrivò al Sud alimentò clientele e corruzione.

Il Sud per Giolitti era un semplice serbatorio di voti da controllare in modo spregiudicato.


I salari dei lavoratori del Sud, a causa della scarsa offerta di lavoro e della sovrabbondanza di manodopera, scesero enormemente, portando in tutto il Meridione povertà e disoccupazione.

L’emigrazione fu un fenomeno doloroso, che tuttavia portò un po’ di ricchezza nelle terre più povere.

Chi lavorava all’esterno mandava parte della propria paga (rimesse) in italia.


📍4. Tra successi e sconfitte.

Giolitti ritenne opportuno riprendere la politica coloniale per due principali motivi:

  • Voleva dimostrare ai nazionalisti che il suo era un governo in grado di aumentare il prestigio internazionale dell’Italia.
  • Voleva accontentare l’opinione pubblica che riteneva fosse necessario conquistare nuove terre.

Giolitti cambiò obiettivo: non più l’Etiopia ma la Libia.

Nel 1911 l’Italia dichiarò guerra alla Turchia che dominava la Libia.

L’esercito occupò subito le principali città, ma dopo i primi successi iniziarono le difficoltà.

Non riuscendo a piegare la resistenza libica, l’Italia attaccò direttamente la Turchia, occupando alcune isole delle Sporadi che andarono a formare il dominio italiano nel Dodecaneso.

I Turchi firmarono nel 1912 il Trattato di Losanna con il quale cedevano all’Italia il dominio sulla Libia.


L’avventura coloniale comportò notevoli spese a cui non corrispose affatto la creazione di grandi opportunità per gli emigranti italiani.

La Libia infatti non era quella terra fertile e rigogliosa come veniva descritta.


La principale riforma democratica dell’età giolittiana fu l’approvazione, nel maggio 1912, di una nuova legge elettorale, che introduceva il suffragio universale maschile.

Con questa legge furono ammessi al voto i cittadini maschi che avessero compiuto il trentesimo anno d’età.

Per accedere al voto all’età di ventuno anni era invece necessario aver adempiuto gli obblighi del servizio militare o saper leggere e scrivere.


Il Non expedit venne in parte ammorbidito da Pio X.

Non era ancora permesso costituire un partito cattolico, ma in tutto il mondo cattolico vi era un grande fermento.

Nel 1913 Giolitti stipulò con l’Unione elettorale cattolica, presieduta dal conte Filippo Gentiloni, un accordo: il Patto Gentiloni. I cattolici promettevano di votare quei candidati liberali che avessero sottoscritto l’impegno di difendere la Chiesa.

Grazie a questo patto Giolitti riuscì a ottenere nuovamente la maggioranza.


La guerra in Libia aveva indebolito il governo di Giolitti. Molti erano coloro che criticavano il capo dell’esecutivo.

Giolitti preferì dare le dimissioni, pensava probabilmente che sarebbe stato richiamato al potere come era sempre successo.

Come suo successore indicò Antonio Salandra, un uomo politico conservatore.

Salandra però non seguì l’esempio di Giolitti nei confronti delle manifestazioni popolari.

Scoppiarono dei disordini che per la presenza dei socialisti presero il nome di settimana rossa. Salandra inviò l’esercito a reprimerli.

L’Italia tornava così a quel clima di tensione che aveva caratterizzato la crisi di fine secolo.

La situazione internazionale stava precipitando verso la prima guerra mondiale, Giolitti si opporrà, ma inutilmente.

L’età giolittiana era veramente finita.


La Prima Guerra mondiale

La prima guerra mondiale (1914-1918) ebbe varie cause, alcune delle ascrivibili a situazioni presenti in Europa da molto tempo.

Queste cause remote erano di carattere politico, economico e militare.

Le cause politiche riguardavano i contrasti fra gli Stati europei e alcuni problemi presenti al loro interno, come:

  • il desiderio di rivincita dei Francesi rispetto alla sconfitta subita dai Tedeschi.
  • la secolare rivalità tra Austria e Russia.
  • la presenza di due schiermanete di Stati contrapposti: la Triplice Alleanza (Germania, Austria, Italia) e la Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia).


Le principali cause economiche furono:

  • La rivalità economica fra la Gran Bretagna e la Germania, procovata soprattutto dalla rapida crescita industriale di quest’ultima.
  • La necessità per tutte le potenze industriali di espandere il proprio mercato e di garantirsi il rifornimento delle materie prime.


La scelta dei governi di dichiarare la guerra o di entrare nel conflitto in atto fu facilitata:

  • Dal dilagante nazionalismo;
  • dalle tesi razziste;
  • dall’applicazione del darwinismo;
  • dal fatto che molti giovani vedessero nella guerra l’unica possibilità di cambiamento.


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La scintilla scoccò il 28 giugno 1914, quando un nazionalista serbo uccise a Sarajevo l’erede al trono d’Austria, l’arciduca Francesco Ferdinando e sua moglie.

L’Austria il 23 luglio inviò alla Serbia un ultimatum che richiedeva entro 48 ore lo svolgimento di richieste umilianti.

Il governo serbo non poteva che respingerle.

Di conseguenza il 28 luglio l’Austria dichiarò guerra alla Serbia.


Immediatamente scattarono le clausole delle alleanze stabilite negli anni precedenti e, nel giro di appena due giorni, si passò a una guerra europea.

All’ordine di mobilitazione generale impartito all’esercito il 29 luglio dallo zar di Russia, rispose la Germania, che dichiarò guerra alla Russia e alla Francia, perchè si dava per scontato l’intervento di quest’ultima a fianco dell’alleato russo.

Le truppe tedesche diedero immediatamente attuazione al piano “Schlieffen”, attraversando il Beglio e il Lussemburgo per arrivare in Francia, determinando l’entrata in guerra della Gran Bretagna a fianco della Francia e della RUssia contro l’Austria e la Germania.

Solo l’Italia si dichiarò neutrale.


Il 31 ottobre entrava in guerra anche la Turchia, in appoggio degli imperi centrali.


📍2. L’Italia in guerra

Nell’agosto del 1914 il governo presieduto da Antonio Salandra proclamò la neutralità del nostroa PAese, appellandosi alle clausole della Triplice Alleanza.

Si formarono così due schieramenti contrapposti e, al tempo stesso, eterogenei al loro interno: i neutralisti e gli interventisti.


Fra i pareri favorevoli alla pace spiccava quelllo autorevole di Giovanni Giolitti, che voleva ottenere dall’Austria Trento e Trieste offrendo proprio la neutralità italiana.

Oltre ai liberali che si ispiravano al pensiero di Giolitti, era schierata contro la guerra la maggioranza dei socialisti.

Anche la maggior parte dei cattoliti rifiutava la prospettiva di guerra.

Lo stesso papa Benedetto XV aveva condannato ogni tipo di conflitto.


La posizione favorevole all’intervento in guerra era sostenuta soprattutto dai nazionalisti e dagli irredentisti, convinti che la violenza bellica fosse un segno di vitalità della nazione.

Fra gli intellettuali troviamo Gabriele D’Annunzio e Giovanni Papini.

Gli interventisti di destra avevano come obiettivo prioritario la liberazione di Trento e Trieste dal dominio austriaco.

Anche gli alti ufficiali dell’esercito e l’ambiente della corte intorno al re Vittorio Emanuele III vedevano nella guerra un’occasione per conseguire maggiore prestigio.

L’organo principale dell’interventismo di sinistra divenne ben presto il quotidiano diretto da Benito Mussolini, che era stato un importante dirigente del Partito Socialista.


Mentre nel Paese il dibattito pro o contro l’intervento assumeva toni sempre più accesi, il governo italiano agiva per via diplomatiche.

Il tentativo di ottenere dall’Austria il riscatto dei territori italiano fu inutile, perchè il governo austriaco intendeva attendere la fine del conflitto.

Il 26 aprile 1915, il ministro degli Esteri Sonnino sottoscrisse a nome del governo il Patto di Londra.

Il patto impegnava l’Italia a entrare in guerra nel giro di un mese e le garantiva, in caso di vittoria dell’Intesa, diversi territori; inoltre fu concordata la possibilità di partecipare all’eventuale spartizione delle colonie tedesche.

Il 3 maggio l’Italia uscì dalla triplice Alleanza.

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Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria - Ungheria.

📍3. La grande guerra

L’esercito italiano non era ancora pronto a sostenere un conflitto impegnativo.

Comandante supremo dell’esercito italiano fu nominato il generale Luigi Cadorna, che si distinse subito per la durissima disciplina imposta ai soldati.

Non si fidava dell’esercito di massa, formato da militari di leva, e ricorse a gravi punizioni per ogni mancanza.

Il generale Cadorna decise di portare un attacco frontale alle posizioni tenute dagli Austriaci.

Fra giugno e dicembre 1915 si svolsero le prime quattro battaglie dell’Isonzo.

Nel giugno del 1916 gli Austriaci scatenarono la Strafexpedition, la spedizione punitiva contro l’ex alleato ritenuto colpevole di tradimento.


Intanto i Tedeschi riuscirono a occupare importanti zone industriali della Francia e a controllare le attività produttive ed estrattive del Belgio.

All’inizio del 1916 i Tedeschi prepararono, contro l’esercito francese, un’offensiva che sfociò nella battaglia di Verdun.

Sin dall’inizio del conflitto la Gran Bretagna aveva attuato un blocco navale, al fine di impedire che ai porti tedeschi giungessero materie prime e derrate alimentari.


La prospettiva di una lunga durata della guerra faceva prevedere un aumento delle difficoltà economiche per gli imperi centrali.

Perciò, fin dal mese di febbraio 1917 i Tedeschi decisero di intensificare la guerra sottomarina, per bloccare tutti i rifornimenti ai Paesi nemici.

Particolare scalpore aveva già destato l’affondamento del transatlantico Lusitania.

Ciò spinse gli USA a entrare nel conflitto al fianco dell’Intesa (1917).

Il 1917 fu un anno decisivo per le sorti del conflitto, non solo per l’intervento degli USA.

Nel marzo il regime zarista russo fu rovesciato e sostituito da una repubblica, il governo provvisorio decise di proseguire la guerra.

Ma i Tedeschi riuscirono a penetrare nel territorio russo, perchè i soldati russi abbandonavano il fronte.

La situazione interna divenne sempre più confusa sino alla rivoluzione dell’ottobre 1917.

Il nuovo governo decise di uscire dalla guerra e avviò con gli imperi centrali le trattative di pace, che si conclusero con l’accordo di Brest-Litovsk.

La Russia fu obbligata a pesanti concessioni.


In seguito alla crisi della Russia, l’Austria e la Germania poterono spostare delle truppe sul fronte occidentale e su quello italiano.

Con un grande sforzo offensivo gli Austriaci, appoggiati dai Tedecshi, sfondarono le linee italiane a Caporetto.

Il generale Cadorna dovette lasciare il comando dell’esercito e fu sostituito dal generale Armando Diaz, che decise di sistemare una nuova linea sul fiume Piave.

Il nuovo comandante impose una disciplina meno rigida e ne curò meglio l’addestramento.Le ragioni militari della disfatta di Caporetto sono da ricercarsi in un’offensiva ben condotta da parte degli Austriaci, ma la sconfitta fu generata da motivi ben più profondi: dal clima di sfiducia e di disagio, peraltro comune a tutti gli Stati belligeranti, diffuso al fronte e nel Paese.

I soldati erano ormai logorati, nel fisico e nello spirito.

Il rifiuto della guerra si manifestava soprattutto in comportamenti individuali, come la diserzione, la fuga, la simulazione di malattie.


Anche le popolazioni civili, oltre ai combattenti, furono coinvolte nel conflitto.

Pesanti limitazioni della libertà personale, razionamento del cibo, rialzo dei prezzi, aumento dei carichi di lavoro.

Le industrie ebbero uno sciluppo imponente, finanziato dallo Stato.

In pratica tutta la popolazione fu militarizzata: non solo i soldati che combattevano e che costituivano il fronte esterno, ma anche le persone che lavoravano nelle fabbriche e che formavano il fronte interno.


Per mobilitare la popolazione i governi ricorserso massicciamente alla propaganda, rivolta alle truppe per sostenerne il morale, ma anche ai civili.

Vennero stampati in ernomi quantità manifesti e cartoline che esaltavano le doti e le vittorie del proprio esercito.


La Germania e l’Austria avvertivano sempre più chiaramente che il blocco economico, attuato dall’Intesa, impediva di prolungare ulteriormente lo sforzo bellico.

Il 29 settembre la Bulgaria si arrese; l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Iugoslavia si dichiararono indipendenti dall’Austria, che dovette subire la controffensiva italiana.

Il 29 ottobre 1918 l’esercito austriaco fu sconfitto nella battaglia di Vittorio Veneto e costretto alla ritirata.

il 3 novembre venne firmato l’armistizio che siglava la vittoria dell’Italia.

L’11 novembre l’imperatore Carlo I abdicò e venne proclamata la repubblica.

Anche la Germania a sua volta si preparò alla resa definitiva.

Il 9 novembre l’imperatore Guglielmo II lasciò il trono e anche a Berlino fu proclamata la repubblica.


📍4. L’inferno delle trincee

La prima guerra mondiale fu segnata dall’uso della trincea, un antichissimo sistema difensivo utilizzato nelle guerre di posizoine.

Si trattava di un fossato più o meno profondo.

I militari erano costretti a viverci in uno stato di tensione continua, esposti alle intermperie, dalle quali era ipossibile difendersi.

I combattenti dovettero sopportare condizioni estreme di vita.

Le condizioni igieniche erano pessime.

Frequenti e viruelente erano le epidemie.


Una delle caratteristiche peculiari del primo conflitto fu la tragica presenza della morte, con la quale i soldati dovevano costanetmente vivere.

Numerosi cadaveri di compagni e di nemici restavano nell’area compresa fra le opposte trincee per più giorni.

La loro resistenza nervosa era spesso messa a dura prova dai bombardamenti dell’artiglieria.

Il momento peggiore era però quello dell’assalto alle trincee dei nemici.

La paura non risparmiava nessuno.


📍5. La tecnologia al servizio della guerra

Oltre alle armi tradizionali, usate comunque con un dispiegamento mai visto, gli eserciti poterono utilizzare nuove armi e applicazioni tecnologiche messe a disposizione dai grandi progressi della scienza.

II mezzi che maggiormente sconvolsero i combattenti furono le armi chimiche.

Le necessitò belliche stimolarono lo sviluppo di settori industriali e scientifici di nascita recente.

Come ad esempio le autoambulanze, la radiofonia.


Un impatto più limitato ebbe l’utilizzo dell’aviazione.

Anche il carro armato fu scarsamente utilizzato.

Nella guerra navale fece la sua comparsa il sottomarino, furono i Tedeschi a utilizzarlo su grande scala.

Troviamo anche il dirigibile e la mitragliatrice.


📍7. I trattati di pace

I ministri dei Paesi vincitori si riunirono a Parigi il 18 gennaio 1919, in una Conferenza per la pace; i delegati degli Stati vinti furono convocati, a cose fatte, solo per la firma finale.

Il più importante protagonista fu Wilson per gli Stati Uniti e Orlando per l’Italia.

→ Quattordici punti di Wilson

La Francia puntava a indebolire la Germania per assumere una posizione dominante nel continente europeo.

La Gran Bretagna voleva evitare la rovina della Germania perchè temeva che la Francia divenisse troppo potente.


I trattati di pace furono firmati tra il 1919 e il 1920.

L’Italia ricevette dall’Austria il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia e Trieste.

Il primo ministro Orlando e il ministro degli Esteri Sonnino avevano chiesto anche i territori promessi col Patto di Londra, le altre potenze riteneva però che queste concessioni avrebbero violato il nono punto di wilson, il principio di autodeterminazione e si opposero alla richiesta.


Le reazioni ai trattati di pace furono particolarmente violente in Germania, ritenevano di essere stati sottoposti a condizioni troppo dure.

L’Italia non evve i vantaggi sperati e questo fatto causò il risentimento nei confronti degli alleati e grandi proteste, soprattuto da parte di nazionalisti e interventisti.

Furono infatti gli Stati Uniti i veri vincitori della guerra: divennero la prima potenza politica ed economica del mondo e i principali creditori degli Stati europei.


Cronologia essenziale prima guerra mondiale

1914

28 giugno: l'arciduca Francesco Ferdinando d'Austria viene assassinato a Sarajevo dal nazionalista serbo Gavrilo Princip.

28 luglio: dopo l'attentato di Sarajevo e un ultimatum caduto nel vuoto (23 luglio), l'Austria-Ungheria muove guerra contro la Serbia.

1 agosto: la Germania, alleata dell'Austria e dopo la mobilitazione delle truppe dello zar alla frontiera, dichiara guerra alla Russia.

2 agosto: i tedeschi mirano all'attuazione del Piano Schlieffen, che prevede l'apertura di un fronte occidentale contro la Francia: occupano il territorio del Lussemburgo e procedono verso il Belgio, violandone la neutralità.

3 agosto: dichiarazione di guerra della Germania contro la Francia, alleata della Russia; l'Italia, pur essendo alleata nella Triplice Alleanza di Germania e Austria, persiste nella scelta della neutralità.

4 agosto: anche la Gran Bretagna, alleata della Francia, dichiara guerra alla Germania.

6-13 agosto: le reciproche dichiarazioni di guerra (della Serbia e della Francia contro l'impero austro-ungarico e dell'Austria-Ungheria contro la Gran Bretagna) definiscono il confronto tra le forze della Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia, Impero russo) e della Triplice Alleanza (Austria-Ungheria, Germania e l'Italia per ora neutrale). Il 23 agosto il Giappone dichiarerà guerra agli Imperi centrali, ampliando la dimensione "mondiale" del conflitto.

agosto-settembre: le truppe tedesche registrano i primi successi, occupando Bruxelles sul fronte occidentale e bloccando l'avanzata dei francesi presso il Reno; sul fronte orientale, i generali Ludendorff e Hindenburg ottengono considerevoli vittorie sui russi a Tannenberg (17 agosto - 2 settembre) e ai Laghi Masuri (7 - 14 settembre).

12 settembre: i francesi bloccano l'avanzata tedesca nella prima battaglia della Marna; finisce la guerra di movimento (o "guerra-lampo" dal tedesco Blitzkrieg) e si passa alla guerra di trincea. Il comando delle truppe tedesche ad ovest passa da Von Moltke a Von Falkenhayn.

31 ottobre: anche l'Impero ottomano entra nelle ostilità, alleandosi all'Austria-Ungheria e alla Germania.

1915

26 aprile: dopo il fallimento delle trattative con l'Austria (cui l'Italia chiede compensazioni territoriali per entrare in guerra a fianca degli Imperi centrali) il governo italiano stipula segretamente e all'insaputa del Parlamento il Patto di Londra, con il quale l'Italia accetta di entrare in guerra di lì ad un mese alleandosi con la Triplice Intesa, ottenendo, in cambio di vittoria, il Trentino, l'Alto Adige, l'Istria, la Dalmazia (eccetto Fiume), la base navale albanese di Valona e il riconoscimento di sovranità sui possedimenti del 1912 nel Dodecaneso.

7 maggio: l'affondamento del transatlantico Lusitania, ad opera di un sottomarino tedesco, è il primo passo per l'entrata in guerra degli Stati Uniti.

24 maggio: dopo le pressanti manifestazioni di piazza dei nazionalisti - alla cui testa si pone Gabriele D'Annunzio - affinché l'Italia entri in guerra, si arriva alla dichiarazione formale di guerra contro l'Austria.

giugno-dicembre: le prime quattro battaglie dell'Isonzo (23 giugno-7 luglio; 18 luglio-4 agosto; 18 ottobre-4 novembre; 10 novembre-2 dicembre) lungo il fronte italo-austriaco portano minimi avanzamenti territoriali, ad un prezzo altissimo in termini di vite umane.

1916

21 febbraio: i tedeschi iniziano la controffensiva contro i francesi a Verdun. Si tratta di una delle  principali battaglie sul fronte occidentale, che vede contrapposti francesi e inglesi da una parte e tedeschi dall'altra in una logorante guerra di posizione dagli ingenti costi umani.

15-31 maggio: l'esercito austriaco dà il via alla Strafexpedition (cioè "spedizione punitiva") contro l'Italia per accerchiare le truppe schierate sull'Isonzo. Nonostante il grande impegno di uomini la spedizione fallisce.

31 maggio-2 giugno: scontro navale tra la flotta britannica e quella tedesca nella storica battaglia dello Jutland.

27 agosto: la Romania dichiara guerra all'Austria-Ungheria. Il giorno successivo l'Italia muove guerra contro la Germania e quest'ultima contro la Romania.

21 novembre: Carlo I d'Asburgo succede a Francesco Giuseppe.

1917

3 febbraio: gli Stati Uniti, in reazione alla guerra sottomarina tedesca, interrompono le relazioni diplomatiche e si preparano all'ingresso nelle ostilità.

12 marzo: nella Russia zarista, scoppia la "rivoluzione di febbraio" (secondo il calendario giuliano, è il 23 febbraio), che costringe Nicola II all'abidicazione e porta all'instaurazione di un governo provvisiorio.

2 aprile: gli USA muovono guerra contro la Germania.

(27 giugno: anche la Grecia entra in guerra, schierandosi contro Bulgaria, Germania, Austria-Ungheria, Impero Ottomano. Il 14 agosto la Cina dichiara guerra alla Germania e all'Austria-Ungheria, seguita il 26 dal Brasile.)

24 ottobre: le truppe austriache e tedesche sfondano il fronte italiano a Caporetto, causando notevolissime perdite all'esercito italiano e portando la linea dei combattimenti lungo il fiume Piave. Si tratta del momento più drammatico per l'Italia nel corso di tutto il conflitto.

6 novembre (24 ottobre nel calendario russo): con la "Rivoluzione di Ottobre" i bolscevichi prendono il potere e instaurano il Congresso dei Soviet.

8 novembre: dopo la disfatta militare di Caporetto, il generale Diaz sostituisce Cadorna, noto per i suoi duri metodi repressivi nei confronti delle truppe.

1918

8 gennaio: il presidente americano Woodrow Wilson presenta i quattordici punti il suo programma per l'assetto mondiale post-bellico.

3 marzo: con il trattato di Brest-Litovsk, la Russia comunista firma la resa verso gli Imperi centrali.

luglio-agosto: offensiva dell'Intesa lungo il fronte occidentale

24 ottobre-3 novembre: con un'offensiva sul Piave e sul Grappa le truppe italiane conquistano Vittorio Veneto. L'Austria-Ungheria , stremata e al collasso su tutti i fronti, chiede l'armistizio.

4 novembre: armistizio fra Italia e Austria-Ungheria.

11 novembre: con l'armistizio fra il resto degli alleati e la Germania, si conclude il primo conflitto mondiale. La Conferenza di pace di Parigi (18 gennaio 1919 - 21 gennaio 1920) e il Trattato di Versailles definiranno i nuovi assetti territoriali europei.


Il primo dopoguerra

📍1. I problemi del dopoguerra

Il nuovo assetto geopolitico creò in molti paesi europei una diffusa insoddisfazione. La Germania si sentiva umiliata da una pace che aveva ridotto notevolmente il suo territorio. Anche l’Italia riteneva di non essere stata ripagata a sufficienza poiché non le erano state riconosciute Fiume e la Dalmazia. Questo bastò ai nazionalisti per parlare di vittoria mutilata.

La società delle nazioni fu fondata a Ginevra nel 1920 e l’obiettivo era quello di costituire un’organizzazione in grado di risolvere attraverso la diplomazia i contrarsi tra gli Stati.

Chi non avesse rispettato le decisioni prese avrebbe subito sanzioni economiche o militari.

La Società delle Nazioni però non riuscì a garantire una pace duratura, per due cause:

La guerra aveva causato oltre 8 milioni di morti, ai quali vanno aggiunte le vittime di una terribile epidemia di influenza: la Spagnola. Tutto ciò determino un grave calo demografico.

Da un punto di vista economico l’Europa dovette affrontare una gravissima crisi. Un primo importante problema riguardava le strutture produttive, infatti la guerra aveva mobilitato l’intero sistema industriale dei Paesi coinvolti: la produzione di armi, navi, aerei e cannoni aveva richiesto uno sforzo senza precedenti negli investimenti economici e tecnologici. A guerra finita si trattava di realizzare la riconversione industriale, cioè di ritornare al normale tipo di produzione del tempo di pace. Non tutte le imprese però potevano permettersi questa riconversione e, per questo motivo, iniziarono a licenziare o a mantenere i salari bassi: si diffusero così povertà e disoccupazione. I debiti per le spese di guerra indussero i governi del conflitto a stampare nuova carta moneta, con la quale si innescò rapidamente l’inflazione. I prezzi aumentavano erodendo i risparmi e i salari di tutti i lavoratori dipendenti e di chi viveva con un reddito fisso. Fu in particolare il ceto medio a soffrire di questa situazione. L’economia europea era in ginocchio.

📍2. Il disagio sociale

La guerra aveva trasformato radicalmente anche la società. La generazione che aveva combattuto aveva vissuto un’esperienza senza eguali nella storia.

In Italia, per la prima volta, i ragazzi del sud si sono incontrati con quelli del nord, ritrovandosi a combattere nelle trincee. La guerra aveva causato la mobilitazione di milioni di uomini.

In questo senso aveva contribuito a creare una coscienza collettiva e aveva segnato il vero ingresso delle masse nella storia.

Il ritorno alla vita civile portò nuovi e aspri conflitti sociali: i sindacati e i partiti, consapevoli della propria forza, si organizzarono; i reduci di guerra chiesero un riconoscimento al loro impegno e un reinserimento nella società.

Inoltre:

La prima guerra mondiale influì anche sulla condizione sociale ed economica delle donne. Lo spostamento degli uomini al fronte portarono grandi cambiamenti nella struttura sociale offrendo nuove possibilità alle donne. Esse infatti entrarono nel mondo del lavoro in modo non paragonabile ai decenni precedenti: sostituirono gli uomini nelle fabbriche, negli uffici, alla guida dei trasporti e nei campi spesso con ruoli rilevanti e di responsabilità Oltre a svolgere lavori tradizionalmente destinati agli uomini, le donne poterono godere di migliori condizioni economiche: durante il periodo bellico, ad esempio, le fabbriche di armi corrispondevano alle donne un salario pari anche al doppio di quello che le lavoratrici ricevevano in tempo di pace. Il grande mutamento della figura femminile nella società influenzò anche la politica. Questo generale processo di emancipazione dal passato e dal ruolo passivo imposto dai maschi si concretizzò ad esempio nella conquista del diritto di voto alle donne. In molti Paesi il voto alle donne non venne concesso.

Il ritorno alla vita civile per coloro che avevano combattuto nell'inferno delle trincee non fu facile: i reduci passarono dalle immani privazioni e sofferenze subite nel corso del conflitto a uno stato di disoccupazione ed emarginazione sociale, giacché i sistemi produttivi nazionali erano in crisi e non più in grado di offrire lavoro a tutti. Molti giovani combattenti avevano trovato nel contesto della guerra un senso per la loro vita, forse anche qualche soddisfazione militare e un po' di prestigio. Il rientro a casa fu traumatico: trovarono una società cambiata, molti non ebbero più il lavoro e mal si adattarono alla piatta quotidianità civile. L'idea di aver rischiato la vita per la patria senza ottenere nulla in cambio creava insoddisfazione e risentimento in quei giovani che avevano passato anni in trincea. Il reinserimento dei reduci nella vita ordinaria fu così un problema di tutti i Paesi, e in genere le difficoltà finanziarie impedirono una soluzione soddisfacente.

I reduci erano uomini che avevano conservato la mentalità combattentistica, la fierezza del soldato, il cameratismo militare. Ovunque si riunirono in associazioni che assunsero un importante ruolo sociale e politico nel dopoguerra.

Nella società l'insoddisfazione era diffusa e molti aspiravano a un nuovo sistema politico che ponesse termine alla situazione di crisi. Tra il 1919 e il 1920, il disagio della popolazione si tradusse in tutta Europa in una lunga serie di scontri sociali. Gli operai nelle industrie, i contadini nelle campagne, i ceti medi nelle città avviarono una stagione di lotte e manifestazioni. I borghesi moderati erano preoccupati di una rottura rivoluzionaria del sistema vigente. La democrazia liberale vacillò, attaccata contemporaneamente dall'estrema sinistra e dall'estrema destra. Il disprezzo per le istituzioni parlamentari, giudicate troppo deboli, raggiunse un livello allarmante. Solo nei Paesi di antica tradizione liberale, come la Francia e l'Inghilterra, il sistema politico resse. Negli altri Stati dell'Europa, la crisi del dopoguerra aprì la strada a governi di tipo autoritario e alle dittature.

📍3. Il biennio rosso

Dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, una nuova preoccupazione rese ancora più pesante il clima delle democrazie europee. Il mito della rivoluzione, infatti, si diffuse e il modello del nuovo Stato comunista diventò per gli operai e i contadini europei un sogno realizzabile. Molti volevano «fare come in Russia»: abolire la proprietà privata e istituire la dittatura del proletariato. I conservatori di tutta Europa temevano il contagio rivoluzionario, considerando anche che il nuovo governo della Russia era attivamente impegnato nella diffusione del comunismo. Lenin e i bolscevichi, infatti, promuovevano la formazione di partiti comunisti in tutto il mondo. Questi partiti dovevano prendere le distanze dai socialisti democratici, rifiutare il sistema parlamentare-democratico e impegnarsi a realizzare una rivoluzione come quella russa. Lenin riteneva necessario riunire in un'unica organizzazione internazionale i «veri» socialisti rivoluzionari. Nel marzo 1919, quindi, sorse a Mosca la Terza Internazionale detta anche Comintern, cioè Internazionale Comunista. Lenin era convinto che in Europa ci fossero le condizioni per avviare una rivoluzione da estendere al mondo intero. Il Comintern avrebbe avuto il compito di coordinare e controllare il movimento comunista internazionale. Nel luglio 1920, si tenne a Mosca il Il Congresso dell'Internazionale Comunista. Lenin elaborò un documento in cui fissava in ventuno punti le condizioni per poter aderire al Comintern. L'adesione ai ventuno punti implicava una totale subordinazione dei comunisti europei al partito sovietico. Iniziò così una forte contrapposizione fra socialisti riformisti e comunisti che produsse la scissione all'interno di molti partiti socialisti. Tra il 1920 e il 1921, infatti, i socialisti rivoluzionari fondarono dei partiti comunisti in molti Paesi europei.

L'esperienza di massa della guerra, la crisi economica, il mito della rivoluzione, il desiderio di una società più giusta furono gli aspetti che contribuirono al rafforzamento delle organizzazioni del movimento operaio di tutta Europa. L'impegno nella vita politica, prima limitato a ristrette élites di notabili borghesi, si allargò alle masse di lavoratori, sempre più consapevoli della loro forza. I lavoratori europei si aspettavano un cambiamento radicale e soluzioni nuove. La partecipazione diretta acquistava maggior peso con le frequenti manifestazioni pubbliche, i comizi, le adunate, i cortei. Il movimento operaio chiedeva una società più giusta è più equa, rivendicava salari più alti, case a prezzi accettabili. I contadini volevano terre da coltivare. I partiti socialisti ottennero importanti successi elettorali mentre i sindacati raccoglievano il consenso dei lavoratori.

Tra il 1919 e il 1920 l'Europa fu toccata da un'ondata di scioperi e agitazioni operaie per l'aumento del salario e la giornata lavorativa di otto ore; quest'ultimo obiettivo venne raggiunto quasi ovunque. Questo periodo di lotte, chiamato biennio rosso, non si limitò a semplici rivendicazioni sindacali. Si voleva andare oltre: era in gioco il potere nello Stato e nelle fabbriche. Sorsero spontaneamente i consigli operai che, sul modello dei soviet russi, si presentavano come i rappresentanti del proletariato nella futura società comunista. L'intensità e le conseguenze delle lotte operaie di questi anni furono diverse nei singoli Paesi europei. In Germania, ancora prima della fine della guerra, i consigli degli operai e dei soldati avevano occupato le fabbriche e le sedi dei giornali. L'estrema sinistra della Lega di Spartaco, guidata da Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, non accettava la linea moderata del Partito socialdemocratico. Anche dopo la proclamazione della repubblica, le proteste continuarono in modo violento e giunsero ad autentici tentativi rivoluzionari. La disgregazione dell'Impero asburgico aveva ridotto l'Austria a un piccolo Stato dove nel 1919 venne proclamata la repubblica retta da un governo socialdemocratico. I comunisti, anche qui, tentarono di spingere il popolo alla rivoluzione, ma senza successo. In Ungheria, nel marzo 1919, socialisti e comunisti diedero vita a una Repubblica dei Consigli sul modello sovietico guidata dal comunista Bela Kun. Il progetto era di allargare quell'esperienza all'Austria, ma i comunisti ungheresi si trovarono isolati e il disegno fallì. Anche in Italia il biennio rosso mise in crisi il vecchio sistema politico; ma portò anche alla divisione del movimento operaio con la scissione del Partito socialista.

In Germania intervenne l'esercito, che arrestò e uccise i principali responsabili delle insurrezioni. In Italia l'iniziativa rivoluzionaria rifluì per lasciare progressivamente spazio all'affermazione del fascismo. In Austria la vittoria elettorale andò a conservatori e clericali, forti del sostegno delle masse contadine più reazionarie. In Ungheria, il fallimento della repubblica sovietica lasciò il potere alla controrivoluzione guidata da Miklós Horthy. Horthy eliminò fisicamente l'opposizione comunista e instaurò il primo regime autoritario dell'Europa del dopoguerra (agosto 1919).

📍4. Dittature, democrazie e nazionalismo

La crisi politica ed economica degli anni Venti e Trenta apri la strada a cambiamenti politici radicali in gran parte del mondo. In Europa la crisi del dopoguerra contribuì alla nascita e alla diffusione di dittature e di regimi totalitari. Tra gli Stati più importanti, solo Francia e Gran Bretagna ressero alla crisi: in questi Paesi le classi dirigenti riuscirono a controllare il pericolo rappresentato dalle frange massimaliste dei partiti socialisti, che prospettavano rivoluzioni imminenti, e a garantire la stabilità politica entro il sistema parlamentare e democratico. Anche in questi Stati, tuttavia, vi fu una forte affermazione delle forze moderate e conservatrici. Nel resto d'Europa, invece, la fragilità del sistema parlamentare non resse alla spinta delle forze che premevano per una svolta autoritaria. Come abbiamo visto, l'Ungheria fu il primo Paese in cui si sperimentò l'autoritarismo di destra. Nel 1922, Mussolini andò al governo in Italia e in pochi anni organizzò un regime dittatoriale che fu assunto come modello da molti altri Paesi.

Nel primo dopoguerra, la Francia fu guidata da governi di centro-destra. Solo nel 1924 la vittoria del «cartello delle sinistre» portò al governo, per un breve periodo, i radicalsocialisti. Dal 1926 al 1929 il Paese fu guidato da Raymond Poincaré, capo dei moderati. Alla fine della guerra, anche la Gran Bretagna attraversò una crisi economica e sociale molto grave. Il tradizionale primato economico inglese era passato agli Stati Uniti. Inoltre, le nuove tecnologie e l'uso del petrolio avevano ridotto il consumo di carbone di cui la Gran Bretagna aveva il monopolio produttivo in Europa. Le conseguenze di questa situazione furono circa 2 milioni di disoccupati e un impero coloniale che cominciava a vacillare. Negli anni Venti, i lavoratori dell'industria e del settore minerario avviarono una lunga fase di agitazioni sindacali e politiche. Nel 1924 ci fu anche una prima esperienza di governo laburista (guidato cioè dal partito inglese di ispirazione socialista). I conservatori, tuttavia, conquistarono il potere e attuarono una politica di rigore finanziario e di contenimento dei salari che scatenò la protesta dei lavoratori. Nel 1926 ci fu infatti una grande ondata di scioperi. In particolare furono i minatori a condurre una lotta sindacale che si protrasse per molti mesi senza ottenere risultati a causa dell'irrigidimento del governo.

Il 29 ottobre 1923 in Turchia venne proclamata la repubblica. Kemal ne divenne il presidente e la capitale fu trasferita ad Ankara. Il prestigio di Kemal era immenso, per questo venne soprannominato Atatürk, il «padre dei Turchi». Secondo Atatürk, uno Stato civilizzato era innanzitutto uno Stato laico: per questo voleva liberare la Turchia dall'islam, che considerava in parte responsabile del ritardo nella modernizzazione del Paese. Atatürk chiuse le scuole religiose e le comunità monastiche a cui confiscò i beni. A queste iniziative si accompagnò uno sforzo per laicizzare la società e la cultura. Soppresse la poligamia e assicurò alle donne l'uguaglianza completa in materia ereditaria. Nel 1934 le donne ottennero il diritto di voto e molte entrarono in Parlamento. L'insegnamento religioso scomparve a poco a poco dal sistema scolastico controllato dallo Stato. Infine Atatürk sostituì i caratteri arabi con l'alfabeto latino, il calendario dell'egira con quello gregoriano; il giorno di riposo settimanale divenne la domenica al posto del venerdì musulmano.

📍5. Le colonie e i movimenti indipendentisti

Francia e Inghilterra dovettero fronteggiare anche la crescita dei movimenti indipendentisti e nazionalisti nelle colonie, in Africa e in Asia. Le popolazioni coloniali rivendicarono una maggiore autonomia e una partecipazione nell'amministrazione dei rispettivi Paesi. L'estensione dei movimenti anticolonialisti fu determinata essenzialmente da questi motivi: -reparti militari coloniali avevano partecipato alla guerra a fianco dell'Intesa, dando prova di lealtà: a guerra finita si aspettavano come ricompensa una maggiore autonomia;

La crisi del dopoguerra provocò una ristrutturazione dell'immenso impero coloniale inglese: nella sostanza, la Gran Bretagna rinunciò a parte del controllo politico per garantirsi invece un dominio economico. Le colonie britanniche vennero organizzate in forme diverse. I dominions, le colonie con una forte componente di popolazione bianca - cioè Canada, Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica - ottennero nel dopoguerra una crescente autonomia politica. Nel 1931, con lo Statuto di Westminster, il Parlamento inglese li riconobbe come Stati sovrani. I dominions entrarono quindi a far parte del Commonwealth, cioè di una libera associazione di comunità autonome senza alcun rapporto di subordinazione, unite dalla comune fedeltà alla corona britannica e legate all'ex madrepatria da forti vincoli di carattere economico. Oltre al Commonwealth, la Gran Bretagna deteneva altri possedimenti in Africa, in Asia e nel Pacifico: si trattava di colonie vere e proprie, di protettorati o di mandati. Su questi territori vi fu soprattutto un controllo economico finalizzato essenzialmente a creare un'area commerciale privilegiata all'interno dell'impero coloniale. In Egitto, ad esempio, nacque un regno autonomo, ma la Gran Bretagna controllava il Canale di Suez e si riservò il diritto di mantenere delle truppe. In Iraq (su cui aveva il mandato della Società delle Nazioni) e in Arabia Saudita, gli Inglesi mantennero il controllo dei pozzi petroliferi. Il punto critico era rappresentato dall'India, dove nel dopoguerra si sviluppò un consistente movimento nazionalista guidato da un uomo di grande prestigio, Mohandas Karamchand Gandhi, che iniziò una lunga lotta, all'insegna della «non violenza», per l'indipendenza indiana. Fra i territori che la Gran Bretagna ottenne in mandato rientrava anche la Palestina. In quest'area s'andavano ponendo le basi dei drammatici conflitti arabo-israeliani che sono giunti sino ai giorni nostri. Cresceva infatti il numero dei coloni ebrei che emigravano in Palestina con l'obiettivo di fondarvi uno Stato ebraico (sionismo).

La politica attuata dai governi francesi verso le colonie fu molto diversa da quella britannica. L'atteggiamento del governo mirava infatti ad assimilare le colonie in una «grande Francia». Questa politica centralistica generò numerose opposizioni sia in Medio Oriente, dove la Francia aveva ottenuto il mandato dalla Società delle Nazioni sulla Siria e il Libano, sia in Africa settentrionale. In Marocco, in Tunisia e soprattutto in Algeria si diffusero movimenti anticolonialisti di vario orientamento: sia democratico-socialista, sia religioso (di matrice islamica), sia nazionalista. Alle richieste di autonomia il governo francese reagì sempre con una dura repressione. Anche in Indocina, negli anni Venti, si formò un movimento che rivendicava maggiore partecipazione alla vita politica.

Negli anni della prima guerra mondiale l'America Latina passò sotto l'influenza degli Stati Uniti. Durante la guerra, infatti, i Paesi europei ridussero i loro investimenti, lasciando spazio a quelli statunitensi. Si trattava di finanziamenti ai governi e alle banche o di investimenti diretti in imprese industriali nel settore ferroviario, minerario, petrolifero. Anche negli scambi commerciali gli Stati Uniti soppiantarono l'Europa; in alcuni settori operarono addirittura in regime di monopolio. Tra i Paesi latinoamericani e gli Stati Uniti si instaurò un rapporto di forte dipendenza economica che condizionò anche i sistemi politici. In alcuni casi, nell'area centramericana, gli Stati Uniti ricorsero anche all'intervento militare per proteggere i loro interessi. Di maggiore autonomia godevano invece gli Stati più ricchi del Sud America - come il Brasile, l'Argentina e il Cile - che nel corso della guerra avevano avviato un processo di industrializzazione e di sviluppo economico. Era però uno sviluppo fragile perché poggiava essenzialmente su investimenti stranieri. La grande crisi economica del 1929 evidenziò la fragilità dell'area latinoamericana. Il protezionismo degli Stati Uniti e dell'Europa rallentò notevolmente le importazioni di prodotti dall'America del Sud. Le difficoltà economiche crearono tensioni sociali e condizioni di instabilità politica che nel corso degli anni Trenta favorirono, anche in quest'area, l'affermazione di regimi autoritari. Si trattava di governi dittatoriali e populisti, simili ai fascismi europei, che si insediarono in Argentina, Brasile, Cile.

Un caso particolare di populismo è rappresentato dal Messico dove nel 1910 scoppiò una rivoluzione che pose termine alla quarantennale dittatura del generale Porfirio Díaz. Nel novembre del 1910, infatti, un proprietario liberale del Nord, Francisco Madero, si mise alla testa di un movimento insurrezionale a cui si unirono gruppi di contadini guidati da Pancho Villa ed Emiliano Zapata. Fu l'inizio della rivoluzione messicana che, un anno dopo, costrinse all'esilio il dittatore Díaz e portò alla presidenza della Repubblica Madero. Gli anni successivi furono segnati così dalla guerra civile tra conservatori e radicali; questi ultimi erano sostenuti dai contadini. Uccisioni, colpi di Stato e rivalità fra i diversi leader politici caratterizzarono questa fase della rivoluzione fino alla sconfitta di Villa e di Zapata. Alla presidenza fu allora eletto Venustiano Carranza, un militare, già seguace di Madero, che nel 1917 promulgò la Costituzione. Si trattava di una Costituzione molto avanzata, democratica, fondata sulla laicità dello Stato e sul riformismo sociale, destinata però a essere completamente disattesa: nel 1920, infatti, Carranza fu deposto e ucciso da uno dei suoi generali. Fino al 1934 così il Messico fu retto da governi militari e autoritari. In questo modo si consolidò nel Paese il modello populista, caratterizzato dal partito unico al potere e dalla tendenza a manipolare dall'alto la partecipazione popolare.


L’Italia tra le due guerre: il fascismo

📍1.

Il 18 gennaio 1919 nella reggia di Versailles si apri la conferenza di pace tra le potenze vincitrici della prima guerra mondiale. La posizione dell'Italia era particolarmente delicata e causò aspri contrasti, Secondo il Patto di Londra l'Italia avrebbe dovuto ottenere la Dalmazia, lasciando la città di Fiume agli Austriaci. Il nuovo Stato iugoslavo però rivendicò la regione dalmata, in nome del principio di nazionalità. La delegazione italiana guidata dal presidente del Consiglio Vittorio Emanuele Orlando e dal ministro degli Esteri Sidney Sonnino mantenne un atteggiamento incerto e ambiguo. Il governo italiano pretese con forza il rispetto del Patto di Londra, ma contemporaneamente, proprio in base al principio di nazionalità, cercò di ottenere anche l'annessione di Fiume, città abitata in prevalenza da Italiani. Gli alleati contrastarono queste prese di posizione. Fu particolarmente intransigente il presidente americano Wilson che non era vincolato da nessun patto. Il 24 aprile l'Italia lasciò la riunione per protestare contro l'arroganza del leader americano. Wilson decise allora di rivolgersi direttamente agli Italiani facendo pubblicare un appello per sostenere la soluzione proposta dagli Americani, minacciando altrimenti di far cadere l'intero Patto di Londra. Il 29 maggio la delegazione italiana fu costretta a ritornare al tavolo del negoziato per non rischiare di perdere anche quel poco che le spettava.

Il governo Orlando si dimise a metà giugno e fu eletto presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti, un economista di orienamento liberale democratico. Nitti si trovò immediatamente ad affrontare il malcontento dell'opinione pubblica borghese che fu rappresentato dalle sempre più frequenti manifestazioni dei nazionalisti e dagli atteggiamenti provocatori di Gabriele D'Annunzio. Il governo fu accusato di incapacità nel tutelare gli interessi nazionali e lo stesso D'Annunzio fu l'artefice di un'impresa clamorosa: l'occupazione della città di Fiume nel settembre del 1919. Il governo Nitti, dopo una prima reazione, si limitò a deplorare a parole l'impresa e fece assai poco per sedare la ribellione. Anche a causa delle incertezze di Nitti, nel 1920 tornò al governo Giolitti che s'impegnò da subito per risolvere la crisi iugoslava. Infatti, firmò il Trattato di Rapallo: la Iugoslavia ottenne la Dalmazia, all'Italia fu assegnata l'Istria. Fiume divenne uno Stato libero e indipendente.

Le conseguenze sociali ed economiche della guerra furono particolarmente pesanti per uno Stato giovane e fragile come quello italiano:

Le prime vittime di questa situazione furono proprio quei ceti sociali che avevano costituito fino ad allora la struttura portante dello Stato italiano: la piccola e media borghesia e i piccoli proprietari terrieri.

La lira perse quasi il 40% del suo valore, mentre il costo della vita aumentò di tre volte.

Questa situazione causò risentimento e malcontento soprattutto in quei piccoli e medi borghesi che in guerra avevano ricoperto ruoli di comando e speravano di ottenere in patria maggior prestigio sociale.

Durante la guerra più volte era stata utilizzata la promessa della «terra ai contadini» per incitare le masse rurali a resistere. Nel 1914 l'Italia era un Paese ancora prevalentemente agricolo: il 55% della popolazione lavorava la terra. Per comprendere la drammatica situazione delle campagne, bisogna avere ben presente la struttura della proprietà agraria. I 9/10 dei proprietari possedevano soltanto un ettaro di terreno, un'estensione troppo piccola anche per un'agricoltura di sussistenza. Molti piccoli proprietari quindi erano costretti ad affittare i fondi dai medi e grandi proprietari, oppure a lavorare come braccianti. Questa attività in particolare era molto faticosa, mal retribuita e caratterizzata da una continua precarietà. Era dunque diffusa una gran fame di terra da coltivare, soprattutto da parte di chi, tornato a casa, aveva trovato i propri terreni ormai improduttivi perché trascurati a causa della lunga assenza.

Grazie alle commesse di guerra l'apparato industriale italiano aveva incrementato la produzione. Lo dimostra chiaramente la crescita del numero dei lavoratori impiegati. Era cambiata anche la fisionomia del vecchio Stato liberale, divenuto il primo cliente delle grandi industrie siderurgiche e meccaniche e allo stesso tempo un importante distributore di impieghi. La nuova ricchezza era finita soprattutto nelle mani di pochi speculatori che avevano vissuto la guerra come un grande affare. Chi aveva rischiato la vita nelle trincee, invece, fu in prima linea anche nel subire le pesanti conseguenze economiche della guerra: in Italia come altrove, infatti, la necessità della riconversione della produzione determinò una crescente disoccupazione. In un simile contesto divennero sempre più aspre le lotte sociali. Tra il 1918 e il 1920 la Confederazione Generale dei Lavoratori (CGL) aumentò considerevolmente il numero dei propri iscritti passando da 250 000 a 2200 000. Nel 1918 venne fondata la CIL (Confederazione Italiana dei Lavoratori), sindacato d'ispirazione cattolica. Per la prima volta si poteva parlare in Italia della presenza di masse operaie, in buona parte specializzate, consapevoli del proprio ruolo sociale e agguerrite nel portare avanti le rivendicazioni sindacali.

La situazione sociale ed economica italiana divenne esplosiva. Gli scioperi si moltiplicarono con una crescita esponenziale di adesioni

In questo movimento molto composito si affacciò anche il cosiddetto «bolscevismo bianco», rappresentato da gruppi di militanti cattolici che proponevano soluzioni non molto diverse da quelle dei socialisti.

Le lotte ottennero qualche risultato sia per i contadini sia per gli operai che scioperavano per il carovita:

Nel 1919 la scena politica italiana fu caratterizzata da importanti elementi di novità. Don Luigi Sturzo fondò il Partito Popolare Italiano (PPI) che segnò il coinvolgimento diretto dei cattolici nella vita politica dell'Italia. Il PPI riuscì in poco tempo a proporsi come partito di massa, saldamente ancorato alla realtà sociale. Laico, non confessionale, costituzionale e non classista: questi furono i pilastri su cui don Sturzo fece crescere il PPI, secondo lo spirito della dottrina sociale della Chiesa. E inizialmente non mancò l'appoggio delle gerarchie ecclesiastiche che temevano l'avanzata del Partito socialista.

L'altro importante fatto politico avvenuto nel 1919 fu la nascita del movimento chiamato Fasci di combattimento, fondato da Benito Mussolini. Si collocò politicamente a sinistra, battendosi per radicali riforme sociali. Il manifesto politico dei Fasci fu chiamato programma di San Sepolcro. In campo sociale i fascisti proposero il minimo salariale, la giornata lavorativa di otto ore e la gestione dell'impresa estesa anche ai rappresentanti dei lavoratori. Inoltre si battevano per un'imposta progressiva sul capitale e per l'estensione del voto alle donne. In breve tempo, però, Mussolini si sbarazzò di questo programma e il movimento si caratterizzò soprattutto per l'aggressività verbale dei suoi membri e la violenza della loro condotta, sia nei confronti dei socialisti che della classe dirigente liberale.

📍2. Il biennio rosso in Italia

Nel novembre del 1919 si tennero delle elezioni che rivoluzionarono il quadro politico italiano. Innanzitutto venne utilizzato per la prima volta il sistema proporzionale voluto dai socialisti e dai popolari per una maggiore democratizzazione della vita politica.

Ebbero la meglio quindi i due grandi partiti di massa, meglio organizzati e radicati nella società italiana:

Questi risultati elettorali non riuscirono a dare stabilità al Paese, anzi ne acuirono le difficoltà.

Nel 1920 la protesta fece un ulteriore salto di qualità passando all'occupazione delle fabbriche. La loro intransigenza provocò un crescendo di tensione: i sindacati proclamarono uno sciopero bianco, gli operai cioè entravano in fabbrica ma non lavoravano; gli industriali allora dichiararono la chiusura degli stabilimenti. In agosto scattò infine l'occupazione delle fabbriche, guidata dai sindacati rossi mentre i sindacati cattolici, poco organizzati nel settore metallurgico, rimasero estranei alla protesta. Tra i gruppi rivoluzionari più attivi e preparati si distinse quello torinese raccolto intorno alla rivista «l'Ordine Nuovo», tra i cui fondatori vi fu anche Antonio Gramsci. La rivista aveva più volte indicato agli operai lo strumento rivoluzionario dei consigli di fabbrica per acquistare maggiore potere nel controllo delle aziende e nella società.

Nel giugno 1920 fu chiamato l'ormai ottantenne Giovanni Giolitti a sostituire il dimissionario governo Nitti, indebolito dalle lotte sociali e soprattutto dalla vicenda di Fiume. Nonostante le pressioni degli industriali, si rifiutò di utilizzare la forza per far sgombrare gli stabilimenti. Realizzò invece un'intelligente opera di mediazione e di riconciliazione tra CGL e industriali; gli operai ottennero aumenti salariali e la promessa, mai realizzata, di un possibile controllo sulla gestione delle aziende; in cambio sgomberarono le fabbriche.

Nonostante il successo elettorale e i risultati ottenuti con le lotte sindacali, il socialismo italiano era molto diviso al proprio interno. Per i massimalisti guidati da Giacinto Menotti Serrati la rivoluzione russa del 1917 divenne il modello da seguire, anche se la strategia per arrivare a un autentico moto rivoluzionario non era per nulla chiara. I riformisti contavano nelle proprie file personalità come Filippo Turati e Claudio Treves, in minoranza nel partito ma maggioritari nella CGL e nei comuni amministrati dai socialisti. Al Congresso di Livorno del gennaio 1921 le contraddizioni esplosero. Lenin stesso esercitò delle pressioni affinché fossero applicati i ventuno punti approvati dal Comintern nel 1920: in particolare chiese a Serrati di estromettere i riformisti. I massimalisti però non volevano giungere fino a questo punto; in tale contesto la corrente guidata da Gramsci e Bordiga si staccò dal Partito socialista e fondò il Partito Comunista d'Italia.

📍3. La marcia su Roma

Mentre le durissime lotte sociali del biennio 1919-20 avevano indebolito e deluso la maggior parte degli operai delle fabbriche, nelle campagne i contadini erano riusciti a ottenere risultati significativi. Le associazioni, contrattavano direttamente con i proprietari il numero di giornate lavorative necessarie per ogni campo e poi distribuivano il lavoro tra i loro iscritti. Questo sistema, all'apparenza solido, era caratterizzato in realtà da profonde divisioni tra i salariati, da una parte, che miravano alla socializzazione della terra e i mezzadri e i piccoli affittuari, dall'altra, che speravano invece di riuscire a diventare, prima o poi, proprietari terrieri.

Alla fine del 1920 Bologna era diventata il centro propulsore del movimento sindacale tanto che, alle elezioni amministrative del Comune, i socialisti ottennero una schiacciante vittoria. Il 21 novembre 1920, giorno dell'insediamento del Consiglio comunale a Palazzo d'Accursio, quando il sindaco si affacciò sulla piazza per salutare, partirono dalla folla dei colpi di pistola. I fatti di Palazzo d'Accursio segnarono la nascita del fascismo agrario. Fino all'autunno del 1920 il movimento fondato da Mussolini aveva avuto un ruolo ininfluente nelle vicende politiche nazionali. Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921 avvenne la svolta: fu accantonato il programma di San Sepolcro e vennero costituite formazioni paramilitari (le squadre d'azione) per intimidire e colpire duramente il movimento socialista. Lo squadrismo ottenne immediatamente l'appoggio finanziario della borghesia terriera desiderosa di una rivalsa, ma raccolse militanti soprattutto:

La tolleranza mostrata da molti politici liberali verso il fascismo fu dovuta soprattutto alla speranza di potersene servire per arginare le pretese del movimento socialista, innanzitutto, ma anche dei popolari. In questo senso si può comprendere la decisione di Giolitti di indire nuove elezioni il 15 maggio 1921 e di accettare la composizione di liste comuni (i blocchi nazionali) formate da liberali, gruppi di centro e fascisti. Giolitti puntava a un netto ridimensionamento dei socialisti e dei popolari ma i risultati elettorali non gli diedero ragione: il Partito socialista subì una lieve flessione (da 156 a 122 seggi), considerando anche la scissione del Partito comunista che ottenne 16 seggi; i popolari addirittura aumentarono i consensi (da 100 a 107 seggi). I blocchi nazionali ottennero 275 seggi, 35 dei quali andarono ai fascisti. La speranza dei liberali di riconquistare un saldo controllo del Parlamento fu delusa. Giolitti ne prese atto e rinunciò a guidare il governo che venne invece formato dall'ex socialista Ivanoe Bonomi. A questo punto al Congresso dei Fasci del novembre 1921 Mussolini decise di trasformare il movimento nel Partito Nazionale Fascista (PNF): era un altro passaggio della svolta moderata con cui cercava di proporsi sempre più come leader politico credibile e affidabile. Mussolini riuscì a limitarne la libertà d'azione, ma si rese anche conto di non poter fare a meno della capacità di proselitismo dei militanti più intransigenti.

Luigi Facta sostituì Bonomi dopo solo sei mesi di governo instabile e inconcludente. Il nuovo presidente del Consiglio avrebbe guidato il Paese fino all'ottobre 1922, appoggiato da una coalizione di liberali e popolari. Si trattava di un governo molto debole sia per la scarsa determinazione di Facta, sia per l'assenza di una profonda intesa tra le forze che componevano la maggioranza. Mussolini nel frattempo rimodellò abilmente il Partito fascista, modificandone significativamente il programma:

Queste nuove posizioni resero più presentabile e credibile il PNF come forza di governo. Mussolini comprese che era venuto il suo momento e decise di forzare i tempi. Il 24 ottobre 1922 riunì a Napoli migliaia di camicie nere in vista della marcia su Roma per assumere il potere con la forza. Quando venne informato dell'evento, Facta chiese al re Vittorio Emanuele III di firmare la proclamazione dello stato d'assedio che avrebbe permesso l'intervento dell'esercito. Il re, dopo qualche esitazione, rifiuto; il 28 ottobre le colonne fasciste entrarono nella capitale il 30 ottobre del 1922 Mussolini, giunto da Milano, dove si era trattenuto attendendo gli sviluppi della situazione, ricevette ufficialmente dal sovrano l'incarico di formare il nuovo governo.

📍4. La dittatura fascista

il 1922 e il 1924 Mussolini guidò un governo di coalizione costituito da fascisti, liberali, popolari (benché Sturzo fosse contrario) e altre componenti. Forte di questi appoggi, il 16 novembre 1922 Mussolini si presentò al Parlamento con un discorso arrogante che gli valse comunque 306 voti favorevoli. Per realizzare ciò che aveva promesso ai gruppi politici conservatori che lo avevano appoggiato, Mussolini abbandonò la politica economica di Giolitti che colpiva i profitti di guerra e sciolse le amministrazioni comunali in mano a socialisti e popolari; Ma tutte le opposizioni e una parte degli alleati chiedevano a Mussolini soprattutto la fine della violenza come arma di lotta politica e lo scioglimento delle squadre fasciste. A tale prospettiva si oppose con forza l'ala radicale del partito guidata da Roberto Farinacci. Mussolini decise allora di creare la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, legalizzando di fatto lo squadrismo e trasformandolo in forza armata del regime. Nel 1923 il governo Mussolini perse l'appoggio dei popolari che nel Congresso di Torino dello stesso anno approvarono la posizione antifascista di don Sturzo.

Negli anni 1922-24 Mussolini alternò un atteggiamento moderato, a richiami minacciosi verso una possibile seconda ondata rivoluzionaria. Tra i provvedimenti assunti in questo periodo merita ricordare:

Il 30 maggio del 1924 il deputato Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista unitario, pronunciò un coraggioso discorso alla Camera, denunciando i brogli e le violenze compiute dalle squadre fasciste in molti seggi elettorali. Il 10 giugno Matteotti venne rapito a Roma da un gruppo di squadristi e ucciso in auto a pugnalate. Il suo cadavere fu ritrovato solo due mesi dopo, in una macchia a pochi chilometri dalla capitale. Improvvisamente gran parte dell'opinione pubblica si risvegliò dal torpore degli anni precedenti e si rese conto delle responsabilità fasciste. Gli esecutori del delitto furono arrestati dopo pochi giorni, ma i mandanti non furono mai scoperti. Vi fu un crollo della popolarità di Mussolini e del suo partito, ma le opposizioni non riuscirono ad approfittarne, sia perché fortemente ridimensionate dalle elezioni, sia per le divisioni interne. Si formò così la cosiddetta secessione dell'Aventino: di fatto l'opposizione sperava che il re intervenisse ritirando la fiducia a Mussolini, ma il sovrano non assunse alcuna iniziativa.

Dopo pochi mesi l'ondata antifascista cominciò a placarsi e Mussolini comprese che era giunto il momento di contrattaccare. Il 3 gennaio 1925 in un discorso alla Camera, il duce si assunse la responsabilità «politica, morale e storica» di quanto era avvenuto, gettando le basi per l'instaurazione della dittatura: «Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Era l'annuncio degli arresti e delle restrizioni che in pochi giorni resero impossibile la vita dei partiti d'opposizione e dei loro organi di stampa. L'assassinio di Giacomo Matteotti segnò dunque la morte della democrazia liberale e l'affermazione della dittatura fascista.

📍5. L’Italia fascista

A partire dal 1925 il fascismo fece approvare una serie di leggi (dette «fascistissime») che segnarono formalmente la definitiva trasformazione del fascismo in una dittatura. Fu il giurista Alfredo Rocco a ispirare il nuovo quadro legislativo. Furono eliminate le autonomie locali e le elezioni comunali: la carica di sindaco fu abolita e sostituita da quella di podestà, nominato direttamente dal governo. Fu limitata la libertà di stampa e di associazione, mentre nel 1926 vennero sciolti tutti i partiti di opposizione e chiusi i giornali antifascisti. Vennero quindi dati ampi poteri alla polizia segreta, incaricata di individuare e arrestare gli oppositori. Fu istituito il Tribunale speciale per la difesa dello Stato (novembre 1926) che comminò decine di condanne a morte e oltre 28 000 anni di carcere.

Contemporaneamente alla riorganizzazione dello Stato, Mussolini si preoccupò anche della normalizzazione del partito. Fu tolta così la direzione del partito a Roberto Farinacci, squadrista della prima ora, tra i più radicali e violenti, e le cariche gerarchiche vennero assegnate direttamente da Mussolini. Il Partito fascista si riorganizzò in una struttura burocratica sottoposta localmente ai prefetti. Il vertice era rappresentato dal Gran Consiglio del fascismo, affidato alla presidenza di Mussolini, unico organo del partito in cui si discuteva collegialmente di linea politica. Nel 1928 la trasformazione dello Stato liberale in Stato totalitario fu completata con una nuova legge elettorale.

Il nuovo ruolo del partito può essere colto appieno nell'impegno profuso per organizzare il consenso nella società italiana, cercando di influire sui costumi, sulla mentalità e sulle attività quotidiane delle masse. Innanzitutto divenne obbligatorio possedere la tessera del partito per ottenere un posto nell'amministrazione pubblica o per conquistare promozioni e privilegi. l'Opera Nazionale Dopolavoro si occupava del tempo libero dei lavoratori proponendo gite, gare sportive e altre forme di animazione, mentre il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) stimolava e allo stesso tempo controllava le attività sportive, fino ad allora affidate a società private. Ma le organizzazioni più importanti furono i Fasci giovanili, i Gruppi Universitari Fascisti (GUF) e soprattutto l'Opera Nazionale Balilla (ONB). A quest'ultima associazione appartenevano i ragazzi fra gli 8 e 14 anni (detti balilla) e quelli fra i 14 e 18 anni (detti avanguardisti). I ragazzi venivano educati alla dottrina fascista e al culto di Mussolini con esercitazioni, marce e parate militari.

Il controllo dell'informazione fu attuato in maniera capillare. La stampa fu sottoposta a censura; i direttori di giornale non graditi al governo furono sostituiti. Nel 1927 venne fondato un ente radiofonico, l'EIAR (antenato della RAI) che si occupò della gestione di questo nuovo potentissimo mezzo di comunicazione. La radio si rivelò infatti uno strumento molto efficace per la diffusione delle informazioni che il regime voleva far conoscere agli Italiani. I discorsi di Mussolini furono ascoltati dai cittadini nei locali pubblici, nei luoghi d'incontro e nelle case proprio grazie alla radio. Dal 1926 i gestori delle sale cinematografiche vennero obbligati a proiettare i cinegiornali dell'Istituto LUCE, casa di produzione alle dirette dipendenze di Mussolini. Nel 1937 fu infine istituito il Ministero della Cultura Popolare (MINCULPOP) con l'obiettivo di controllare e orientare tutti gli aspetti della vita culturale italiana.

Le gerarchie ecclesiastiche pensarono fosse giunto il momento di chiudere lo storico contrasto che aveva segnato i rapporti fra lo Stato e la Chiesa fin dalla nascita del Regno d'Italia. Le trattative fra governo e Santa Sede cominciarono nel 1926 e si conclusero I'11 febbraio 1929 con la firma dei Patti lateranensi.

Il documento si componeva di tre parti:

Pio XI espresse soddisfazione per l'accordo raggiunto, riconoscendo che era stato «nobilmente assecondato» dal governo e pronunciando un giudizio su Mussolini di cui il Vaticano si sarebbe dovuto pentire: «E forse ci voleva anche un uomo come quello che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola liberale».

Don Sturzo, invece, commentò con amarezza la conciliazione tra Stato e Chiesa: Il sacerdote siciliano aveva ragione.

Nel 1931, infatti, il regime tentò di esautorare completamente l'Azione Cattolica dal compito di educare i giovani.

La prima fase (1922-1925) della politica economica fascista fu di stampo decisamente liberista, sotto la guida del ministro delle Finanze Alberto De Stefani. Furono concessi sgravi fiscali alle imprese e stimolata l'iniziativa privata con incentivi. I buoni risultati raggiunti però non furono sufficienti a fermare l'inflazione e a stabilizzare la moneta, uno dei fattori di maggior preoccupazione sia per il ceto medio risparmiatore, sia per gli investitori esteri. Così nel 1926 Mussolini decise di cambiare linea politica: nominò ministro delle Finanze Giuseppe Volpi e impostò la nuova politica economica sulla stabilizzazione della lira, adottando misure protezionistiche. Rimase famoso il discorso tenuto a Pesaro il 18 agosto 1926 sulla rivalutazione della lira: venne fissato l'obiettivo del cambio con la sterlina a 90 lire (nel 1925 ci volevano 150 lire per una sterlina), obiettivo raggiunto in poco più di un anno.

Uno dei primi importanti provvedimenti economici fu l'aumento del dazio sui cereali, accompagnato da una enfatica e insistente campagna propagandistica, la cosiddetta battaglia del grano. Questa avrebbe dovuto portare l'Italia a raggiungere l'autosufficienza nel settore dei cereali, aumentando la superficie coltivabile e migliorando le tecniche di coltivazione. In questo senso nel 1928 venne iniziato il progetto di bonifica integrale delle maggiori zone paludose italiane. Il progetto riuscì solo in parte, ma furono significativi gli interventi realizzati nell'Agro Pontino dove venne costruita la città di Littoria (oggi Latina). Fu questo il primo passo della politica dell'autarchia che caratterizzerà il fascismo degli anni Trenta, soprattutto a livello ideologico. La parola autarchia è di origine greca e significa «autosufficienza»: l'Italia, dunque, avrebbe dovuto essere in grado di produrre autonomamente ciò di cui aveva bisogno, evitando di dipendere dalle importazioni estere. In realtà tutte queste misure economiche ebbero costi sociali molto alti.

Per quanto riguarda i rapporti tra operai e imprenditori, il fascismo condannò lo sciopero e la lotta di classe, abolendo anche ogni libertà di contrattazione. Nell'ottobre del 1925 i sindacati fascisti e la Confindustria raggiunsero un'intesa che divenne poi legge nel 1926 e che prevedeva validità giuridica ai soli accordi stipulati dai sindacati fascisti. Questa posizione ideologica propagandata come «nuova» e distinta sia dalle idee socialiste sia da quelle liberali fu chiamata corporativismo. L'ordinamento corporativo fu enunciato in modo ufficiale dalla Carta del lavoro del 1927: tutti i settori della produzione avrebbero dovuto organizzarsi in corporazioni, ovvero organizzazioni composte da lavoratori e padroni appartenenti allo stesso settore economico, inquadrati comunque all'interno dello Stato e soggetti a un apposito ministero.

L'intervento dello Stato in campo economico divenne sempre più massiccio negli anni Trenta. Anche per fronteggiare gli effetti della crisi economica del 1929, nel 1931 fu istituito l'Istituto Mobiliare Italiano (IMI), un istituto di credito pubblico capace di sostituirsi alle banche nel sostegno alle industrie in difficoltà. Nel 1933, inoltre, fu creato l'Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI) che divenne azionista di maggioranza di banche in crisi e acquistò il controllo di alcune grandi aziende italiane (Ilva, Terni e Ansaldo). Nella sostanza, decine di imprese furono salvate grazie ai finanziamenti pubblici.

Sin dalle origini il fascismo fu caratterizzato ideologicamente da una forte componente nazionalista. La propaganda presentava Mussolini come alfiere della riscossa nazionale, l'uomo che sarebbe stato capace di far rivivere la gloria dell'antica Roma imperiale e di riscattare il Paese dalle penalizzazioni subite. Fino agli anni Trenta, però, i proclami nazionalisti rimasero vaghi e velleitari e il duce preferì mantenere la tradizionale amicizia con Francia e Inghilterra. Le cose cambiarono nel 1934, quando Mussolini decise di conquistare l'Etiopia. Il duce intendeva dare all'Italia un impero, ampliando i possedimenti coloniali già acquisiti.

Le truppe italiane invasero l'Etiopia il 3 ottobre 1935, senza nemmeno una dichiarazione di guerra. Grazie all'abbondanza di uomini e mezzi, Addis Abeba fu conquistata il 5 maggio 1936. Il re etiope Hailè Selassiè fu costretto alla fuga, ma iniziò una logorante guerriglia che i fascisti non riuscirono mai a sconfiggere completamente. Mussolini era convinto che la conquista dell'Etiopia avrebbe ottenuto il tacito assenso di Francia e Gran Bretagna e che la comunità internazionale non sarebbe intervenuta. Invece, pochi giorni dopo l'inizio dell'invasione, la Società delle Nazioni condannò l'Italia in quanto aggressore di un altro Paese membro dell'associazione. Nel novembre 1935 la Società delle Nazioni decretò anche delle sanzioni economiche, vietando la vendita all'Italia di beni di interesse militare. In realtà, le sanzioni non indebolirono in nessun modo il potenziale bellico italiano perché non comprendevano le materie prime, ma soprattutto perché di fatto non vennero rispettate neanche dagli Stati che le avevano imposte. In compenso fornirono a Mussolini l'opportunità di assumere atteggiamenti vittimistici, denunciando l'ennesimo tentativo di «strangolare» l'Italia e di impedirle di conquistare il suo «posto al sole». Un ottimo argomento propagandistico che garantì al regime il consenso dell'opinione pubblica nazionale, unita nella volontà di resistere alle sanzioni: vi furono manifestazioni entusiaste di sostegno al governo e contro gli Inglesi; milioni di sposi donarono l'oro delle proprie fedi nuziali «alla patria»; i giornali denigrarono gli Etiopi come «selvaggi» da civilizzare e ogni pur timida voce d'opposizione sembrò sparire. Fu probabilmente questo il periodo in cui Mussolini e il fascismo godettero del maggior consenso.

Il 9 maggio 1936 Mussolini annunciò la fondazione dell'Impero dell'Africa Orientale Italiana (AOI) e offrì a Vittorio Emanuele III la corona di imperatore d'Etiopia. Nell'estate del 1936 le sanzioni furono ritirate e Gran Bretagna e Francia riconobbero l'impero italiano d'Africa, lasciando così la sensazione che il fascismo fosse riuscito a imporre la propria volontà a tutta l'Europa.

La conseguenza più grave della guerra d'Etiopia fu l'avvicinamento di Mussolini a Hitler. La Germania infatti aveva appoggiato la conquista coloniale italiana garantendo rifornimenti di armi e di materie prime. Nell'ottobre del 1936 fu dunque firmato un patto di amicizia tra Italia e Germania (detto Asse Roma-Berlino). Non si trattava ancora di un'alleanza militare vera e propria, anche perché Mussolini voleva utilizzare questo accordo soprattutto per fare pressione sulle altre potenze europee affinché gli venissero concessi maggiori vantaggi in campo coloniale. In quest'epoca l'Italia giunse anche a condividere le aberranti discriminazioni contro gli Ebrei che già caratterizzavano il nazismo. Nel 1938, infatti, il regime fascista promulgò le leggi razziali contro gli Ebrei, a imitazione di quelle già introdotte in Germania dal 1935. Queste leggi vietavano i matrimoni misti tra Ebrei e non Ebrei; impedivano agli Ebrei di frequentare la scuola pubblica, di fare il servizio militare, di svolgere determinate professioni. In Italia però non esisteva una forte tradizione antisemita e queste discriminazioni suscitarono molte perplessità nell'opinione pubblica e la dura condanna della Chiesa cattolica. Le leggi contro gli Ebrei, dunque, indebolirono il consenso degli Italiani verso il fascismo e prepararono la crisi del regime che sarebbe stata determinata dalla seconda guerra mondiale.

📍6. L’Italia antifascista

A partire dal 1926 l'opposizione al fascismo divenne un reato, punito con il carcere o il confino. Per sottrarsi a queste persecuzioni molti scelsero di emigrare, come l'ex presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti che si rifugiò a Parigi. Numerosi intellettuali si ritirarono negli studi, approfittando dei piccoli spazi di autonomia culturale che era possibile ritagliarsi nell'Italia fascista. Un’eccezione importante fu rappresentata dal filosofo Benedetto Croce, intellettuale stimato in tutta Europa e per questo tollerato dal regime che non voleva danneggiare la propria immagine internazionale. Croce, dopo un'iniziale simpatia per il fascismo, nel 1925 dichiarò il proprio dissenso attraverso il Manifesto degli intellettuali antifascisti in cui condannò l'ideologia mussoliniana.

Giustizia e Libertà fu un movimento antifascista fondato a Parigi nel 1929 da un gruppo di profughi italiani, tra i quali Carlo Rosselli, Emilio Lussu ed Ernesto Rossi. Vi aderirono giovani di formazione liberale che si rifacevano alle idee di Piero Gobetti, nuclei di laici repubblicani e uomini di cultura socialista vicini a Gaetano Salvemini. Nel 1937 Rosselli venne assassinato da sicari fascisti insieme al fratello Nello. Il movimento si dissolse nel 1940, quando la Francia venne occupata dai Tedeschi. Ma molti dei suoi uomini si riunirono nella Resistenza contro l'occupazione nazista in Italia, fondando il Partito d'Azione.

Il Partito comunista fu la forza politica che meglio seppe organizzare un rete di opposizione clandestina in Italia. Questa scelta costò enormi sacrifici umani: più di tre quarti dei condannati dal Tribunale speciale fascista furono infatti militanti comunisti. La direzione del partito stabili la sua sede a Parigi, sotto la guida di Palmiro Togliatti divenuto segretario generale del partito nel 1926; in Italia i militanti diffondevano giornali, opuscoli, volantini di propaganda antifascista e s'infiltravano nelle organizzazioni giovanili, nei sindacati fascisti e nel dopolavoro. Solo nel 1934, di fronte alla crescita e diffusione del fascismo in tutta Europa, l'Internazionale Comunista cambiò linea politica, invitando a unire le forze per sconfiggere il nemico. In diversi Stati così si realizzarono accordi politici tra socialisti e comunisti.

Altri gruppi antifascisti erano composti da repubblicani, socialisti, come Filippo Turati, Giuseppe Saragat e Pietro Nenni, cattolici come Giuseppe Donati e Alcide De Gasperi. A Parigi gli esuli italiani, soprattutto gli esponenti di ispirazione repubblicana e socialista, fondarono nel 1927 un'organizzazione unitaria, la Concentrazione antifascista: essa si impegnò attivamente in un'opera di propaganda internazionale contro il regime.


Il Fascismo in sintesi


La crisi del 1929

📍1.

Tra il 1922 e il 1929 gli Stati Uniti conobbero una forte crescita economica dovuta all'aumento della produzione industriale e dei consumi di massa. Grazie alla pubblicità, ai pagamenti rateali e alla nascita di nuove forme di distribuzione come i grandi magazzini, si diffusero nuovi prodotti destinati a rivoluzionare la vita quotidiana.

Il desiderio di difendere il benessere raggiunto e impedire la diffusione di idee sovversive portò all'isolazionismo, alla xenofobia contro gli immigrati e i neri e al proibizionismo che però, invece di eliminare il consumo di alcol, ne favorì il commercio illegale. L'orientamento isolazionista fu sostenuto dal Partito Repubblicano, che governò gli USA per tutti gli anni Venti: si decise di non intervenire nelle questioni di politica internazionale e di non aderire alla Società delle Nazioni che era stata promossa dall'ex presidente democratico Woodrow Wilson.

I repubblicani adottarono una politica liberista: ridussero le imposte dirette e la spesa pubblica e cercarono di favorire gli investimenti tenendo basso il tasso di interesse. La scelta di rinunciare a qualsiasi forma di intervento nell'economia permise la formazione di monopoli e oligopoli,

Nel corso degli anni Venti l'investimento in Borsa divenne un fenomeno di massa e il valore delle azioni raddoppiò con facili guadagni per gli investitori.

Malgrado il boom della Borsa, la situazione dell'economia reale era differente: il potere di acquisto dei consumatori era molto diminuito e, quando il mercato dei beni di consumo durevoli raggiunse la saturazione, l'economia americana andò incontro a una crisi di sovrapproduzione. La bolla speculativa si gonfiò improvvisamente e, quando gli investitori cercarono di vendere i loro titoli, il valore delle azioni crollò.

La crisi borsistica produsse una serie di effetti a catena. I risparmiatori che avevano acquistato a credito i pacchetti azionari, confidando nelle opportunità offerte dal gioco speculativo, non poterono più far fronte agli impegni. Gli agenti di Borsa, a loro volta, si erano indebitati con le banche, e dovettero denunciare la propria insolvibilità. Gli effetti del crollo di Wall Street, dunque, si trasmisero al sistema creditizio. Molte banche dovettero chiudere, scatenando il panico tra i risparmiatori. I correntisti, temendo l'azzeramento dei propri depositi, si affrettarono a ritirarli, riducendo così ancor più la liquidità a disposizione degli istituti di credito. Questi d'altronde, in previsione di tempi difficili, tentavano di trattenere le proprie riserve e concedevano prestiti solo in casi eccezionali. Il risultato fu una gigantesca diminuzione della liquidità, con una serie di gravi conseguenze sul piano dell'economia reale. Le aziende, non potendo più accedere al credito per gli investimenti, riducevano la produzione, tagliavano i salari e licenziavano. Nel 1932 la produzione industriale scese di 10 punti percentuali rispetto a tre anni prima, mentre il numero dei disoccupati giunse alla cifra esorbitante di quasi 14 milioni. La disponibilità finanziaria delle famiglie americane subì dunque una caduta verticale, aggravata dall'impossibilità di accedere ai mutui edilizi e di realizzare acquisti a rate. Il crollo della domanda complessiva che ne conseguì determinò un'ulteriore contrazione della produzione industriale.

Ben presto la crisi coinvolse anche le banche; non riuscendo più ad accedere ai prestiti, le aziende cominciarono a tagliare i salari e a licenziare i dipendenti. La disoccupazione toccò livelli altissimi e i consumi crollarono, di conseguenza anche la produzione. La crisi economica americana (detta Big Crash) coinvolse anche l'Europa. In particolare, ebbe conseguenze pesantissime sull'economia tedesca, gravata dai debiti contratti per sostenere le spese di riparazione della prima guerra mondiale.

Nelle elezioni del 1932 il democratico Franklin Delano Roosevelt sconfisse il presidente repubblicano Hoover, considerato troppo legato agli interessi della finanza. Roosevelt abbandonò il dogma liberista secondo cui il mercato ha la capacità di riequilibrarsi spontaneamente e inaugurò un nuovo corso, detto appunto «New Deal», basato sull'intervento dello Stato per contrastare la crisi economica.

Lo Stato intervenne sul sistema finanziario per svalutare il dollaro e favorire le esportazioni; intervenne sul sistema fiscale per ridurre le sperequazioni; limitò la sovrapproduzione per contrastare la caduta dei prezzi; finanziò grandi opere pubbliche per creare nuovi posti di lavoro; garantì sussidi ai disoccupati.

Il New Deal incontrò le resistenze delle lobby conservatrici (in particolare di imprenditori e finanzieri), che si appellarono alla Corte suprema per mettere in discussione la costituzionalità delle leggi proposte da Roosevelt. Il presidente si appellò al popolo americano e riuscì a far sostituire alcuni giudici della Corte. Il New Deal gettò le basi del Welfare State, che assicura assistenza sociale ai cittadini; inoltre, l'espansione dell'amministrazione pubblica e della burocrazia creò nuovi posti di lavoro. La ripresa fu lenta e non toccò tutti i lavoratori, ma la politica di Roosevelt ebbe un grande successo perché seppe infondere speranza e ottimismo.


Il nazismo e la crisi delle relazione internazionali

📍1. La repubblica di Weimar

L'ultimo anno di guerra fu per la Germania particolarmente difficile. La popolazione, ma anche l'esercito, erano ormai certi della sconfitta. Il malcontento era diffuso e le istituzioni non erano più in grado di contenere un'opposizione sempre più decisa. I Tedeschi chiedevano pace e democrazia, mentre la monarchia dimostrava tutta la sua debolezza e non aveva più il controllo della situazione. Intanto la propaganda socialista e il mito della rivoluzione bolscevica riscuotevano successo. Il 9 novembre 1918 la monarchia fu travolta: a Berlino fu proclamata la repubblica, mentre il kaiser Guglielmo II fuggiva in Olanda. Fu formato un governo provvisorio composto da esponenti socialdemocratici e sostenuto anche dallo stato maggiore dell'esercito che intendeva impedire un'ulteriore radicalizzazione della situazione. Il presidente di questo governo, il socialdemocratico Friedrich Ebert, si impegnò a riportare il Paese alla normalità e alla legalità.

La componente maggioritaria del movimento socialista era il Partito Socialdemocratico Tedesco, I'SPD, che sosteneva posizioni riformiste e democratiche. Questo partito era contrario a esiti rivoluzionari e intendeva costruire in Germania un sistema parlamentare. I socialdemocratici consideravano i consigli degli operai e dei soldati un'istituzione solo transitoria, da smantellare nel momento in cui gli organismi democratici del Paese fossero stati pienamente operativi. La linea della socialdemocrazia tedesca era dunque moderata e inevitabilmente portò allo scontro e alla divisione con l'ala estrema del movimento socialista che sosteneva il potere dei consigli degli operai e dei soldati ed era contraria all'Assemblea Costituente. Questa posizione era rappresentata da due soggetti:

Il dissenso sull'orientamento del governo e del Partito socialdemocratico portò i rivoluzionari in piazza. A Berlino la protesta fu violentissima: nella settimana fra il 5 e il 13 gennaio 1919 gli spartachisti tentarono di boicottare le elezioni per la Costituente e di rovesciare il governo; occuparono edifici pubblici e sedi di giornali.

Le elezioni per l'Assemblea Costituente, le prime a suffragio universale, si tennero il 19 Gennaio 1919. I risultati premiarono I'SPD che fu il partito di maggioranza, ma non assoluta. Si formò quindi un governo di coalizione con le forze moderate del Zentrum, il partito Cattolico, e con i liberali democratici (DDP). L’assemblea si mise al lavoro nella cittadina di Weimar, più tranquilla della capitale, e fu in grado nel mese di agosto di dare al Paese la Costituzione. La Germania divenne una repubblica federale (divisa in 17 Länder); il potere legislativo andò al Reichstag (il Parlamento) eletto a suffragio universale e con sistema proporzionale; il Reichsrat (Consiglio federale) aveva potere di veto legislativo; il potere esecutivo fu affidato al governo presieduto da un cancelliere (Primo ministro) responsabile di fronte al Parlamento. Il presidente della Repubblica era eletto direttamente dal popolo ogni sette anni e deteneva ampi poteri.

Nello stesso periodo in cui veniva elaborata la Costituzione di Weimar, si perveniva all'ultimo atto della guerra con i trattati di pace elaborati dalla Conferenza di Parigi. A Versailles il 28 giugno 1919 fu firmato quello tra la Germania e le nazioni vincitrici. Il trattato riconosceva la Germania unica responsabile della guerra e di tutte le conseguenze da essa provocate. L'umiliazione del Trattato di Versailles rafforzò il nazionalismo tedesco e lo spirito di rivincita delle forze più reazionarie che accentuarono la loro campagna antisocialista e antidemocratica. Soprattutto il problema delle riparazioni dovute ai vincitori, fissate nella cifra astronomica di 132 miliardi di marchi d’oro, suscitò un'infinità di polemiche e di risentimento. Era una pretesa assurda: nella sostanza, la Germania avrebbe dovuto pagare ogni anno una rata pari a circa un quarto del suo prodotto nazionale; e in questo modo avrebbe esaurito il suo debito all'inizio degli anni Sessanta! La destra accusò socialisti e democratici di avere tradito il Paese firmando la pace.

📍2. Dalla crisi economica alla stabilità

Le condizioni di pace imposte alla Germania e le difficoltà nel pagamento delle riparazioni di guerra generarono una profonda crisi economica. La Francia, inoltre, nel 1923, colse l'occasione del mancato pagamento di una rata delle riparazioni, per occupare militarmente la ricca zona industriale della Ruhr come garanzia di pagamento. I Tedeschi risposero con la resistenza passiva: lavoratori e imprenditori lasciarono le fabbriche e si rifiutarono di collaborare con gli invasori. Per garantire un sostegno ai lavoratori e alle imprese, la banca tedesca stampò carta moneta in quantità crescente, inasprendo ulteriormente un'inflazione senza precedenti. La svalutazione del marco raggiunse il fondo quando, nel novembre 1923, il rapporto di cambio fra dollaro e marco fu di 1 dollaro per 4200 miliardi di marchi. L'economia fu travolta, la moneta divenne carta straccia, i salari dei lavoratori vennero ridotti a spiccioli.

Gli anni tra il 1919 e il 1923 furono segnati da gravi tensioni sociali e politiche. Il più attivo tra i gruppi estremisti era il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP), fondato a Monaco nel 1920 da Adolf Hitler. Proprio a Monaco, nel novembre 1923, si verificò un nuovo tentativo di sovvertire le istituzioni democratiche con la forza, il cosiddetto putsch di Monaco. Anche in questo caso Hitler e il generale Ludendorff, responsabili del complotto, furono arrestati e venne ristabilito l'ordine.

Il crollo dell'economia e l'inflazione contribuivano dunque ad alimentare gli estremismi e ciò rendeva ancora più urgente l'esigenza di guidare la Germania fuori dalla crisi.

Nel 1923 si assunse questo compito Gustav Stresemann, il leader del Partito Popolare Tedesco, una formazione di ispirazione democratico-liberale.

Stresemann formò un governo di grande coalizione con il Zentrum e con i socialisti.

Importante in questa prospettiva fu soprattutto la riforma monetaria che sostituì il vecchio e deprezzato marco con il Rentenmark.

Il governo cercò anche di risolvere il conflitto con la Francia e pose fine alla resistenza passiva nella Ruhr.

L'aiuto decisivo alla politica di Stresemann venne dagli Stati Uniti. L'economista americano Charles Gates Dawes elaborò un piano per il risanamento economico della Germania.

Nel 1924, dopo complesse trattative, il piano Dawes venne accettato. Si basava essenzialmente su due punti:

I provvedimenti presi dal governo per il risanamento economico e finanziario furono efficaci e già dal 1925 se ne constatarono i buoni risultati.

La ripresa fu ininterrotta ma dipendeva totalmente da finanziamenti stranieri. Così nel 1929, quando la depressione americana determinò la fine dei finanziamenti, la crisi ricomparve più terribile di prima.

Nel 1925 l'economia e il sistema finanziario tedeschi sembravano dunque aver superato il peggio. Nello stesso periodo, anche i rapporti internazionali della Germania si avviarono verso la stabilizzazione. Superata la spinosa questione della Ruhr, Stresemann strinse con il ministro degli Esteri francese Aristide Briand una serie di patti che normalizzarono i rapporti fra le due nazioni. Nell'ottobre 1925, Germania e Francia giunsero così agli Accordi di Locarno, sottoscritti anche dall'Inghilterra, dall'Italia, dal Belgio e dalla Polonia. Si parlò di spirito di Locarno, intendendo cioè un nuovo periodo di distensione e di convivenza pacifica in Europa. Fu un successo diplomatico per il governo tedesco, confermato l'anno seguente dalla decisione di ammettere la Germania nella Società delle Nazioni. Ci fu un riavvicinamento anche con la Russia bolscevica con la quale il governo tedesco firmò accordi diplomatici e commerciali. La stabilizzazione delle relazioni internazionali fu infine sancita da un nuovo accordo in continuità con lo spirito di Locarno: il Patto Briand-Kellogg entrò in vigore il 24 luglio 1929, coinvolgendo tutte le principali nazioni del mondo.

📍3. La fine della repubblica di Weimar

Tra il 1925 e il 1928 la Germania attraversò un periodo di relativa stabilità e ripresa economica. Restavano, comunque, gravi problemi:

Un primo segno della fragilità della democrazia tedesca si manifestò al momento delle elezioni presidenziali, che si tennero nel febbraio del 1925, quando morì il socialdemocratico Ebert.

Alla carica di presidente venne eletto il vecchio maresciallo Paul von Hindenburg, ciò accadde perché i comunisti, invece di far convergere i loro voti sul candidato del «blocco popolare», preferirono sostenere un loro candidato.

Nel 1928 si tennero le elezioni politiche. La sinistra si rafforzò ma non conquistò una solida maggioranza.

Ne assunse la guida il socialdemocratico Hermann Müller, appoggiato da cattolici, popolari e democratici.

Nel novembre 1929 gli effetti del crollo di Wall Strett iniziarono a farsi sentire in Germania. I crediti statunitensi cessarono e l'economia tedesca precipitò rapidamente in una grave crisi. Il governo Müller non rappresentava, agli occhi dell'opinione pubblica, un'autorità credibile, in grado di affrontare la situazione. Sia a destra che a sinistra vi fu un processo di radicalizzazione delle opposizioni. I nazionalisti predicavano apertamente l'abbattimento della repubblica per sostituirla con un forte potere conservatore di carattere dittatoriale. Nel 1930 il cancelliere socialdemocratico Müller fu costretto alle dimissioni. Era la rottura tra i socialdemocratici e i partiti di centro. Il governo passò in mano al cattolico Heinrich Brüning, politicamente vicino al presidente Hindenburg.

Sotto la cancelleria di Brüning, con i socialdemocratici all'opposizione e con le tensioni provocate dalle forze politiche dell'estrema destra e dell'estrema sinistra, la Repubblica di Weimar si avviò inesorabilmente verso il suo disfacimento. Brüning puntò soprattutto a contenere le spese sociali e a risanare le finanze pubbliche. Per realizzare questa politica esautorò sempre più il Reichstag, ricorrendo sistematicamente a decreti-legge. L'articolo 48 della Costituzione, infatti, consentiva al presidente della Repubblica di emanare in casi eccezionali disegni di legge senza il concorso del Parlamento. Sperando di rafforzare la sua maggioranza, nel 1930 Brüning decise di sciogliere il Reichstag e di indire nuove elezioni politiche. Le elezioni si svolsero in un clima di violenze e scontri fra nazisti e comunisti e i risultati furono lo specchio della radicalizzazione politica di quegli anni.

Tra il 1930 e il 1932 Brüning restò al potere grazie all'appoggio della SPD che decise di sostenere il governo per difendere le istituzioni democratiche dall'attacco dei nazisti e dei comunisti. Il cancelliere restò fedele alla sua politica di austerità e continuò, grazie all'appoggio di Hindenburg, ad approfittare dell'articolo 48, indebolendo sempre più il Parlamento. Ma con il successo elettorale del 1930 Hitler era ormai diventato un importante interlocutore politico anche per la destra «rispettabile», non estremista. Nel marzo 1932, infatti, quando si tennero le elezioni presidenziali, fu proprio Hitler il candidato della destra contrapposto a Hindenburg. Il presidente uscente venne riconfermato grazie all'unione dei voti cattolici e socialdemocratici, ma Hitler ottenne più di 13 milioni di voti: un grande successo personale. In un clima da guerra civile, i Tedeschi andarono alle urne due volte (luglio e novembre 1932), ma in entrambi i casi il governo non ne usci rafforzato. Si rafforzarono, invece, i nazisti che divennero il primo partito della Germania, ottenendo nelle elezioni di luglio il 37,4% dei voti. Hitler ormai rivendicava la Cancelleria del Reich. Anche la grande industria, gli agrari e l'esercito fecero la loro scelta definitiva: tutto il loro appoggio, soprattutto economico, si concentrò sui nazisti, considerati l'unica forza capace di restaurare e imporre un potere forte. Di fronte a questa situazione, Hindenburg fini per cedere e il 30 gennaio 1933 affidò a Hitler l'incarico di formare il nuovo governo. La Repubblica di Weimar era morta.

📍4. Il nazismo

Il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) nacque a Monaco nel 1920, nel clima di delusione e rabbia per gli esiti della pace di Versailles. Il nazismo, infatti, può essere ricondotto nel più generale panorama della destra tedesca, nazionalista e militarista, che rifiutava gli esiti della prima guerra mondiale e considerava il Trattato di Versailles un puro e semplice diktat imposto alla Germania. Secondo questi ambienti, la sconfitta era da attribuirsi non alla forza militare dell'Intesa ma al tradimento di marxisti e pacifisti che avevano sabotato la guerra all'interno del Paese, pugnalando alle spalle l'esercito non ancora sconfitto sul campo di battaglia.

Nelle premesse ideologiche del Partito nazista era centrale il concetto di purezza della razza tedesca, il mito dell'arianesimo. La razza ariana (termine con cui si faceva riferimento al tipo etnico nordeuropeo) era intesa come unità di sangue e spirito germanico ed era la stirpe eletta. Occorreva sottomettere le razze inferiori di «sottouomini», creando una comunità purificata da ogni elemento estraneo. Il razzismo era dunque l'elemento coesivo dell'ideologia nazista. Muovendo dalle tradizioni antisemite delle Chiese cristiane, il nazismo, come altri movimenti, identificò nell'ebraismo la fonte di tutti i mali che affliggevano la Germania. Ma la difesa della purezza della razza doveva essere esercitata anche contro gli zingari, i portatori di handicap, gli omosessuali i malati di mente, tutti colpevoli di «contaminare» il popolo tedesco. Antisemitismo e razzismo si tradussero in un delirante progetto politico. Strumento di questa rigenerazione doveva essere un nuovo Reich («impero»), monolitico, autoritario, che educasse la popolazione alla disciplina e alla lotta. Confluivano nell'ideologia razzista le interpretazioni deformate di filosofi come Hegel o Nietzsche, il pensiero di teorici del razzismo europeo come Gobineau o Chamberlain, la scienza darwininana trasferita sul piano sociale.

Prima di dedicarsi all'attività politica, Adolf Hitler era un uomo dalle modeste qualità: pessimo studente, mediocre pittore, viveva di lavoretti senza prospettive. Fu la guerra a farne un piccolo eroe e a convincerlo della sua missione di rendere grande la Germania dopo l'«ingiusta sconfitta».

Nel dopoguerra iniziò a frequentare un piccolo gruppo di estrema destra all'interno del quale iniziò la sua attività politica e che lui stesso rifondò nel 1920 con il nome di Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. Nel 1923, durante la sua carcerazione per il putsch di Monaco, scrisse il Mein Kampf («La mia battaglia»), base teorica del nazismo. I cardini del pensiero di Hitler erano:

La volontà unificatrice di Hitler si traduceva nella volontà di creare una società compatta e strutturata in una rigida gerarchia. Al vertice di ogni scala gerarchica, in ogni settore della società, dell'economia o della politica, doveva esservi un capo: era il Führerprinzip, «il principio del capo».

All'inizio il Partito nazista si presentava come un piccolo gruppo eversivo che appariva scarsamente credibile all'elettorato tedesco. Dopo il 1924 Hitler decise di dare al suo movimento una veste legalitaria che permettesse di conquistare maggiore consenso nel ceto medio e nella destra tradizionale. Ma non rinunciò per questo a utilizzare il braccio armato del suo partito, le SA (truppe d'assalto), per colpire le organizzazioni comuniste. Il Partito nazista si servì inoltre di una intensa propaganda basata su concetti semplici come la nazione, la razza, la grandezza tedesca, la punizione dei nemici. Con il preciso intento di affossare la Repubblica, nel 1931 Hitler unì tutte le forze conservatrici in un fronte reazionario, il Fronte di Harzburg. Con il volto rispettabile della destra legale riuscì quindi a conquistare anche la simpatia determinante dei grandi capitalisti tedeschi, degli agrari, dell'esercito.

📍5. Il terzo Reich

Hitler andò al governo il 28 gennaio 1933 e lanciò subito una dura offensiva contro gli oppositori: iniziò l'epurazione dall'amministrazione pubblica di ogni soggetto poco fidato; decine di giornali, accusati di fomentare disordini, vennero soppressi; le SA si accanirono contro i militanti politici di sinistra. Il 27 febbraio 1933 un incendio distrusse il Reichstag. Probabilmente furono gli stessi nazisti ad appiccare il fuoco al Parlamento, ma vennero additati come responsabili i comunisti: fu l'occasione che Hitler sfruttò per scatenare una spietata lotta contro di loro e per introdurre nel Paese misure eccezionali. Hindenburg sciolse il Parlamento e vennero fissate nuove elezioni per il 5 marzo. Il Partito nazionalsocialista ottenne il 44,9% dei consensi che, uniti ai voti dei tedesco-nazionali, garantivano a Hitler la maggioranza assoluta del Parlamento. In modo formalmente legale, con l'approvazione del Parlamento, in Germania iniziava la «nazificazione» dello Stato.

In soli sei mesi Hitler stravolse le istituzioni dello Stato democratico e edificò uno Stato totalitario. Alla prima seduta del Parlamento, il 23 marzo 1933, Hitler chiese una legge che gli assegnasse pieni poteri: nella sostanza, il Parlamento fu chiamato a esautorare se stesso dalla propria funzione, delegando al governo il potere legislativo. I comunisti erano già stati epurati; solo i 94 deputati socialdemocratici votarono contro, tutti gli altri partiti si piegarono alla volontà di Hitler. Iniziava così la dittatura del führer. Il 14 luglio 1933 una legge sancì l'instaurazione dello Stato totalitario a partito Unico. I sindacati furono soppressi e sostituiti con un'organizzazione corporativa, il Fronte del lavoro, controllata dallo Stato. Fu creata una polizia segreta, la Gestapo, controllata da Himmler, il capo delle SS. La magistratura fu posta sotto il controllo del governo, il criterio di legalità divenne la volontà del führer. Eliminata ogni possibile opposizione esterna, Hitler affronto il problema del dissenso interno al Partito nazista. Il legame sempre più stretto che univa il führer al mondo dell'industria e della grande finanza veniva infatti contestato dalla sinistra del partito, che restava fedele all'impostazione rivoluzionaria e anticapitalistica delle origini. Questa componente del nazismo, guidata da Ernst Röhm, era rappresentata soprattutto dalle SA. Hitler si decise infine per l'epurazione: nella notte del 30 giugno 1934 - la famosa notte dei lunghi coltelli - le SS e la Gestapo uccisero Röhm e moltissimi rappresentanti delle SA. Vi furono complessivamente oltre mille morti. L'ultimo passaggio nella costruzione del regime avvenne il 2 agosto 1934, quando Hindenburg mori. Hitler assunse subito le funzioni di presidente che si aggiungevano a quelle di cancelliere. A partire da questo momento egli assunse ufficialmente il titolo di führer e divenne il capo assoluto del Terzo Reich.

La Chiesa cattolica, con Pio XI, firmò il 20 luglio 1933 un Concordato con lo Stato tedesco che le garantiva la libertà nel culto e nell'organizzazione ecclesiastica. I cattolici in genere non manifestarono alcuna opposizione al regime, nonostante anche il partito cattolico del Zentrum fosse stato sciolto. Solo nel 1937 di fronte alle azioni del führer che ledevano la Chiesa e i principi del cristianesimo, Pio XI condannò il governo tedesco per la violazione del Concordato, per il razzismo e per la divinizzazione dello Stato e del suo capo. La Chiesa protestante si piegò al regime prestando giuramento al führer nel 1938.

Giunto al potere, Hitler fece dell'odio razziale il cemento del «nuovo ordine». Dapprima gli Ebrei vennero colpiti con la diffamazione, l'aggressione, la discriminazione nell'economia; poi vennero completamente esclusi dalla vita politica e sociale con appositi provvedimenti legislativi;

La persecuzione, dunque, si articolò in tre fasi distinte.

Il 7 aprile 1933 il governo emanò un decreto che imponeva il licenziamento di tutti i dipendenti della pubblica amministrazione «non ariani». Era da considerarsi non ariano chiunque discendesse da genitori o nonni (anche uno solo) non ariani.

circa 6 milioni sarebbero morti in campi di sterminio: ad Auschwitz, Treblinka, Mauthausen, Buchenwald, per citare solo i più noti.

La società che Hitler aveva in mente era una società senza gli Ebrei e con gli Slavi ridotti in schiavitù. Una società in cui non ci fosse dissenso politico, senza criminali, malati di mente, persone con la Sindrome di Down, omosessuali, zingari, testimoni di Geova: tutti soggetti che vennero rinchiusi nei lager. A conferma dell'ordinarietà dello sterminio nel Terzo Reich è significativo notare che il primo campo di concentramento, quello di Dachau, fu istituito poche settimane dopo l'ascesa al potere di Hitler, nel 1933. Nel 1933 venne emanata la prima legge demografica che introdusse la sterilizzazione «eugenetica», cioè il progetto scientifico di migliorare la razza consentendo le riproduzioni solo ai soggetti portatori di caratteri geneticamente favorevoli.

Negli anni del regime nazista la politica repressiva fu costantemente accompagnata da una vasta opera di propaganda dell'ideologia nazionalsocialista. L'apparato propagandistico venne affidato a Joseph Goebbels, il ministro per l'Educazione e la Propaganda. La ricerca del consenso si fondava sulla diffusione del mito della razza pura, dell'uomo bello e sano, legato alla terra in una società di contadini guerrieri. La manipolazione delle coscienze fu costruita con i più moderni strumenti a disposizione: la radio, il cinema, le adunate oceaniche.

📍6. Economia e società

La crisi economica e la lotta alla disoccupazione furono i principali problemi che il Partito nazionalsocialista dovette affrontare appena giunto al potere. Nel settore agricolo, per esempio, fin dal 1933, la produzione, il mercato e il consumo vennero sottoposti al controllo della Corporazione alimentare del Reich. In questo settore, l'obiettivo era il raggiungimento dell'autosufficienza alimentare: la Germania doveva produrre tutto il necessario senza ricorrere a importazioni da altri Paesi.

Gli sforzi maggiori del regime furono rivolti a risollevare il settore industriale. Di qui infatti giunse la ripresa economica, dovuta fondamentalmente alla politica di riarmo. Dal 1935 fu introdotta nuovamente la leva obbligatoria e dal 1936 le commesse militari garantirono un forte incremento della produzione industriale. In questo anno Hitler iniziò a preparare il Paese alla guerra con iniziative di largo respiro: fu varato il «piano quadriennale» per l'economia; lo Stato avviò imponenti lavori pubblici (autostrade, strade, canali) che consentirono di riassorbire la disoccupazione, fino a raggiungere la piena occupazione nel 1938.

Il successo della politica economica del Reich dipese in parte dal totale controllo sui lavoratori e sulle loro organizzazioni. I sindacati furono eliminati e sostituiti con il Fronte tedesco del lavoro, un'organizzazione corporativa che avrebbe dovuto conciliare gli interessI dei lavoratori con quelli degli imprenditori. Tra il 1934 e 1935 il regime varò leggi che:

Lo Stato esercitò il suo controllo anche sulla società e sulla famiglia. La difesa della famiglia era uno dei temi più cari al regime, in funzione della difesa della razza e del popolo.

Furono prese, quindi, iniziative a sostegno della natalità e delle giovani coppie.

L'obiettivo della politica sociale era l'educazione nazionalsocialista delle masse fondata sull'istruzione militare e sulla gestione del tempo libero.

📍7. Gli anni Trenta: nazionalismo, autoritarismo e dittature. La politica estera di Hitler.

Dal 1933, il successo di Hitler apri la strada alla diffusione di movimenti di estrema destra ispirati al nazismo. In Ungheria fin dal 1932 si era affermato il movimento filonazista delle Croci frecciate, un'organizzazione militare estremamente spietata. In Romania si impose un analogo movimento fascista e antisemita, fondato nel 1926 e chiamato Guardia di ferro. Nei Paesi dell'Est europeo, in cui già si erano insediati dei governi autoritari, negli anni Trenta si assistette a una svolta propriamente dittatoriale di stampo fascista. Dal 1933, il successo di Hitler apri la strada alla diffusione di movimenti di estrema destra ispirati al nazismo. In Ungheria fin dal 1932 si era affermato il movimento filonazista delle Croci frecciate, un'organizzazione militare estremamente spietata. In Romania si impose un analogo movimento fascista e antisemita, fondato nel 1926 e chiamato Guardia di ferro. Nei Paesi dell'Est europeo, in cui già si erano insediati dei governi autoritari, negli anni Trenta si assistette a una svolta propriamente dittatoriale di stampo fascista. L'espansione delle dittature fasciste riguardò infine l'area slava e dei Balcani: regimi nazionalisti e autoritari si instaurarono anche in Bulgaria, in Albania, in Iugoslavia, in Grecia. Il modello fascista fu imitato in Polonia, nei Paesi baltici e in Finlandia. Anche nella penisola iberica, una zona ancora arretrata nello sviluppo economico, la crisi degli anni Trenta sfociò in una dittatura militare, con António de Oliveira Salazar in Portogallo e Francisco Franco in Spagna.

Anche in Asia i trattati di pace che chiusero la prima guerra mondiale concorsero a creare instabilità: la Conferenza di Parigi non aveva soddisfatto né il Giappone né la Cina. E anche qui la crisi del 1929 esasperò la situazione, con gravi conseguenze sia all'interno dei Paesi sia nei rapporti tra gli Stati. La partecipazione alla guerra a fianco dell'Intesa aveva accresciuto il prestigio internazionale del Giappone, che aveva guadagnato il controllo su alcuni territori strategici. La guerra aveva favorito anche la crescita economica, stimolando la produzione dell'industria pesante e navale, ma tutto questo venne meno nel dopoguerra, con la ripresa della concorrenza occidentale sui mercati internazionali. La crisi del '29, come ovunque, determinò una contrazione del commercio internazionale e accentuò le difficoltà economiche. Il governo ritenne che la soluzione fosse in una politica espansionistica ai danni della Cina, trovando in questo progetto l'appoggio dei grandi gruppi industriali e delle gerarchie militari. Si rafforzarono quindi i gruppi politici di matrice nazionalista e fascista e si affermò un governo autoritario, sotto la tutela dell'imperatore Hirohito. In Cina, per far fronte all'espansione nipponica, si rafforzò il fronte nazionalista che doveva però anche combattere l'opposizione interna del Partito comunista di Mao Zedong. Nel 1936 comunque tutte le forze politiche cinesi si unirono per respingere l'occupazione giapponese.

Dopo il 1929 la crisi economica aveva piegato la Germania e affossato la democrazia. L'obiettivo fondamentale per il governo nazista era assorbire la disoccupazione e rilanciare l'economia della Germania. Il progetto espansionistico di Hitler, oltre gli aspetti ideologici e politici, era anche funzionale a una nuova crescita economica che gli avrebbe garantito il consenso popolare. Avviò quindi il riarmo e indirizzò l'intera economia tedesca alla produzione bellica. Nel 1935 inoltre, reintrodusse la coscrizione obbligatoria e costruì una flotta navale.

La politica espansionistica del nazismo mise subito in discussione l'equilibrio internazionale stabilito dai trattati di Versailles. La prima mossa, nel 1934, fu il tentativo di annettere l'Austria, per inglobarla nel disegno della Grande Germania, ma si concluse con l'assassinio del presidente Dollfuss e con la forte reazione di Londra, Parigi e soprattutto dell'Italia che schierò addirittura le proprie truppe ai confini. La continua violazione dei trattati internazionali da parte della Germania nazista venne discussa alla Conferenza di Stresa dai rappresentanti della Francia, della Gran Bretagna e dell'Italia che però si limitarono a una prudente e formale condanna. I generici impegni per la pace, senza prendere alcun provvedimento concreto verso la Germania, lasciarono di fatto Hitler libero di procedere con nuove azioni. Nel 1936 infatti Hitler mosse l'esercito tedesco per occupare la Renania, che secondo il Trattato di Versailles doveva restare smilitarizzata. Il successo di questa iniziativa rafforzò ulteriormente il consenso al governo di Hitler che continuò, pressoché indisturbato, nella sua politica aggressiva e tra l'indifferenza delle democrazie europee e la debolezza della Società delle Nazioni. Consapevole dell'impotenza della Società delle Nazioni e dell'arrendevolezza della Gran Bretagna, nel 1936 Hitler trovò un alleato nell'Italia fascista, che nel 1935 aveva occupato con successo l'Etiopia. Firmò quindi con Mussolini un accordo, l'Asse Roma-Berlino, in funzione antibolscevica e per il comune interesse sui Balcani.

L'Unione Sovietica, preoccupata dalla politica estera della Germania e del Giappone, cercò di difendersi entrando nella Società delle Nazioni e stringendo un patto di alleanza con la Francia. Stalin sostenne quindi una nuova linea politica: si trattava di combattere i fascismi in un unico fronte, alleandosi con i partiti democratici e costituendo i cosiddetti «Fronti popolari» nei diversi Paesi. In Francia e in Spagna la coalizione delle forze antifasciste, dai cattolici ai socialisti, ottenne la vittoria elettorale nel 1936, ma in politica estera neppure questa scelta servi ad arginare l'avanzare del nazismo in Europa. La Francia infatti, come la Gran Bretagna, continuò a tentare di contenere le pretese tedesche, puntando a mantenere la pace a ogni costo (appeasement), senza avere la forza di adottare una chiara e autonoma linea antifascista. In Spagna invece la destra militarista non accettò la svolta democratica e diede inizio à una lunga guerra civile.

📍8. La guerra civile spagnola

Agli inizi del Novecento, le condizioni economiche e sociali della Spagna erano di estrema arretratezza. L'economia era dominata da un'agricoltura basata in gran parte sul latifondo. La Chiesa cattolica, inoltre, aveva un enorme potere culturale e controllava in gran parte l'istruzione.

Nel 1923 re Alfonso XIII di Borbone, di fronte alla crisi sociale, preferì esautorare il Parlamento e favori la dittatura militare di Miguel Primo de Rivera. Il governo di Primo de Rivera si ispirava al fascismo italiano e rimase in carica fino al 1930. Nell'aprile del 1931 si tennero le elezioni amministrative: i partiti repubblicani ebbero un clamoroso successo. Il re scelse la via dell'esilio e fu proclamata la repubblica. Anche in Spagna, dunque, si profilava un regime dittatoriale: in questo contesto le forze della sinistra riuscirono a superare le tradizionali divisioni e unirsi in un Fronte unico «per sbarrare la strada al fascismo». Seguendo le direttive di Stalin, anche i comunisti entrarono nella coalizione del Fronte popolare con i liberali, i democratici, i socialisti, gli anarchici, gli autonomisti. Nel febbraio del 1936 il Fronte popolare vinse le elezioni e diede vita a un difficile governo liberaldemocratico moderato, con l'appoggio esterno dei socialisti. La vittoria delle sinistre aveva suscitato molte aspettative di riforme sociali, ostacolate però dalla componente più moderata della coalizione. La tensione sociale cresceva e sembrava sfociare in una rivoluzione sociale. Di fronte a tale timore la destra reazionaria e militare rispose con un colpo di Stato: nel luglio 1936 alcuni reparti delle truppe stanziate nel Marocco spagnolo guidate dal generale Francisco Franco (1892-1975) e aiutate dalla aviazione italiana e tedesca, sbarcarono nel Sud della Spagna. Iniziò così la guerra civile: contro l'esercito della Repubblica si schierarono varie organizzazioni filofasciste che si riunirono nella Falange nazionalista, sotto la guida del caudillo Francisco Franco.

La guerra civile in Spagna si configurò subito come una questione internazionale. Consapevole della propria debolezza militare, il governo repubblicano chiese aiuto alla Francia, guidata nel 1936 da un governo socialista. Per evitare polemiche con il governo inglese, la Francia negò l'intervento di truppe in aiuto ai repubblicani spagnoli. Francia e Inghilterra decisero quindi di promuovere un patto internazionale di non intervento nella guerra spagnola, sottoscritto anche dall'Italia e dalla Germania che tuttavia non lo rispettarono. Hitler e Mussolini infatti inviarono al caudillo spagnolo Francisco Franco uomini e mezzi bellici che rafforzarono la capacità militare della Falange nazionalista. Solo l'Unione Sovietica, attraverso il Comintern, inviò aiuti militari ai repubblicani spagnoli: furono organizzate le Brigate internazionali, reparti di volontari antifascisti provenienti da tutti i Paesi. Migliaia di giovani antifascisti, molto motivati politicamente, partirono per la Spagna in nome della libertà democratica e per combattere la dittatura. Ad accrescere la debolezza dell'esercito repubblicano concorsero anche le divisioni interne alla sinistra: i contrasti politici fra comunisti filosovietici, socialisti e anarchici sfociarono addirittura nello scontro armato. Più unito e dotato di mezzi migliori, l'esercito di Franco ottenne così la vittoria: tra gennaio e marzo del 1939 occupò Barcellona e Madrid. La democrazia era finita anche in Spagna. La dittatura di Franco sarebbe durata fino al 1975.

📍9. Verso la guerra

Durante gli ultimi due anni che precedono la guerra l'obiettivo di Hitler era ormai chiaro anche se le potenze europee sottovalutarono il pericolo e dimostrarono debolezza di fronte all'aggressività della Germania. Il tentativo di annessione (Anschluss) dell'Austria fallito nel 1934, riuscì nel marzo del 1938 con una occupazione militare preceduta da una vasta campagna filonazista. Subito dopo Hitler si diresse verso la Cecoslovacchia occupando la regione di confine dei Sudeti, dove viveva in maggioranza popolazione di lingua tedesca e dove era stanziata buona parte del sistema difensivo cecoslovacco. In base al principio della naturale appartenenza al «mondo tedesco», i nazionalisti rivendicavano la ricongiunzione di quell'area alla Germania, ma il governo ceco non era disposto a cedere. Per risolvere la questione dei Sudeti, il 29 e 30 settembre 1938, Mussolini, Hitler, il premier britannico Chamberlain e il Primo ministro francese Daladier si incontrarono nella Conferenza di Monaco. In questa occasione fu scritta la pagina più vergognosa del cedimento delle democrazie occidentali alla politica nazista. Mussolini, già legato alla Germania con l'Asse Roma-Berlino, aveva espresso parere favorevole al progetto di annessione di Hitler. Francia e Inghilterra, nell'intento di scongiurare il conflitto, non fecero che accettare la situazione di fatto, dietro la promessa che fosse garantita l'indipendenza del resto della Cecoslovacchia.

Nel marzo 1939, non rispettando gli accordi appena stipulati, i nazisti completarono lo smembramento della Cecoslovacchia: la Boemia e la Moravia furono occupate e sottoposte a protettorato tedesco. Ormai la politica di aggressione all'Est europeo era iniziata e il 21 marzo 1939, infatti, la Germania chiese alla Polonia la città di Danzica e la disponibilità della striscia di terra che univa quella città alla Polonia (il corridoio polacco). Nel 1939, anche l'Italia fascista si allineò alla politica aggressiva della Germania: in aprile le truppe italiane occuparono l'Albania che venne annessa all'impero; contemporaneamente Mussolini rivendico Tunisi, Gibuti, Nizza, la Savoia, la Corsica. Il rapporto di amicizia fra Italia e Germania venne rafforzato con un'alleanza militare: il 22 maggio 1939 venne firmato il Patto d'acciaio che sanciva l'impegno a fornirsi reciproco aiuto in caso di guerra, sia offensiva che difensiva.

Nella prospettiva di iniziare la guerra, Hitler però voleva garantirsi la neutralità dell'Unione Sovietica. In caso di attacco alla Polonia, infatti, l'intervento di Stalin sul fronte orientale poteva rivelarsi pericoloso. Il cinismo politico prevalse sull'ideologia: nonostante l'odio feroce, i due dittatori strinsero un accordo diplomatico. Tra lo sbigottimento degli antifascisti europei, il 23 agosto 1939 i ministri degli Esteri dei due Paesi, von Ribbentrop e Molotov, firmarono un patto di non aggressione della durata di dieci anni. A questo patto ufficiale si univa un protocollo segreto che precisava:


La Seconda guerra mondiale

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L’1 settembre 1939 la Germania attaccò la Polonia e la costrinse alla resa nel giro di sole tre settimane.

Il 3 settembre la Francia e la Gran Bretagna dichiararono guerra alla Germania.

Il 17 settembre anche l’Unione Sovietica, rivendicando i diritti derivanti dal Patto Molotov - Ribebentrop iniziò l’occupazione della parte orientale della Polonia.

Nei mesi successivi sul fronte occidenatale le operazioni militari attraversarono una fase di stallo.


Nella fase di stallo i Tedeschi ebbero modo di riorganizzare le proprie forze e in primavera ripresero le operazioni.

Il 9 aprile 1940 la Germani attaccò la Danimarca e la Norvegia.

La prima venne subito occupata senza difficoltà, la seconda si arrese due mesi dopo.

La Germania sembrava davvero in grado di realizzare una guerra lampo.

D’altra parte era l0uinca strategia che offrisse possibilità di successo alla Germania.


Mentre l’esercito tedesco stava ancora completando l’invasione della Norvegia, il 10 maggio 1940 Hitler decise di attaccare a sorpresa la Francia.

L’esercito tedesco occupò rapidamente il Nord della Francia e raggiunse Parigi il 14 giugno.

Per la Francia ora si aprivano due strade: o continuare il conflitto con la Germania o scendere a patti con essa.

Precalse la seconda ipotesi.

L’armistizio tra Francia e Germania fu concluso il 22 giugno 1940 e il territorio francese venne diviso in due parti:

  • La francia centro - nord sotto l’occupazione tedesca;
  • La Francia centro - sud istituì un governo collaborazionista con sede a Vichy e guidato da Pétain.

Il generale Charles de Gaulle, rifugiatosi a Londra, lanciò attraverso la radio inglese un invito ai Francesi affichè resistessero agli invasori.


Nel 1939 l’Italia si trovò in una posizione difficile.

Mussolini si era impegnato con il Patto d’acciaio ad aiutare la Germania in caso di guerra.

Però non era pronta ad affrontare un conflitto poichè la guerra di Etiopia e quella di Spagna avevano gravemente compromesso sia le finanze che l’esercito.

I successi della Germania e soprattutto il crollo della Francia indussero Mussolini a pensare che la guerra si sarebbe risolta in fretta a vantaggio dei Tedeschi e che per l’Italia sarebbe stato uno smacco non partecipare ai profitti della vittoria.

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Il 10 giugno 1940 l’Italia entrò in guerra contro la Francia e l’Inghilterra.

Dopo la sconfitta della Francia, solo la Gran Bretagna poteva continuare la guerra contro la Germania.

Nel maggio 1940 divenne Primo ministro Winston Churchill, che aveva disapprovato la politica di appeasement.

Hitler cercò di aprire le trattative con la Gran Bretagna, mostrandosi disposto a firmare la pace purchè gli venissero riconosciute le conquiste.

Ma nessuno era d’accorrdo.

Tra agosto e settembre i Tedeschi tentarono la mossa decisiva: lo sbarco sulle coste britanniche.

Per due mesi la RAF inglese e l’aviazione Tedesca si scontrarono nella “battaglia d’Inghilterra”.

Ma la RAF riuscì a infliggere ai Tedeschi pesanti perdite.

Perciò il 17 settembre Hitler dovette rinunciare all’invasione della Gran Bretagna.

Erano stati rafforzati anche i legami con il Giappone, giungendo alla firma del Patto tripartito (Germania, Italia, Giappone).


📍2. 1941: la guerra mondiale.

Nella primavera del 1941 la Germania fu costretta a intervenire a sostegno dell’Italia, che stava rischiando una pericolosa disfatta militare:

  • nel Nord Africa
  • nei Balcani.

L’Italia rinunciò così a qualsiasi illusione di poter svolgere un ruolo autonomo nella guerra.

Hitler aveva sconfitto tutti i rivali in Europa e poteva puntare all’estensione delle conquiste del Reich.


Il progetto di hitler era quello di conquistare lo “spazio vitale” per la Germania occupando le regioni dell’Est europeo.

In questa prospettiva era evidente che il patto tra URSS e Germania per la sprtizione della Polonia aveva un carattere solo temporaneo.

I motivi che inducevano Hitler alla conquista dell’Unione Sovietica erano molteplici:

  • i popoli slavi erano ritenuti inferiori;
  • L’Unione Sovietica era la patria del comunismo;
  • La Russia era un territorio ricchissimo di materie prime.

Il 22 giugno 1941 la Germania invase la Russia seguendo il piano Barbarossa.

All’impresa partecipò anche l’Italia inviando il CSIR (Corpo Spedizione Italiano in Russia).

Alla fine dell’autunno l’avanzata si arrestò, anche se non definitivamente, Col sopraggiungere del lungo e freddo inverno russo, si passò anche qui dalla “guerra lampo” alla guerra di logoramento.


Nel corso degli anni Trenta, il Giappone aveva intrapreso a spese della Cina una aggresiva politica espansionistica.

Le conquiste misero il Giappone in contrasto con la Gran Bretagna, la Francia e soprattutto gli Stati Uniti.

Nel quadro di questa politica espansionistica, nel luglio 1941, approfittando della situazione di debolezza della Francia, i Giapponesi occuparono l’indocina francese.

Il 7 dicembre 1941 i Giapponesi attaccarono, senza formale dichiarazione di guerra, la flotta degli Stati Uniti ancorata a Pearl Harbor (FILM).

Il giorno dopo, l’8 dicembre 1941, gli Stati Uniti e la Gran Bretaga dichiararono guerra al Giappone, che veniva subito sostenuto dalla Germania e dall’Italia.


Negli anni Trenta gli Stati Uniti avevano proseguito la propria politica di isolamento intrapresa alla fine della prima guerra mondiale e accentuata in seguito alla crisi del 1929.

Il presidente Roosvelt si impegnò invece in senso opposto.

L’avvicinamento fra la Gran Bretagna e gli USA si concretizzò nella redazione della Carta Atlantica (1941).

L’attaccio giapponese di Pearl Harbor indusse gli Stati uniti ad abbandonare definitivamente l’isolazionismo.


📍3. Il dominio nazista in Europa.

Nel 1942 il dominio della Germania nazista in Europa rraggiunse la sua massima espansione.

Il nazismo intendeva costruire una “nuova Europa” basata sulla supremazia della Germania.

I popoli slavi dovevano semplicemente fornire la manodopera e le risorse necessarie a sostenere l’economia del Reich. Per questo il dominio nazista fu particolarmente brutale in Polonia e in Unione Sovietica.

Se gli Slavi dovevano essere tenuti in condizione di schiavità, gli Ebrei andavano completamente sterminati. Perciò i nazisti crearono i lager, cioè campi di concentramento e di sterminio.

In Germani gli Ebrei erano già stati sottoposti a discriminazioni e persecuzioni, poi, nel 1938, dopo la “notte dei cristalli” iniziò la deportazione.

Nel 1942 Hitler decise di mettere in atto la “soluzione finale”, cioè lo sterminio organizzato di tutti gli Ebrei d’Europa.

Si realizzò così l’Olocausto, oppure, come preferiscono dire gli Ebrei stessi, la Shoah.

Si tratta di un vero e proprio genocidio.

Questo termine venne usato per la prima volta al processo di Norimberga, in cui i capi nazisti vennero condannati.


In tutti i Paesi occupati dall’esercito nazista si sviluppavano movimenti di opposizione e di liberazione.

La resistenza al nazismo ebbe modalità, tempi ed esiti molto diversi.

In Francia la resistenza venne guidata da de Gaulle.

In Iugoslavia da Tito.

Nella stessa Germania una parte dell’esercito si oppose al regime, arrivando a organizzare un attentato a Hitler.

In Italia la Resistenza fu un fenomeno complesso al cui interno si manifestarono profondi contrasti politici.


Fenomeno opposto alla resistenza fu il collaborazionismo.

In tutti i Paesi ci furono persone o gruppi che appoggiarono gli invasori, in modo diverso e secondo le proprie possibilità.

il primo clamoroso esempio al riguardo fu quello del norvegese Vidkun Quisling.


📍4. 1942-43: la svolta.

L’entrata in guerra degli Stati Uniti determinò le prime sconfitte per gli eserciti del Patto Tripartito.

Tra il l1942-43 il l’andamento del conflitto subì una svolta decisiva a vantaggio degli Alleati, cioè degli Anglo - Americani.

Anche nell’area dell’Atlantico si manifestò la superiorità degli Alleati.

Gli Anglo Americani riuscirono a difendere efficacemente la propria flotta e a spezzare l’accerchiamento die Tedeschi.

Dopo aver vinto i nazisti nella “battaglia dell’Atlantico”, gli Alleati volsero il loro impegno in Africa.


Sul fronte orientale, lo scontro tra Russi e Tedeschi diventava molto più lungo e difficile.

Nel giugno 1942 la Germania lanciò un’offensiva con l’oviettivo di conquistare le regioni del Caucaso, ricche di petrolio.

Le forze dell’Asse riportarono alcuni iniziali successi, ma poi i Sovietici passarono al contrattacco.

Nel luglio 1942 iniziò la battaglia di Stalingrado.

La città venne assediata per sette mesi, Hitler ordinò la resistenza a oltranza, ma nel febbraio 1943 i Sovietici costrinsero i Tedeschi alla resa.

A Stalingrado i Tedeschi subirono la più grande sconfitta, una sconfitta che mostrò chiaramente come le sorti del conflitto si fossero ormai capovolte.


Dopo la vittoria in Africa, gli Anglo-Americani avevano assunto il controllo del Mediterraneo e poterono rivolgersi all’Italia.

Il 10 luglio 1943 gli Alleati sbaracono in Sicilia.

Il 23 luglio occuparono Palermo e nel giro di un mese si impadronirono di tutta l’isola.

Gli Alleati vennero accolti come liberatori.

La guerra voluta da Mussolini aveva portato alla popolazione sofferenze enormi.


La caduta del fascismo non fu determinata però dalle proteste popolari né dalle forze politiche antifasciste.

Mussolini fu esautorata dalla monarchia, che intedeva a quel punto dissociarsi dalla prevedibile disfatta del regime.

Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 il duce venne messo in minoranza dal Gran Consiglio del fascismo.

Il re Vittorio Emanuele III esonerò Mussolini dalla carica di Primo Ministro e lo fece arrestare.

L’incarico di formare un nuovo governo venne affidato a Pietro Badoglio.

Badoglio prese contatto con gli Alleati e il 3 settembre 1943 a Cassibile firmò l’armistizio che fu reso pubblico solo l’8 settembre.

Il 9 settembre gli Alleati sbarcarono a Salerno, la loro avanzata venne fermata dai Tedeschi che si attestarono lungo la linea Gustav.

Il 12 settembre i tedeschi liberarono Mussolini, pochi giorni dopo il duce costituì al Nord un uovo stato fascista sottomesso alla Germania, la Repubblica Sociale Italiana (RSI) con capitale a Salò.


📍5. 1944-45: la vittoria degli Alleati.

Nel 1944 gli eserciti anglo - americani proseguirono la loro avanzata.

In Italia gli Alleati sfondarono la linea Gustav e liberarono Roma.

I tedeschi furono costretti a ritirarsi verso nord e si attestarono lungo la linea gotica.

Dopoa ver liberato tutto il territorio russo, l’Armata Rossa si spinse verso l’Europa centrale puntando sulla Germania.


Il 2944 per gli Alleati fu l’anno dell’apertura in Europa di un “secondo fronte”.

I tre alleati scelsero di attuare uno sbarco in Normandia, nel Nord della Francia.

Nella notte tra il 5 e il 6 giugno, sotto il comando del generale Eisenhower un esercito iniziò a invadere la Normandia.

I Tedeschi resistettero accanitamente.

Ma dopo due mesi di combattimenti gli Alleati riuscirono a sfondare le difese.

Il 26 agosto 1944 gli Alleati e il generale de Gaulle entravano a Parigi.


il 25 aprile 1945 le avanguardie americane si incontrarono con le avanguardie sovietiche.

Negli stessi giorni l’Italia veniva liberata e i Tedeschi iniziavano la ritirata.

Il 30 aprile Hitler si suicidò.

Il suo successore, Karl Donitz, firmò il 7 maggio 1945 la resa senza condizinoi.


Nella primavera del 1945 la guerra era ormai finita in Europa, ma continuava nell’Oceano pacifico.

I Giapponesi resistevano accanitamente affidandosi anche ai kamikaze.

Il Giappone era ormai militarmente sconfitto, la resa appariva inevitabile ma no nimminente,

Il presidente americano Roosvelt morì e gli succedette Harry Truman, che decise di piegare definitivamente il Giappone usando la bomba atomica.

Il 6 agosto 1945 una bomba rase quasi completamente al suolo la città di Hiroshima.

Il 9 agosto 1945 fu la volta di Nagasaki.

Al Giappone non restava che chiedere la resa senza condizioni, che venne firmata il 2 settembre 1945.


📍6. Dalla guerra totale ai progetti di pace.

Con la prima guerra mondiale si affermò un nuovo tipo di conflitto: la guerra totale.

Con il secondo conflitto mondiale l’umanità sperimentò l’esasperazione di tale motivo.

Fu una guerra tecnologica: vennero utilizzato strumenti nuovi e nuove armi e tecniche d’attacco sempre più distruttive.


Le potenze alleate raggiunsero progressivamente l’accordo di massima che avrebbe poi caratterizzato le soluzioni post-belliche.

Il primo passo al riguardo fu la firma da parte di Roosvelt e Churchill, nell’agosto del 1941, della Carta Atlantica, che san la solidarietà ideale e politica tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.


Conferenza di Teheran

Verso la fine del 1943 apparve chiaro che la guerra era giunta a una svolta favorevole per gli Alleati.

Nel novembre-dicembre 1943 si svolse a Teheran un importante incontro a cui parteciparono i “tre grandi” (Roosvelt, Churchill, Stalin).

Concordarono l’apertura di un nuovo fronte in Francia, che sarebbe poi diventato lo sbarco in Normandia.


Conferenza di Yalta

I “tre grandi” si incontrarono a Yalta nel febbraio 1945.

in questa occasione l’URSS si impegnò a entrare in guerra contro il Giappone.

La Germania venne divisa in quattro zone di occupazione controllate da Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna e Francia.

Vennero prese anche importanti decisioni riguardanti lo scioglimento dell’esercito tedesco e la “denazificazione” del Paese e il pagamento da parte della Germania dei danni di guerra.


La conferenza di Potsdam

Roosvelt, già malato e prossimo alla morte, venne sostituito da Harry Truman, che assunse un atteggiamento ben più rigido alla conferenza di Potsdam, nel luglio-agosto 1945.

Il disaccordo tra Stati Uniti e Unione Sovietica determinò un certo stallo nelle trattative.

Venne comunque deciso di non procedere, per il momento, allo smembramento della Germania.

Era l’inizio dell’esplodere di quella rivalità internazionale che avrebbe portato le due superpotenze alla “guerra fredda”.


📍7. La guerra e la Resistenza in Italia dal 1943 al 1945.

L’8 settembre 1943 fu dato l’annuncio dell’armistizio che l’Italia aveva concluso con gli Anglo Americani, ma nessuno si preoccupò di chiarire come i soldati dovessero comportarsi nei confronti dei vecchi alleati tedeschi.

I Tedeschi catturarono migliaia di militari, inviandoli nei campi di prigionia in Germania.

Alla fine di settembre il Paese era diviso in due:

  • Centro Nord governato dalla Repubblica di Salò, fondata da Mussolini.
  • Centro Sud sotto il Regno d’Italia, appoggiato dagli Alleati.

Il Regno d’Italia il 13 settembre dichiarò guerra alla Germania, da questo nacque la Resistenza.

Alcuni italiano, specie tra i giovani, giudicarono un “tradimento” il voltafaccia della monarchia e la rottura dell’alleanza con i Tedeschi e si schierarono dalla parte di Mussolini.

Altri scelsero di schierarsi contro i fascisti e contro i Tedeschi, divenendo “partigiani”.

Così anche in Italia iniziò la Resistenza.


Fra il settembre e dicembre 1943 diverse bande partigiane entrarono in azione al Centro e al Nord.

I partigiani agivano con sabotaggi, azioni di disturbo, attentati a cui i Tedeschi spesso risposero con feroci rappresaglie.


Si costituì a Roma il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) che cercò soprattutto di coordinare l’azione dei partigiani.

ADerirono al CLN il Partito ocmunista e quello socialista, il Partito liberale, il Partito d’Azione, la Democrazia Cristiana e la Democrazia del Lavoro.

Queste forze politiche era accomunate dal’idele antifascista ma erano molto eterogenee per altri aspetti.


Gli esponenti del CLN erano divisi anche sulla questione istituzionale, cioè sulla sorte della monarchia italiana.

La situazione si sblocco nel marzo 1944, quando il segretario del partito comunista Palmiro Togliatti dichiarò in un celebre discorso tenuto a Salerno che per il momento era necessario unire tutte le forze per librerare l’Italia dai nazisti.


Nel giugno 1944 Roma venne liberata dagli Alleati.

Badoglio si dimise e venne affidato a Ivanoe Bonomi l’incarico di formare un nuovo governo.

La repubblica di Salò inasprì la persecuzione nei confronti degli Ebrei, il 30 novembre 1943 venne ordinato che tutti gli Ebrei fossero internati in campi di concentramento nazionali.


Con la caduta del fascismo, si aprì il periodo più buio per gli Ebrei italiani.

Gli ebrei italiani deportati furono più di ottomila, e solo mille fecero ritorno.


Nel 1944 il numero dei partigiani aumentò e la loro azione divenne particolarmente incisiva.

Alcune città, come Firenze, vennero liberate senza l’intervento Anglo Americano.

→ Episodio delle fosse ardeatine.


La Resistenza visse il suo momento più difficile fra il 1944 e il 1945.

La situazione si fece estremamente difficile, sia perchè gli aiuto inviati dagli Alleati non sempre erano sufficienti, sia perchè i Tedeschi attuarono una violenta controffensiva.


Nella primavera del 1945 gli Alleati ripresero l’offensiva e aumentarono in qualità e quantità i rifornimenti ai partigiani.

A metà aprile gli Anglo Americani sfondarono la linea gotica e, Genova e Milano il 25 aprile 1945 insorsero e si liberarono.

A Mussolini non restava che la fuga.

Cercò di fuggire vestito da soldato Tedecso, ma venne riconosciuto e fucilato da una formazione partigiana.

Il 30 aprile moriva suicida anche Hitler.


→ Sogno di un’Unione Europea, Manifesto di Ventotene (Rossi, Spinelli).


Cronologia essenziale della Seconda Guerra Mondiale

DataEvento
1 settembre 1939La Germania invade la Polonia. Inizia la Seconda Guerra Mondiale.
3 settembre 1939Francia e Gran Bretagna dichiarano guerra alla Germania. Mussolini dichiara la «non belligeranza» dell'Italia.
novembre 1939Attacco sovietico alla Finlandia.
apr.-giu. 1940La Germania occupa la Danimarca e la Norvegia.
10 maggio 1940La Germania attacca la Francia.
13 maggio 1940In Gran Bretagna Winston Churchill diventa primo ministro.
10 giugno 1940L'Italia entra in guerra a fianco della Germania.
14 giugno 1940I Tedeschi entrano a Parigi. Armistizio e Governo di Vichy.
estate 1940Offensiva italiana in Africa.
ago.-set. 1940Battaglia aerea d'Inghilterra («Operazione Leone Marino»).
27 settembre 1940Patto tripartito tra Germania, Italia e Giappone.
28 ottobre 1940L'Italia attacca la Grecia, senza successo.
ott. '40-feb. '41Controffensiva inglese in Africa.
aprile 1941L'esercito tedesco interviene nei Balcani e in Africa. Italiani e Tedeschi occupano la Jugoslavia, la Grecia e riconquistano parte della Libia. Fine della “guerra parallela”.
maggio 1941Gli Inglesi occupano Addis Abeba (Etiopia), sottraendola agli Italiani.
22 giugno 1941I Tedeschi invadono l'URSS («Operazione Barbarossa»).
7 dicembre 1941Il Giappone attacca la flotta americana a Pearl Harbor. Gli Stati Uniti entrano in guerra.
11 dicembre 1941Germania e Italia dichiarano guerra agli Stati Uniti d'America.
20 gennaio 1942Conferenza di Wannsee: i nazisti decidono la soluzione finale del problema ebraico.
gen.-mag. 1942Avanzata giapponese in Asia.
gen.-giu. 1942Avanzata italo-tedesca in Africa.
mag.-giu. 1942Battaglie navali nell'Oceano Pacifico (Mar dei Coralli e Midway). Prime sconfitte del Giappone.
set. '42-feb. '43Battaglia di Stalingrado. Sconfitta dell'esercito tedesco.
23 ott.-3 nov. 1942Battaglia di El Alamein. Sconfitta italo-tedesca.
8 novembre 1942Sbarco anglo-americano in Marocco.
23 gennaio 1943Conferenza di Casablanca (Inglesi e Americani decidono lo sbarco in Italia e il principio della resa incondizionata da imporre agli avversari)
15 maggio 1943Resa italo-tedesca in Tunisia. Gli Anglo-Americani preparano lo sbarco in Italia.
10 luglio 1943Sbarco anglo-americano in Sicilia («Operazione Husky»)
25 luglio 1943Il Gran consiglio del fascismo destituisce Mussolini, il Re lo fa imprigionare e affida il governo al Generale Badoglio.
3 settembre 1943A Cassibile (Siracusa) firma segreta dell'armistizio “corto” dell'Italia con gli anglo-americani.
8 settembre 1943Proclamazione alla radio dell'armistizio. Fuga del Re e di Badoglio a Brindisi. Nasce il “Regno del Sud”. Sbarco a Salerno degli anglo-americani. I Tedeschi occupano l'Italia fino a Salerno. Circa 800.000 soldati italiani, lasciati senza direttive, vengono deportati nei Lager nazisti.
9 settembre 1943Nasce a Roma il C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) organismo politico della Resistenza italiana.
12 settembre 1943Mussolini liberato dai Tedeschi a Campo Imperatore sul Gran Sasso.
23 settembre 1943Nasce la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) con capitale a Salò.
29 settembre 1943Firma a Malta dell'armistizio “lungo” (strumento di resa incondizionata dell'Italia).
13 ottobre 1943L'Italia dichiara guerra alla Germania. Formazione del Corpo di liberazione italiano.
gennaio 1944Gli Alleati sbarcano ad Anzio.
marzo 1944Svolta di Salerno (Togliatti convince i membri del C.L.N. ad entrare nel governo Badoglio; la questione istituzionale viene rimandata alla fine della guerra).
4 giugno 1944Liberazione di Roma. Formazione del governo del C.L.N. presieduto da Ivanoe Bonomi.
6 giugno 1944Sbarco degli Alleati in Normandia («Operazione Overlord»).
10 giugno 1944Comando unificato delle forze partigiane. Nasce il C.V.L.
24 agosto 1944Liberazione di Parigi.
set.-ott. 1944Le truppe sovietiche avanzano nell'Europa orientale.
febbraio 1945Conferenza di Yalta.
25 aprile 1945Insurrezione generale proclamata dal C.L.N.A.I I partigiani liberano Milano
28 aprile 1945Fucilazione di Mussolini a Giulino di Mezzegra (Como)
29 aprile 1945Resa dei tedeschi in Italia (effettiva dal 2 maggio).
30 aprile 1945Adolf Hitler si suicida nel suo bunker a Berlino.
2 maggio 1945I Russi entrano a Berlino.
8 maggio 1945Resa incondizionata della Germania.
17 lug.-2 ago. 1945Conferenza di Potsdam.
6 agosto 1945Bomba atomica su Hiroshima (Giappone).
9 agosto 1945Bomba atomica su Nagasaki (Giappone).
2 settembre 1945Resa del Giappone. Fine della Seconda Guerra Mondiale.

La Seconda Guerra Mondiale in Sintesi


Le origini della Guerra fredda

L’Europa uscì dalla guerra in condizioni disastrose:


Stati Uniti e Unione Sovietica erano le due superpotenze e sovrastavano tutte le altre per forza economica e militare.

Venne decisa la costituzione di una nuova organizzazione internazionale, fondata il 24 giugno 1945 fu chiamata ONU.

L’ONU si proponeva lo stesso obiettico della Società delle Nazioni, nata alla fine della prima guerra mondiale: un futuro di pace e prosperità.


Lo Statuto dell’ìOnu fu l’espressione di due diverse concezioni: quella utopistica che richiamava i principi di libertà dei popoli di Wilson; e quella realistica, espressione della visione di Roosevelt.

Ispirato al principio di solidarietà è il lavoro svolto dalle agenzie dell’ONU, come l’UNESCO.


Fra il luglio el ‘ottobre del 1946 si svolse a Parigi la Conferenza di pace.

A Parigi non fu neanche possibile trovare un’intesa per definire la nuova sistemazione della Germania, il Paese così venne diviso in due parti, che corrispondevano ai territori occupati dagli eserciti:

  • A Ovest, controllato dagli Anglo Americani, sorse la Repubblica Federale Tedesca.
  • A Est, controllato dall’Armata Rossa, nacque la Repubblica Democratica Tedesca: uno stato comunista.

Anche Berlino venne divisa in due parti:

  • Berlino Est controllata dai Sovietici;
  • Berlino Ovest controllata dagli Americani, Inglesi e Francesi.


L’Austria tornò a essere indipendente.

L’Unione Sovietica recuperò alcuni territori che aveva perso con la prima guerra mondiale.

L’Italia perse tutte le colone.

Il Giappone restò sotto l’occupazione militare americana fino al 1951.


📍2. La divisione del mondo

Dottrina Truman: “La nascita dei regimi totalitari è favorita dalla miseria e dalla privazione. Essa si sviluppa al massimo quando è morta la speranza del popolo in una vita migliore”.

Gli Americani dovevano appoggiare i partiti anticomunisti e aiutare l’Europa nella difficile ricostruzione della loro economia.


Per sostenere i paesi Europei, Truman fece organizzare un grande programma di aiuti.

Noto come piano Marshall, il programma di aiuti americani, entrò in funzione nel 1948.

Sempre nel 1947, Andrej Zdanov, ideologo di Stalin, rispose alla dtorrina Truman e al piano Marshall con un discorso in cui denunciava l’espansionismo degli Stati Uniti e concludeva affermando la necessità che i Paesi comunisti costituissero tra loro un blocco in grado di contrapporsi.

Nel 1949 l’Unione Sovietica promosse la costituzione del COMECON.

Sempre il 1949 è l’anno di fondazione della Repubblica popolare Cinese.

La cina si alleò inizialmente con l’Unione Sovietica, ma non durò a lungo questa alleanza.


Nel 1949 gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia, il Beglio, i Paesi Bassi, il Lussemburgo, il Canada, la Norvegia, la Danimarca, l’Islanda, il Portogallo e l’Italia firmarono il Patto Atlantico.

Con tale patto tutti questi Stati si organizzavano in un’alleanza militare: la NATO.

Nel 1955 anche i Paesi comunisti si unirono in un’alleanza militare: il Patto di Varsavia.


Il mondo ormai era diviso in due blocchi contrapposti:

  • Quello occidentale guidato dagli Stati Uniti, con un’economia capitalista.
  • Quello comunista, guidato dall’Unione Sovietica, con un’economia controllata dallo stato.


📍3. La grande competizione

Il primo passo concreto in direzione dell’unità europea fu la costituzione della CECA (Comunità Europa Carbone e Acciaio) nel 1951.

Nel 1957 venne firmato tra sei Stati europe il Trattato di Roma che istituiva la CEE (Comunità Economica Europea).


Negli anni della guerra fredda USA e URSS cercarono di estendere le proprie zone di influenza, sostenendo governi a loro favorevoli in diverse parti del mondo.

La prima grave cristi riguardà Berlino.

Una parte della città era controllata dalle potenze occidentali, ma Berlino si trovava interamente nella Germania comunista.

Nel giugno 1948 i Sovietici decisero di bloccare ogni via d’accesso alla città.

L’Europa sembrò sull’orlo di una nuova guerra.

Ma la crisi si risolse senza conseguenze militari.


📍4. La comunità Europea

Il piano Marshall fu di grande stimolo per l’Europa che venne spronata dagli Stati Uniti all’unità per favorire la circolazione delle merci.

Il progetto di un’unione europea venne portato avanti da uomini di diverso orientamento politico.

Il primo passo concreto fu la costituzione della CECA nel 1951.

Il successo della CECA stimolò i governi a una soluzione di più ampio respiro: nel 1957 venne firmato il Trattato di Roma che istituiva la CEE.

Si formava intanto il MEC (Mercato Comune Europeo), con il graduale abbattimento delle tariffe doganali e di tutto ciò che era di ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle merci.


La decolonizzazione

📍1. Il processo di decolonizzazione

Dopo la seconda guerra mondiale le potenze europee che avevano costruito i loro imperi coloniali in Africa e in Asia non furono più in grado di mantenerne il controllo.

Il conflitto mondiale aveva dato la spinta decisiva alla fine degli imperi coloniali.

Tra le due guerre erano sorti i primi movimenti o partiti indipendentisti: il conflitto generalizzò questa situazione suscitando nelle colonie il sentimento nazionale e il desiderio di indipendenza.

Così già nel 1941 la Francia fu costretta a riconoscere, almeno formalmente, l’indipendenza di Libano e Siria. Nel 1942 Gandhi incitò gli Indiani a cacciare gli Inglesi e nel 1943 il leader nazionalista algerino Ferhat Abbas lanciò il Manifesto del popolo algerino con la richiesta dell’abolizione della colonizzazione.

Infine, nel 1944, al Congresso panafricano di Manchester i delegati rivendicarono l’indipendenza dei Paesi africani, da ottenere anche con la forza.

La decolonizzazione è il processo storico che ha portato alla fine degli imperi coloniali e all’indipendenza dei popoli afroasiatici.

Il processo di decolonizzazione durò circa quarant’anni (dagli anni Quaranta agli anni Ottanta).

In alcuni casi l’indipendenza fu raggiunta per via pacifica, con trattative tra la madrepatria e i gruppi dirigenti locali; in altri casi avvenne per via violenta, con una guerra di liberazione.

La Gran Bretagna per esempio, avviò gradualmente all’indipendenza le colonie, trasformando l’impero nel Commonwealth (libera associazione di popoli uniti nella ricerca del “bene comune” sotto l’egida di Sua Maestà britannica).

La Francia invece oppose una dura resistenza ai movimenti di liberazione.

Fattore decisivo per lo smantellamento degli imperi coloniali fu la pressione degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica.

I due vincitori del secondo conflitto mondiale erano contrati al colonialismo: gli USA in nome della libertà dei popoli, l’URSS in nome del comunismo.

Fin dal 1919 il presidente americano Wilson aveva dichiarato la necessità di una libera sistemazione di tutte le rivendicazioni coloniali, con attenzione alle esigenze delle popolazioni interessate.

La Carta Atlantica del 1941 aveva proclamato il “diritto di tutti i popoli a scegliere la forma di governo da cui intendevano essere retti”.

Da parte sua l’URSS tendeva a mostrarsi come il nemico numero uno del colonialismo.

Entrambe le superpotenze in realtà avevano l’obiettivo di allargare le loro zone d’influenza e fecero pesare in seguito la loro egemonia economica e politica nei Paesi dell’Africa e dell’Asia.

Il principio di autodeterminazione dei popoli ispirò poi le attività dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Di fatto l’ONU non riuscì a imporre ovunque il rispetto dei princìpi di uguaglianza dei diritti, ma ricoprì comunque un ruolo importante nella lotta al colonialismo.

Critiche al colonialismo vennero infine anche dall’opinione pubblica e in particolare dalle Chiese.

Da parte dei paesi colonizzatori non mancarono anche motivi di semplice interesse.

Mantenere un controllo politico sulle colonie comportava costi assai consistenti. Decisamente più conveniente era infatti abbandonare il controllo politico diretto della colonia e mantenere quello economico: il colonialismo si trasformava così in neocolonialismo.

Dal punto di vista politico la democrazia di tipo europeo si affermò solo raramente. Spesso prevalsero regimi autoritari di destra o di sinistra: vere e proprie dittature militari.

📍2. La decolonizzazione nel Medio Oriente

Nei primi decenni del Novecento si sviluppò nel Medio Oriente un movimento nazionale arabo che si rivolse prima contro la dominazione ottomana e in seguito contro le potenze colonialiste.

Alla fine della prima guerra mondiale, Francia e Gran Bretagna si erano accordate per spartirsi i territori mediorientali: la Francia aveva ottenuto il mandato in Siria e Libano, la Gran Bretagna in Iraq e Palestina.

I mandanti dovevano avviare all’indipendenza i popoli sottomessi, ma solo l’Iraq raggiunse presto l’indipendenza (1931), gli altri Paesi dovettero attendere la seconda guerra mondiale.

Durante il conflitto il premier inglese Churchill appoggiò decisamente le rivendicazioni nazionalistiche arabe, con l’obiettivo di estendere l’influenza britannica in Medio Oriente.

La pressione inglese indusse la Francia a riconoscere formalmente l’indipendenza di Libano e Siria; Il processo si completò nel 1946 quando i Francesi furono costretti a ritirare definitivamente le truppe.

Nel frattempo, il 22 marzo 1945 era nata la Lega Araba, che raggruppava Libano, Siria, Iraq, Egitto e Arabia Saudita. Unita da scopi di cooperazione economica e politica, la Lega Araba sul piano politico si pose come obiettivo la nascita di un nuovo Stato arabo in Palestina, contro la volontà di creare uno Stato ebraico.

La scoperta degli orrori dei campi di sterminio nazisti aveva creato a livello internazionale un movimento di opinione pubblica favorevole alla nascita di uno Stato ebraico, che fosse anche un rifugio per sopravvissuti.

La causa sionista, ovvero della dottrina politica che afferma il diritto degli Ebrei ad avere uno Stato in Palestina, aveva forti alleati negli Stati Uniti, dove la comunità ebraica godeva di grande prestigio, ma fu ostacolata dall’Inghilterra e soprattutto dalla Lega Araba.

Incitate anche dal leader ebreo David Ben Gurion le organizzazioni militari ebraiche passarono allo scontro armato anche contro gli inglesi.

Il 22 novembre 1947 l’ONU propose di dividere la Palestina in due Stati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme come zona internazionale.

Gli Ebrei accettarono la spartizione, ma la Lega Araba rifiutò e si dichiarò pronta a combattere.

Il 14 maggio del 1948, alla partenza degli inglesi, Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato di Israele.

La Lega Araba il giorno successivo attaccò.

La prima guerra arabo-israeliana si risolse con la sconfitta delle truppe arabe e l’affermazione definitiva dello Stato d’Israele.

Al termine del conflitto i confini israeliani si espansero del 40% e lo Stato arabo non potè vedere la luce e la questione palestinese emerse in tutta la sua gravità.

Un milione di profughi arabi fuggirono dai territori conquistati dagli Israeliani per rifugiarsi nei Paesi vicini.

Le conseguenze del conflitto trasformarono l’area in un teatro di guerra che dura fino ai nostri giorni.

Nel 1964 nacque l’Organizzazione per Liberazione della Palestina (OLP), con lo scopo di addestrare i Palestinesi a combattere Israele per la nascita di uno Stato palestinese.

📍3. La decolonizzazione in Asia

L’India era da più di un secolo il fulcro dell’Impero britannico.

Tra la prima e la seconda guerra mondiale la richiesta di indipendenza da parte indiana divenne sempre più pressante. La lotta era sostenuta dal Partito del Congresso, espressione della borghesia indù, ma coinvolse ben presto l’intera popolazione, grazie all’influenza del Mahatma Gandhi.

Nel 1915 divenne una delle figure centrali del Partito del Congresso e impostò la lotta per l’indipendenza sulla non-violenza.

Tra il 1941 e il 1942 promosse un movimento di resistenza non violenta alla guerra e agli Inglesi.

Così, anche per timore che l’India potesse schierarsi col nemico giapponese, il governo britannico promise la concessione dell’indipendenza.

Alla fine della guerra, la Gran Bretagna aprì i negoziati per trattare il trasferimento del potere.

Il problema più grave indiano era rappresentato dalla difficile coesistenza delle comunità religiose induista e musulmana.

Mentre Gandhi sosteneva la necessità di creare un unico Stato laico, dove potessero convivere le due comunità, la lega musulmana reclamava la separazione del Paesi in due Stati.

il 15 agosto 1947 nacquero l’Unione indiana, a maggioranza indù, e il Pakistan, musulmano.

Con la nascita dei due Stati i conflitti non cessarono, lo stesso Gandhi fu vittima di quel clima di odio, venne infatti assassinato da un fanatico che gli rimproverava di credere ancora nella riconciliazione.

Durante la seconda guerra mondiale il Giappone aveva occupato le colonie inglesi, francesi e olandesi del Sud-Est asiatico.

L’arrivo dei Giapponesi rappresentò un duro colpo per il colonialismo europeo: molte popolazioni locali vissero il fatto come una liberazione.

Il 17 agosto 1945 i nazionalisti indonesiani giunsero a un’intesa con l’Olanda e proclamarono la Repubblica indipendente con presidente Sukarno.

L’anno successivo gli Olandesi tentarono di riprendere il controllo ma, per volontà di USA, URSS e India, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU impose all’Olanda il cessate il fuoco e la riapertura dei negoziati: la Repubblica degli Stati Uniti d’Indonesia fu riconosciuta ufficialmente nel 1949.

Nell’ex Indocina francese era sorta la Lega per l’indipendenza guidata dal leader comunista HO Chi Minh.

Ho Chi Minh proclamò ad Hanoi la Repubblica Democratica del Vietnam.

I Francesi non riconobbero il nuovo Stato e l’anno seguente rioccuparono la parte meridionale del Paese.

La guerra divampò in tutto il Paese.

Nel luglio del 1954 gli Accordi di Ginevra stabilirono il ritiro dei Francesi da tutta la penisola indocinese e decretarono la nascita dello Stato vietnamita.

Il Vietnam fu diviso in Vietnam del Sud a regime filoccidentale, e Vietnam del Nord a regime comunista. Questa separazione determinerà una guerra cruenta che coinvolgerà anche gli Stati Uniti.

📍4. La decolonizzazione nel Maghreb

Con il termine Maghreb si intende l’occidente della nazione araba.

Il primo stato del Maghreb a ottenere l’indipendenza fu la colonia italiana della Libia.

Fin dal 1947 con la firma del Trattato di pace di Parigi, l’Italia aveva dovuto rinunciare a tutti i suoi possedimenti in Africa.

Nel dicembre 1951 la Libia ottenne l’indipendenza e venne istituita la monarchia.

Nel 1969 un colpo di Stato di militari guidati dal colonnello Gheddafi depose la monarchia per instaurare la repubblica.

Il regime di Gheddafi si schierò con l’URSS, chiudendo le basi militari inglesi e americane.

In Marocco e Tunisia la Francia cercò di domare il movimento nazionalista arabo, alternando repressione militare e proposte di parziale autogoverno.

Infine nel 1956 la Francia concesse ufficialmente la piena indipendenza a tutti i Paesi.

L’indipendenza dell’Algeria fu al ungo ostacolata da circa un milione di coloni francesi insediati nel Paese. Il movimento nazionalista algerino si era sviluppato negli anni Trenta e dopo la seconda guerra mondiale.

A partire dagli anni Cinquanta il movimento nazionalista algerino si riogranizzò costituendo il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN).

La lotta contro i francesi si fece più cruenta, ne derivò una guerra aspra e violenta destinata a durare per otto anni.

Nel 1957 la battaglia di Algeri segnò il culmine dello scontro: per nove mesi l’intera città fu coinvolta nella guerriglia urbana.

Nella stessa Francia la guerra d’Algeria aveva creato una gravissima frattura politica, destinata a generare la cristi della Repubblica.

La crisi si concluse nel 1958 con il ritorno al potere di Charles de Gaulle.

Fu proprio de Gaulle a porre fine al conflitto. Le trattative con l’FNL portarono nel 1959 al riconoscimento del diritto dell’Algeria all’autodeterminazione.

📍5. La decolonizzazione nell’Africa Nera

Nel dopoguerra la sorte dell’ex colonia italiana dell’Eritrea fu affidata all’ONU, ma decidere del suo futuro non fu facile, a causa delle rivendicazione dell’Etiopia.

Nel 1991 la lotta si concluse con la vittoria dell’Eritrea che ottenne la piena indipendenza.

Meno drammatico fu invece il processo di decolonizzazione della Somalia.

Nel 1949 l’Italia ricevette dall’ONU l’incarico di amministrare l’ex colonia per avviarla alla completa autonomia.

Nel 1960 la Somalia italiana e la Somalia inglese divennero indipendenti e si unificarono per formare un unico stato.

Nel 1977 anche la Somalia francese ottenne l’indipendenza con il nome di Repubblica di Gibuti.

Il processo di emancipazione dei Paesi a sud del Sahara cominciò più tardi rispetto a quelli dell’Africa mediterranea, ma fu più rapido e meno violento.

Cominciò nell’Africa occidentale nel 1957 con l’indipendenza del Ghana.

Per quanto riguarda l’Africa nero francofona, nel 1958 tutte le colonie francesi accettarono con referendum locali di entrare a far parte della Comunità franco-africana proposta dal generale de Gaulle.

La prima colonia francese ad affrancarsi fu la Guinea.

Il 1960 vide la nascita di diciassette Stati africani indipendenti, tra cui Nigeria e Congo belga, per questo venne definito “Anno dell’Africa”.

IL processo di decolonizzazione fu pacifico ma spesso pilotato dalle potenze europee, in modo da trasmettere il potere ai gruppi politici più disposti a mantenere legami economici con loro, senza intaccare le vecchie strutture coloniali.

Nel 1960 ottenne l’indipendenza il Congo belga, ma il processo fu particolarmente drammatico.

I moti d’indipendenza guidati dal leader nazionalista convinsero il re del Belgio a concedere l’indipendenza, ma subito dopo scoppiò una sanguinosa guerra civile e vi fu un tentativo di secessione della regione mineraria del Katanga.

La guerra civile caratterizzò anche i primi anni della decolonizzazione in Nigeria divenuta indipendente alla fine del 1960.

Il Sudafrica rimase l’unico Stato del continente in cui i bianchi riuscirono a mantenere il pieno potere.

Il regime di apartheid, cioè di separazione razziale tra cinque milioni di bianchi e oltre venti milioni di neri, si inasprì tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

A nulla valsero le proteste dell’opinione pubblica internazionale, né le rivolte della comunità nera.

Il partito guidato da Nelson Mandela si batté con forza per i diritti civili dei neri, ma ogni rivendicazione fu puntualmente repressa dal regime.

Mandela fu arrestato e rinchiuso fino al 1990, anno in cui vennero abolite le leggi di segregazione razziale.

📍6. I problemi dell’America Latina

I Paesi dell’America Latina, già indipendenti da lunga data, non dovettero affrontare i problemi legati alla decolonizzazione e, negli anni del dopoguerra, poterono godere di un favorevole contesto politico.

Tuttavia, la condizione generale del continente era di arretratezza e soprattutto di dipendenza dagli Stati Uniti.

Nel 1948 venne creata, dietro iniziativa degli USA, l’Organizzazione degli Stati Americani che aveva lo scopo di rafforzare la cooperazione economica fra gli Stati del continente.

Nel periodo della seconda guerra mondiale i Paesi dell’America Latina avevano tratto importanti vantaggi economici dall’accresciuta richiesta di materie prime e di prodotti agricoli.

Fu soprattutto il ceto medio urbano a rafforzarsi.

Sensibili alle istanze del nazionalismo gli appartenenti ai ceti medi si opponevano al predominio delle oligarchie tradizionali ma anche ai tentativi di riscossa delle classi più povere.

Per questo in America Latina si verificarono soluzioni politiche di stampo sia liberale, sia populista, sia apertamente dittatoriale.

La costante presenza americana nell’ambito economico, le opposte volontà di cambiamento e di conservazione dei ceti più poveri e delle oligarchie dominanti, il crescente ruolo dell’esercito sono alla base dei frequenti e spesso violenti cambiamenti politici nei Paesi dell’America Latina.

Anche un grande Paese come il Brasile fu sconvolto da lotte civili.

Nel 1945 l’esercito rovesciò il governo.

Negli anni successivi i governi brasiliani avviarono una politica di industrializzazione e modernizzazione che ebbe il simbolo più significativo nella nuova capitale Brasilia.

Il Paese però non riuscì a liberarsi dalla dipendenza economica, né dalle evidenti disparità sociali e dagli squilibri interni.

L’economia brasiliana conobbe un notevole miglioramento ma gli squilibri sociali divennero ancora più drammatici.

Anche in Venezuela e Colombia si instaurarono regimi militari.

Sull’isola di Cuba si verificò un evento destinato a segnare profondamente la politica non soltanto latinoamericana.

Nel gennaio 1959 la dittatura reazionaria venne abbattuta da un movimento rivoluzionario guidato da Fidel Castro, dopo tre anni di guerriglia iniziata sulla Sierra Maestra.

Subito Castro, che si ispirava a ideali democratici e riformisti, iniziò una riforma agraria.

IL che spinse gli Stati Uniti, dopo l’iniziale riconoscimento della rivoluzione, ad assumere una posizione sempre più rigida, anche nel timore che l’esempio cubano potesse essere seguito altrove in Sudamerica.

Il presidente Eisenhower impose il boicottaggio economico impedendo a Cuba qualsiasi forma di commercio con i Paesi capitalisti.

Castro perciò ruppe le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e chiese il sostengo dell’Unione Sovietica, che si impegnò ad acquistare lo zucchero cubano a prezzi superiori a quelli del mercato.

Il regime cubano così si radicalizzò, adottando il comunismo.

Castro e i suoi collaboratori, tra cui Ernesto “Che” Guevara, dichiararono apertamente la loro intenzione di esportare il modello rivoluzionario cubano nel resto dell’America latina e nel Terzo Mondo: un’aperta sfida agli Stati Uniti e al loro concetto di ordine mondiale.


La distensione

Il 5 marzo 1953 morì Stalin e ciò favorì una nuova fase: il cosiddetto disgelo.

Al Cremlino si insediò Nikita Kruscev.

Diventato segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Kruscev dimostrò subito di voler chiudere l’epoca oscura dello stalinismo.

Nel frattempo negli Stati Uniti era diventato presidente Eisenhower, il generale dello sbarco in Normandia.

Eisenhower sostenne la necessità di irrigidire ancor di più la condotta americana nei confronti dell’Unione Sovietica, passando da una politica di contenimento del comunismo a una che mirava a farlo arretrare.

Ma di fatto l’amministrazione mostrò attenzione ai segnali di apertura che provenivano dall’Unione Sovietica.

Queste posizioni resero possibile la Conferenza di Ginevra nel 1955..

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Iniziò così la fase della distensione: il contrasto e la competizione tra USA e URSS restarono ma senza le tensioni e gli eccessi degli anni precedenti.

Nel 1956 Kruscev denunciò i crimini di Stalin.

Tra i comunisti occidentali, che consideravano Stalin un eroe, il disorientamento fu grande.

Nei Paesi del blocco comunista, invece si sviluppò la speranza di una vera svolta verso un regime meno oppressivo.

In Ungheria si fece il tentativo più ambizioso: il capo del governo voleva concedere la libertà di stampa e portare l’Ungheria fuori dal Patto di Varsavia.

Ma l’Unione Sovietica fece intervenire l’Armata Rossa e soffocò nel sangue il tentativo riformatore (1956).

La repressione ungherese destò grande scalpore in Occidente. Alcuni comunisti presero le distanze dall’Unione Sovietica.

La repressione aveva dimostrato anche che gli Stati comunisti dell’Europa orientale erano degli Stati satelliti: non contavano nulla perchè dipendevano completamente dalla volontà di Mosca.

Altre brutali repressioni confermarono la totale sottomissione all’URSS degli Stati del blocco comunista.

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Il caso più grave si verificò in Cecoslovacchia: il partito comuinsta tentò di dar vita a un processo riformatore ma l’Unione Sovietica, preoccupata che questa iniziativa si estendesse a tutti gli altri Paesi del blocco sovietico, decise di intervenire.

Nell’agosto del 1968 carri armati dell’Armata Rossa entrarono in Praga, ponendo fine alla “Primavera di Praga”.

La giustificazione di questo intervento è passata alla storia come la teoria della sovranità limitata.


I cambiamenti avvenuti in Unione Sovietica negli anni Cinquanta ebbero importanti ripercussioni anche nei rapporti con la Cina.

Dopo alcuni anni di collaborazione con la Cina del tutto allineata all’URSS, alla fine del decennio fra i due Stati emersero contrasti sulle questioni di politica internazionale ma anche riguardo alle scelte di politica interna dei rispettivi governi.

L’URSS intendeva assumere la guida esclusiva del mondo comunista, mentre la Cina intendeva contestare questo bipolarismo, mettendosi alla guida dei movimenti rivoluzionari del Terzo Mondo in vista di una più decisa lotta contro l’imperialismo capitalista.

Dopo la proclamazione della Repubblica popolare nel 1949, la Cina aveva iniziato un grande sforzo di industrializzazione, soprattutto nell’ambito dell’industria pesante, grazie anche all’aiuto di tecnici sovietici: i risultati furono soddisfacenti.

Per rilanciare la produzione agricola, Mao Zedong e i vertici del partito lanciarono la campagna utpistica del “grande balzo in avanti”.

Le comuni popolari, che riunirono forzatamente le piccole cooperative, divennero l’unità di base amministrativa ed conomica della Cina: avrebbero dovuto diventare autosufficienti in tutti i settori e per questo la popolazione subì controlli sempre più rigidi e una propaganda martellante.

Un altro fronte di contrasto fu la scelta russa di non fornire assistenza alla Cina in ambito nucleare, per mantenere la supremazia in quel settore nel mondo comunista: la Cina riuscì a dotarsi comunque della bomba atomica nel 1964, ma i rapporti fra le due nazioni erano ormai incrinati.

Il fallimento del “grande balzo in avanti” diede forza ai settori più moderati del gruppo dirigente comunista.

La reazione di Mao fu durissima e inedita nei regimi comunisti: grazie all’appoggio dell’esercito e del ministro della Difesa, vennero mobilitati i Cinesi più giovani in una ribellinoe contro i fautori della “via capitalistica”.

Questa mobilitazione culminò nella “rivoluzione culturale”: negli ambienti di laboro, nelle scuole, le giovani Guardie rosse contestavano e rovesciavano ogni autorità.

La rivoluzione culturale avrebbe dovuto portare a un rovesciamento radicale nella cultura e nella mentalità del popolo cinese per una rapida realizzazione del comunismo, ma fu anche un vero e proprio Colpo di Stato.

In molte parti del mondo, e in particolare in Europa occidentale, la rivoluzione culturale divenne fonte di ispirazione per molti gruppi e movimenti giovanili: il loro riferimento era il “libretto rosso”, un’antologia di scritti di Mao Zedong.

La rivoluzione culturale aveva causato profonde fratture all’interno del movimento comunista cinese e portato l’economia nazionale sull’orlo del caos,

Le Guardie rosse furono allontanate dalle città e nel partito gli elementi più radicali furono posti ai margini, sostituiti da tecnici ed esperti.

Fu preziosa in questo momento l’opera di Zhou Enali, che segnò una sostanziale continuità durante un periodo di grandi cambiamenti.

A lui si deve anche una nuova linea in politica estera: per sfuggire all’isolamente in cui l’ostilità dell’URSS l’aveva lasciata, la Cine aprì clamorosamente agli Stati Uniti.

Nel 1972 la Cina comunista venne ammessa all’ONU.

Mao Zedong e Zhou Enali morirono entrambi nel 1976: la Cina comunista si avviava verso un radicale cambiamento.


Nel gennaio 1961 divenne presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy.

Ebbe subito grande popolarità per il suo stile personale e si impegnò in una battaglia per rinnvoare la società americana e per favorire la distensione internazionale.

Dopo la conquista dell’Ovest compiuta nell’Ottocento ora bisognava oltrepassare una “nuova frontiera”, non più materiale, ma culturale e scientifica.

Nel 1961 Kennedy incontrò per la prima volta Kruscev: il problema da risolvere era quello di Berlino Ovest che i Sovietici avrebbero voluto trasformare in “città libera”, mentre per gli Americani faceva parte a tutti gli effetti della Germania federale.

La risposta sovietica non si fece attendere: due mesi dopo, venne costruito un muro che attraversava la città di Berlino così da dividere il settore orientale da quello occidentale.

Da allora il Muro di Berlino divenne il simbolo della guerra fredda.

Intanto a Cuba una rivoluzione aveva portato al potere un governo di tendenze marxiste guidato da Fidel Castro; numerose pressione furono esercitate su Kennedy affinché fosse eliminato un pericolo comunista così vicino.

Il presidente diede il suo avallo a una spedizione di esuli cubani appoggiati dai servizi segreti americani; riuscirono a sbarcare sull’isola ma ebbero la peggio nello scontro con l’esercito cubano.

Questa sconfitta gravò pesantemente sulla popolarità di Kennedy.

Invece Castro, sempre più osteggiato dagli USA, che bloccarono le importazioni di zucchero da Cuba, proseguì l’avvicinamento al blocco sovietico, il quale ne approfittò per impiantare basi missilistiche in grado di colpire qualunque parte degli Stati Uniti.

Kennedy ordinò un blocco navale dell’isola; l’Unione Sovietica fece marcia indietro e smantellò i missili da Cuba.

Nel 1963 Kennedy firmò con kruscev un importante trattato che per la prima volta limitava gli esperimenti atomici.

In politica interna Kennedy si impegnò soprattutto per superare le gravi discriminazioni che ancora colpivano i neri.

Ma il 22 novembre 1963 fu assassinato in circostanze che non sono state ancora completamente chiarite.

Un altro importante protagonista della distensione fu papa Giovanni XXIII.

Nel 1963 il papa pubblicò l’enciclica Pacem in terris con cui raccomandava al mondo e alle superpotenze la scelta della pace.


La lotta per l’indipendenza del Vietnam aveva allontanato i Francesi dalla penisola indocinese.

Si era conclusa nel 1954 con gli Accordi di Ginevra, che avevano diviso il Paese in due: la Repubblica comunista del nord e quella del Sud.

Contro il governo del Sud, la protesta si organizzò in un movimento cmounista di guerriglia, chiamato Vietcong, appoggiato dal Vietnam del Nord.

Per paura che l’intero paese divenisse comunista, gli Stati Uniti decisero di intervenire con un contingente di “consiglieri militari”.

Dal 1956 in poi gli Stati Uniti sfruttarono ogni pretesto per accrescere la loro presenza in Vietnam al fine di impedire al comunismo di espandersi in quell’area.

Nel 1956 il nuovo presidente, Johnson, decise di intervenire massicciamente, dando il via a una serie di bombardamenti su tutto il territorio del Vietnam del Nord, senza che vi fosse stata alcuna dichiarazione di guerra.

Nel 1968 i Vietcong lanciarono nel Vientam del Sud una grande offensiva, questa, anche se non ottenne significativi risultati militari, fece comprendere agli Americani l’impossiblità di giungere a una rapida vittoria.

Nel marzo del 1968 Johnson ordinò la sospensione dei bombardamenti e annunciò contemporaneamente che non si sarebbe presentato alle elezioni di quell’anno.

Il suo successore, Nixon, avviò le trattative di pace e ridusse l’impegno militare americano in Vietnam.

La guerra si concluse nel 1973 con un armistizio firmato a Parigi che prevedeva il graduale ritiro del contingente americano.

La riunificazione del paese avvenne il 30 aprile del 1975.

L’opinione pubblica americana manifestò progressivamente la propria ostilità alla guerra, anche a causa del crescente numero di morti e feriti.

La sconfitta americana portò come contraccolpo alla costituzione di regimi comunisti anche in Laos e in Cmabogia: in quest’ultimo andarono al potere i cosiddetti Khmer Rossi, un gruppo di guerriglieri comunisti.

Dopo la fine della guerra il Vietnam si era legato strettamente all’Unione Sovietica.

I Khmer Rossi diedero il via a durissime misure di repressione: un vero e proprio sterminio.


Contrò la guerra del Vietnam polemizzò duramente il Sessantotto: il movimento internazionale che esplose nel 1968 con una serie di grandi agitazioni nelle università, nelle scuole secondarie, nelle fabbriche e nelle piazze.

Ne furono protagonisti i giovani: uno scontro generazionale senza precedenti nella storia.

Per la prima volta dunque i giovani avevano una loro indipendenza economica e formavano una nuova categoria di consumatori.

Ai giovani statunitensi si affiancarono quelli europei nel manifestare un’insofferenza generale per il modno degli adulti ritenuto nevrotico e falso.

Si respirava un’atmosfera di rottura con il passato che si esprimeva anche visivamente: la moda propose la minigonna; i ragazzi incominciarono a farsi cresere i capelli e la barda, la “pillola” rivoluzionò i comportamenti sessuali.

Fu allora che milioni di giovani scesero in piazza per “contestare il sistema” e sottoporre a critica radicale le istituzione e i fondamenti stessi della società in cui vivevano.

Tutti i grandi centri universitari europei vennero toccati, ma anche l’altra parte del mondo, quella comunista, venne attraversata in molti punti dalla volontà di cambiamento: la Primavera di Praga e la rivoluzione culturale cinese furono eventi che fecero sentire ai giovani un senso di solidarietà cosmopolita.

Se in America la contestazione ebbe come obiettivi il modello di vita occidentale e la partecipazione degli Stati Uniti alla guerra del Vietnam, in Europa la presenza di forti partiti di sinistra spinse il movimento giovanile a sostenere le lotte sindacali.


Il confronto tra USA e URSS, pur senza mai sfociare in guerra aperta, si sviluppò prospettando comunque questa eventualità.

Fino a quando solo gli Stati Uniti erano in possesso di bombe atomiche, pareva non ci fossero da temere iniziative d’aggressione da parte sovietica.

Ma questa riuscì ben presto a dotarsi di bombe atomiche.

La superiorità americana nel settore nucleare portò gli esperti della Difesa del Paese a elaborare la dottrina detta della “rappresaglia totale”: gli Stati Uniti avrebbero risposto con massicci attacchi atomici, in qualunque zona del blocco comunista, a ogni aggressione, manovrata dai Sovietici.

L’Unione Sovietica lentamente riuscì a diminuire il distacco dal potenziale nucleare americano.

Una nuova strategia fu allora escogitata, la MAD: entrambe le parti dovevano mantenere una forza nuclerare sufficiente e invulnerabile per infliggere un danno inevitabile e insopportabile all’avversario che avrebbe dato il via a una guerra nucleare.

Si instaurò così “l’equilibrio del terrore”.

Gli Americani, pertanto, elaborarono una strategia alternativa: la “risposta flessibile”, secondo la quale ogni attacco sovietico si sarebbe scontrato con una risposta armata dello stesso livello.

La consapevolezza della “paralisi nucleare” indusse USA e URSS a impegnarsi, sia pure lentamente, in vista di una diminuzione o di una più remota scomparsa delle armi nucleari.

Nel 1969 Breznev e Nixon diedero il via a incontri che culminarono nei colloqui SALT, che avevano come obiettivo la limitazione reciproca delle testate nucleari.

In questo contesto grande eco suscitò nel 1975 la conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa.

Nella prima metà degli anni Ottanta il filo del dialogo sembrò interrompersi: sotto la presidenza del repubblicano Reagan, gli USA intrapresero un grande sforzo per potenziare il loro apparato difensivo progettando un sistema di difesa chiamato “scudo spaziale”.

Per qualche anno sembrò di essere tornati al clima degli anni Cinquanta.

In seguito la svolta politica in URSS favorì il riavvicinamento tra le due superpotenze.

Dopo una serie di colloqui nel 1986 Reagan e Gorbacev firmarono un accordo che prevedeva il ritiro delle testate nucleari presenti in Europa.

Nel 1988 Gorbacev annunciò di fronte all’ONU la riduzione delle truppe russe nell’Est Europeo.

L’anno dopo crollava il muro di Berlino (1989): il simbolo della Guerra Fredda.

Nel 1991 cessava di esistere la stessa Unione Sovietica.

Il mondo era entrato in una nuova epoca: quella del terzo dopoguerra.


L’Italia repubblicana

Ricostruire: è il titolo che compare a caratteri cubitali sulle prime pagine dei giornali italiani all’indomani della fine della guerra.

Ora bisognava affrontare enormi sacrifici per la ricostruzione morale e materiale del Paese. Si trattava anzitutto di rifare ciò che era stato distrutto dalle vicende belliche.

Ricostruire significava anche rimetter ein moto la vita economica e restituire alla popolazione un’esistenza dignitosa.

I primi governi dell’Italia liberata vararono specifici programmi che prevedevano interventi di soccorso alla popolazione e l’avvio di lavori pubblici.

Nel 1946 l’UNRRA (Amministrazione delle Nazioni Unite per il Soccorso e la Ricostruzione) s’impegnò a fornire all’Italia aiuti per combattere il pericolo della fame, oltre a materie prime e macchinari per la ripresa delle attività industriali.

Gli aiuti non furono comunque sufficienti a sanare la situazione e, negli anni seguenti, fu il piano Marshall a far confluire in Italia centinaia e centiaia di milioni di dollari.

Oltre che dagli aiuti americani un apporto tutt’altro che trascurabile alla ricostruzione venne dato dalle rimesse degli emigrati, ovvero il denaro che gli Italiano all’estero mandavano ai propri cari.

Fino al maggio 1947 i governi italiani si ispirarono all’unità antifascista e compresero, oltre alla DC e alle forze minori di centro - sinistra, anche i socialisti e i comunisti.

Solo su un punto le forze di governo erano unanimi: l’abbandono del modello autarchico fascista e la conseguente liberalizzazione degli scambi commerciali con l’estero.

Si affermò la linea politica economica di Luigi Einaudi.

Einaudi puntò tutte le sue carte sulla stabilità monetaria e sul contenimento dell’inflazione, anche a costo di sacrificare l’occupazione.

Inoltre svalutò la lira in modo da favorire un forte aumento delle esportazioni.

In questo momento Einaudi gettò le basi di quel “miracolo economico” che si sarebbe prodotto negli anni Cinquanta.


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Nel giugno del 1945 nacque il primo governo del dopoguerra, presieduto da Ferruccio Parri, uno dei capi della Resistenza.

Sembrava un governo destinato ad avviare importanti riforme economiche e sociali sotto la spinta del movimento partigiano e invece cadde dopo soli cinque mesi.

Si stavano delineando due schieramenti opposti: da una parte la DC, i ceti medi, la borghesia, il mondo imprenditoriali e gli Stati Uniti; dall’altra il Partito comunista, la classe operaia, il proletariato, la CGIL, l’Unione Sovietica.

La tensione era alta, c’era il timore che lo scontro sociale potesse trasformarsi in una guerra civile.

Nell’estate del 1945 l’Italia sembrava quindi sull’orlo di una guerra civile fra comunisti e anticomunisti.

In realtà la tensione si stemperò rapidamente nei mesi successivi.

Lo stesso PCI, benchè strettamente legato all’URSS, non operò concretamente per la rivoluzione socialista.

Anche il suo segretario, Palmiro Togliatti, temeva il rischio di una drammatica guerra civile.

Per questo motivo, sia Togliatti che Pietro Nenni, leader dei socialisti, richiedevano con forza le elezioni a breve termine per l’Assemblea Costituente che avrebbe dovuto disegnare la nuova forma dello Stato italiano.

Ma su questo punto ebbe la meglio il leader della DC, Alcide De Gasperi, che convinse le Sinistre a rimandare le elezioni alla primavera del 1946.

🇮🇹
Dopo la caduta del governo Parri, il 10 dicembre 1945 De Gasperi divenne presidente del Consiglio.

De Gasperi fu il primo esponente di un partito dei cattolici a guidare un esecutivo nella storia d’italia.

Avrebbe governato sino al 1953.

Il dibattito tra i partiti antifascisti fu molto aspro.

Lo scontro verteva in particolare sui poteri da conferire all’Assemblea Costituente: De Gasperi temeva che una Costituente “sovrana”, cioè con ampi poteri, avrebbe finito per assomiglaire alla Convenzione Nazionale della Rivoluzione Francese.

Si oppose con tutte le sue forze e ottenne che la scelta istituzionale fosse affidata a un referendum popolare e che la costituente si limitasse a elaborare e approvare la nuova Costituzione.

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Il 2 giugno 1946 gli Italiani si recarono in massa alle urne per scegliere tra monarchia e repubblica e, contemporaneamente, eleggere i deputati della Costituente.

Si trattò delle prime elezioni a suffragio universale della storia d’Italia.

Nel referendum istituzionale prevalse, seppur di poco, la repubblica.

La costituente designò come suo presidente il socialista Giuseppe Saragat.

Come capo provvisorio dello Stato l’assemblea elesse Enrico de Nicola.

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La Costituente nei diciotto mesi successivi si dedicò con fervore alla stesura della Costituzione della Repubblica Italiana, che venne approvata nel 1947 ed entrò in vigore 1 gennaio 1948

Gli organi dello Stato sono:

  • il Parlamento, che esercita il potere legislativo, si compone di due camere, dei deputati e il senato.
  • il Governo, formato dal presidente del Consiglio dei ministri, con il potere esecutivo
  • la Magistratura ha il potere giudiziario.

A capo dello stato c’è il presidente della Repubblica.

La forma di governo è dunque rappresentativa e parlamentare:

  • rappresentativa perchè i cittadini non esercitano direttamente il potere decisionale ma delegano il compito ai propri rappresentanti
  • parlamentare perchè il Governo risponde del suo operato alle Camere.

Nel 1955 venne istituita la Corte Costituzionale, organo che soprattutto deve verificare se e leggi varate dai governi siano o meno costituzionali.

Tra le questioni più delicate che il governo De Gasperi dovette affrontare nell’autunno del 1946 vi fu quella del trattato di pace.

L’atteggiamento delle potenze vincitrici non fu tenero verso l’Italia, perchè questa era comunque considerata responsabile dei misfatti del fascismo.

Il trattao di pace venne firmato nel 1947 e le condizioni per l’Italia furono molto dure.

Sempre nei primi mesi del 1947 De Gasperi si recò negli Stati Uniti e tornò con un prestito all’Italia del valore di 100 milioni di dollari, ma con la certezza di aver consolidato l’amicizia con l’America.

Quando il presidente Truman tenne al Congresso il famoso discorso nel quale espirmeva la preoccupazione per la crescente influenza sovietica sui Paesi dell’Europa orientale, divenne per tutti chiaro che la collaborazione tra DC e Sinistre era ormai impossibile.

Nel maggio 1947 De Gasperi varò un nuovo governo del quale non facevano più parte le Sinistre. Iniziò così una nuova fase politica, detta del centrismo perchè caratterizzata da governi impreniati sulla DC con la partecipazione di partiti minori di centro.

Nel 1949 l’Italia entrò nella NATO, l’alleanza militare di cui facevano parte gli Stati Uniti.

🇮🇹
In un clima di grande passione e di dura contrapposizione ideologica il 18 aprile 1948 si svolsero le elezioni politiche.

Le votazioni assegnaro alla DC una vittoria clamorosa.

La guerra tra antifascismo e fascismo era ormai del tutto conclusa, ma cedeva il passo alla “guerra di religione” tra comunismo e anticomunismo.

La tensione di questi mesi trova conferma nell’attentato del 14 luglio 1948: un fanatico, Antonio Pallante, sparò a Palmiro Togliatti mentre usciva dal Parlamento.

A Torino gli operai occuparo la FIAT e presero in ostaggio l’amministratore delegato.

Ma Togliatti e il gruppo dirigente comunista scoraggiarono l’insurrezione armata ritenendola unt ragico errore che avrebbe condotto il Paese alla guerra civile.


🇮🇹
A metà degli anni Cinquanta l’Italia era ancora un Paese arretrato.

Ma nel periodo 1958 - 1963 si verificò un eccezionale boom economico: è il cosiddetto miracolo italiano, grazie al quale il nostro paese diventò in tempo record uno dei più industrializzati del mondo.

La data iniziale del “miracolo” corrisponde all’ingresso dell’Italia nella CEE

Il cambiamento venne prodotto dall’inventiva di tanti imprenditori, piccoli e grandi, così come dal sacrificio degli immigrati e dal lavoro degli operai.

Enrico Mattei → AGIP

L’italia trasse beneficio dalla più generale espansione dell’economia mondiale.

Inoltre i suoi settori industriali più avanzati poterono competere sul mercato europeo grazie al basso costo della manodopera.

In tale contesto, i governi centristi favorirono la nascita delle infrastrutture necessarie allo sviluppo attraverso le industrie pubbliche.

L’Italia si dotò di linee ferroviarie e soprattutto di autostrade, la cui costruzione spinse ancor più le famiglie all’acquisto di automobili.

Proprio i veicoli a motore furono i segni più evidenti del nuovo benessere prodotto dal boom: prima gli scooter, poi la mitica seicento.

Nelle case degli italiani l’ambiente che cambiò di più fu la cucina. Vi entrarono i nuovi elettrodomestici.

Anche fare la spesa divenne più semplice: nel 1957, a Roma, aprì il primo supermercato.

Gli italiani stavano meglio e volevano divertirsi, scoprirono così il grande cinema americano, proibito durante gli anni del fascismo.

Un altro fondamentale cambiamento nella vita degli Italiani fu rappresentato dalla televisione, la quale ha contribuito alla diffusione della lingua italiana e perciò all’unificazione culturale del Paese.

Ma non tutta l’Italia conobbe in quegli anni i benefici del boom.

Anzi si acrebbe in misura drammatica lo squilibrio già esistente tra il Nord e il Sud abbandonato alla sua condizione di secolare arretratezza.

Molte famiglie del Sud si videro costrette a emigrare, questa volta non all’estero, ma soprattutto verso le grandi città industriali del Nord.

Si sentiva l’esigenza di governare gli effetti di una trasformazione così tumultuosa, regolando i processi di sviluppo e correggendo gli squilibri economici e sociali.

Fu questa la sfida affrontata dai governi di centro - sinistra, basati cioè sulla collaborazione tra DC e PSI.

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Nella DC si affermò la figura di Aldo Moro, segretario del partito che fu il principale interlocutore dei socialisti e il più deciso artefice del centro - sinistra.

Il congresso DC che si svolse a Napoli nel 1962 vide affermarsi definitivamente la linea di Aldo Moro favorevole alla collaborazione con i socialisti nel governo del Paese.

Amintore Fanfani potè così costituire il suo IV governo.

Pur nella sua breve vita, il governo Fanfani riuscì a varare la riforma della scuola che istituì l’istruzione unificata ed elevò l’obbligo scolastico a 14 anni.

Nel 1963, Aldo Moro formò il primo governo di cui facevano parte organicamente anche i socialisti.

Col passare degli anni lo slancio riformatore del centro - sinistra si venne sempre più attenuando, anche perchè crescevano i contrasti tra ip artiti di centro e il PSI sul modo di affrontare le difficoltà economiche.

In Italia la contestazione studentesca del 1968 passò dalle scuoole alle fabbriche, dando vita alle lotte operarie del cosiddetto “autunno caldo” che prese il via nel settembre del 1969 con lo sciopero nazionale dei metalmeccanici.

Si concluse in dicembre con la firma del nuovo contratto dei metlmeccanici, che rappresentava un’obiettiva vittoria per gli operai.

Praticamente tutte le richieste dei sindacati furono accolte.

Nel complesso le maggiori organizzazione sindacali riuscirono a dirigere le lotte e uscirono rafforzate da questa stagione.

La richiesta espressa dagli operai di una profonda trasformazione dei rapporti di lavoro nelle fabbriche venne accolta anche dal Parlamento.

Nel maggio 1970 venne approvato lo Statuto dei lavoratori: una serie di articoli che riconsocevano i diritti fondamentali dei lavoratori.


il 12 dicembre 1969 a Milano, in Piazza Fontana scoppiò una bomba.

Iniziò con questo attentato il cupo periodo del terrorismo politico che insaguinò il Paese per tutti gli anni Settanta.

In quest’epoca la DC subì l’attacco contemporaneo dell’estremismo di destra e di quello di sinistra:

  • i terroristi di destra si sentivano gli eredi della Repubblica di Salò: volevano riscattare la nazione che consideravano tradita da un falso parlamentarismo.
  • i terroristi di sinistra invece si proclamavano eredi dei partigiani.

I primi anni Settanta furono dominati dalla violenza nera.

Senza dubbio le iniziative del terrorismo nero che hanno avuto maggiore impatto sull’opinione pubblica sono state le stragi. D’altronde proprio questo era l’obiettivo: seminare il terrore tra la gente.

Ricordiamo in particolare:

  • Brescia, una bomba esplode durante un comizio
  • Stazione di Bologna.

Gli attacchi terroristici si sommarono a violenti conflitti sociali.

I terroristi non hanno raggiunto il loro obiettivo finale: quello di spostare su posizioni autoritarie e antidemocratiche gli Italiani.

M anon si può dimenticare che m olte di queste stragi restano tuttora impunite.

Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta, nacquero in Italia vari gruppi di estrema sinistra che accusavano il PCI di aver runinciato alla prospettiva di una rivoluzione comunista.

Ritenevano che la rivoluzione fosse di fatto impedita dalle organizzazioni tradizionali della sinistra, tutte chiuse in una logica riformistica, burocratica.

Sono queste le idee di cui si nutrì il terrorismo rosso; coloro che scelsero la lotta armata provenivano del resto proprio dai gruppi politici più radicali.

Il gruppo più importante e tristemente famoso del terrorismo di sinistra furono le Brigate Rosse.

Nell’autunno del 1973 il segretario del PCI, Enrico Berlinguer pubblicò tre articoli che muovevano una riflessione articolata sul golpe cileno.

Le situazioni del Cile e dell’italia erano evidentemente molto diverse.

Tuttavia, secondo Berlinguer, anche in Italia esistevano forze che puntavano a risolvere la crisi del Paese attraverso una soluzione autoritaria.

Berlinguer conclude sostenendo che per affrontare i gravi problemi del Paese era urgente un “compromesso storico” tra i partiti che rappresentavano la grande maggioranza del popolo italiano.

La nuova strategia del “compromesso storico” mirava alla collaborazione di governo tra DC e PCI per superare la crisi della democrazia italiana.

Non si trattava solo di contrastare la violenza del terrorismo e il pericolo di una possibile svolta autoritaria; era anche necessario far fronte alla crisi economica che nel frattempo era maturata.

La proposta di Berlinguer trovò disponibilità in quella parte della DC che faceva capo ad Aldo Moro.

La politica moderata di Berlinguer portò nuovi consensi al PCI.

Nel 1975 le Sinistre ottennero un notevole successo e conquistarono il governo delle pricnipali città italiane.

Nel 1976 il PCI conseguì il risultato elettroale più significativo della sua storia.

La DC restò comuqnue il partito più forte con il 38,9% dei voti.

Nel marzo 1978 Andreotti costituì un governo di solidarietà nazionale che godeva del voto favorevole del PCI e degli altri partiti di centro - sinistra.

Ma proprio nel giorno in cui il nuovo governo doveva ottenere la fiducia delle Camere, 16 marzo 1978, le BR rapirono Aldo Moro.

Il cadavere venne ritrovato il 9 maggio, 55 giorni dopo di prigionioa.

L’assassinio di Aldo Moro rappresentò il punto più alto dell’attacco terroristico alla democrazia.

Ma di fatto il terrorismo entrò in una fase di declino. Meriti speciali ebbe in queste operazioni il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Ma il merito più grande fu del popolo italiano che non concesse il suo appoggio al terrorismo.

I terroristi così restarono isolati dalla popolazione.

La collaborazione tra DC e PCI declino rapidamente.

Il governo Andreotti infatti cadde nel gennaio 1979.

Il PCI chiedeva di partecipare pienamente al governo con suoi ministri, ma la DC non accolse la richiesta comunista.

I governi ottennero importanti successi nella lotta contro il terrorismo e riuscirono anche a migliorare la situazione economica.

Altri provvedimenti non diedero invece i risultati sperati.

Tra questi la riforma sanitaria del 1978 che garantì a tutti gli Italiani l’assistenza medica gratuita ma si rivelò costosa e poco efficiente.

La “solidarietà nazionale” terminò senza raggiungere l’obiettivo indicato con chiarezza da Moro: trasformare l’Italia in una democrazia pienamente occidentale, nella quale due schieramenti potessero liberamente alternarsi al governo.

La solidarietà nazionale terminò senza sbloccare la democrazione italiana e ciò condizionerà la vita politica del nostro Paese negli anni Ottanta.


La crisi della prima Repubblica

Un altro pesante condizionamento sulla vita democratica italiana era imposto da potenti organizzazione criminali, come Cosa Nostra, la camorra, e la ‘ndragheta.

Per realizzare i loro affari queste associazioni mafiose intossicano tutti gli aspetti della vita democratica: ricorrono sistematicamente alla sopraffazione, calpestando idiritti dei cittadini: alterano i meccanismi del mercato, pretendendo il pizzo.

Questa era la situazione alla fine degli anni Settanta, quando la mafia scatenò un’offensiva terroristica senza precedenti contro le autorità dello Stato, una vera e propria intimidazione che culminò il 3 settembre 1982 con l’assassinio del generale Dalla Chiesa.

La reazione dello Stato fu incarnata dalla magistratura palermiatan, in particolare dal pool antimafia costituito dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Grazie alle rivelazioni di Tommaso Buscetta i giudici riuscirono a istruire il cosidetto maxi processo che si aprì a Palermo e che coinvolse 474 imputati.

Il 16 dicembre 1987 la sentenza deide loro ragione: oltre a 2000 anni di reclusione e multe per 11 miliardi di euro.

il 23 maggio 1992 il giudice Giovanni Falcone rimase vittima della strage di Capaci, a neanche due mesi di distanza toccò a Paolo Borsellino.


Il mondo, l’Europa e l’Italia oggi

Con il crollo del comunismo e dell’Unione Sovietica la geurra fredda è veramente finita.

Ma la pace resta in molti casi un obiettivo ancora lontano.

Per questo vari commentatori hanno parlato del terzo dopoguerra come dell’epoca del dirsordine mondiale.

Il XXI secolo si apre con una guerra: l’11 settembre 2001 l’attacco alle Torri Gemelle di New York.

Molte delle guerre che si combattono oggi non sono guerre tradizionali.

Le guerre di oggi sono definite guerre asimmetriche.

Per definire quei conflitti in cui le forze che si combattono non sono simettriche, nel senso che non sono confrontabili per strategie, organizzazioni militari, obiettivi e valori.

Inoltre si tratta di conflitti etnici, per rivendicare il riconoscimento del proprio territorio, sono guerre civili, di stampo politico-religiosoo, coinvolgono più stati, sono combattute ad armi impari e anche da eserciti costituiti da civili o da combattenti stranieri, utilizzano il terrorismo e la guerriglia, si servono della propaganda o di interventi psicologici.


Dopo il crollo dell’URSS, gli Stati Uniti sono rimasti l’unica superpotenza del mondo non solo sotto il profilo militare ma anche per quanto riguarda l’economia.

Gli elettori statunitensi hanno espresso la loro volontò di cambiar pagina eleggendo nel 2008 il democratico Barack Obama che tra le varie riforme ha attuato quella sanitaria.

Tuttavia Obama non ha saputo risolvere la crisi meridionale e le eleizoni presidenziali del 2016 hanno così visto il ritorno alla presidenza dei repubblicani, con Donald Trump.


L’unione Europea

Fino al 1973 facevano parte della CEE sei paesi, si parlava di Europa dei Sei.

Lo stesso anno si aggiunsero altri 3 paesi, divenne l’Europa dei nove.

Negli anni successivi sempre più paesi si unirono, fino al 2004, quando l’Unione Europa arrivò a contare 28 paesi membri.

Nel febbraio 1992 è stato firmato il Trattato di Maastricht.

Questo trattato ha istituito l’Unione Europea grazie alla uqale tutti i cittadini degli Stati membri sono diventati cittadini europei.

Inoltre questo trattato ha deciso interventi comuni in campo culturale, educativo e sanitario.

Dal 1999 l’europa ha una moneta unica: l’Euro.

L’euro è stata una grande scommessa, non solo economica ma anche politica, per la prima volta nella storia una moneta non è stata coniata da uno stato ma è la strada con cui si cerca di “coniare uno Stato”.

Insieme alla grave crisi economica attraversa tra il 2008 e il 2014, gli Stati europei sono stati costretti ad affrontare anche il problema dell’immigrazione. Dal 2011 milioni di profughi e persone in fuga dalla povertà hanno raggiunto l’Europa.

Di fronte a questa tragedia gli stati Europei hanno preso iniziative piuttosto contradittorie:

Italia e Grecia hanno accolto gli emigrati sul loro territorio.

I Paesi del Nord Europa hanno alternato una politica di accoglienza a rifiuti perentori e sistemi detentivi.

L’effetto combinato della crisi economica e dei nuovi flussi migratori ha messo a dura prova l’esperimento dell’Unione Europea.

Nel giugno 2016 il governo conservatore del Regno Unito ha dato ai cittadini la possibilità di esprimersi sulla permanenza nell’Unione Europea della monrachia britannica.

Il 51,9% degli elettori ha votato per la Brexit, sancendo il primo caso di uscita dall’Unione Europea.