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Capitolo 8 - Il nazismo e la crisi delle relazioni internazionali

📍1. La repubblica di Weimar

L'ultimo anno di guerra fu per la Germania particolarmente difficile. La popolazione, ma anche l'esercito, erano ormai certi della sconfitta. Il malcontento era diffuso e le istituzioni non erano più in grado di contenere un'opposizione sempre più decisa. I Tedeschi chiedevano pace e democrazia, mentre la monarchia dimostrava tutta la sua debolezza e non aveva più il controllo della situazione. Intanto la propaganda socialista e il mito della rivoluzione bolscevica riscuotevano successo. Il 9 novembre 1918 la monarchia fu travolta: a Berlino fu proclamata la repubblica, mentre il kaiser Guglielmo II fuggiva in Olanda. Fu formato un governo provvisorio composto da esponenti socialdemocratici e sostenuto anche dallo stato maggiore dell'esercito che intendeva impedire un'ulteriore radicalizzazione della situazione. Il presidente di questo governo, il socialdemocratico Friedrich Ebert, si impegnò a riportare il Paese alla normalità e alla legalità.

La componente maggioritaria del movimento socialista era il Partito Socialdemocratico Tedesco, I'SPD, che sosteneva posizioni riformiste e democratiche. Questo partito era contrario a esiti rivoluzionari e intendeva costruire in Germania un sistema parlamentare. I socialdemocratici consideravano i consigli degli operai e dei soldati un'istituzione solo transitoria, da smantellare nel momento in cui gli organismi democratici del Paese fossero stati pienamente operativi. La linea della socialdemocrazia tedesca era dunque moderata e inevitabilmente portò allo scontro e alla divisione con l'ala estrema del movimento socialista che sosteneva il potere dei consigli degli operai e dei soldati ed era contraria all'Assemblea Costituente. Questa posizione era rappresentata da due soggetti:

Il dissenso sull'orientamento del governo e del Partito socialdemocratico portò i rivoluzionari in piazza. A Berlino la protesta fu violentissima: nella settimana fra il 5 e il 13 gennaio 1919 gli spartachisti tentarono di boicottare le elezioni per la Costituente e di rovesciare il governo; occuparono edifici pubblici e sedi di giornali.

Le elezioni per l'Assemblea Costituente, le prime a suffragio universale, si tennero il 19 Gennaio 1919. I risultati premiarono I'SPD che fu il partito di maggioranza, ma non assoluta. Si formò quindi un governo di coalizione con le forze moderate del Zentrum, il partito Cattolico, e con i liberali democratici (DDP). L’assemblea si mise al lavoro nella cittadina di Weimar, più tranquilla della capitale, e fu in grado nel mese di agosto di dare al Paese la Costituzione. La Germania divenne una repubblica federale (divisa in 17 Länder); il potere legislativo andò al Reichstag (il Parlamento) eletto a suffragio universale e con sistema proporzionale; il Reichsrat (Consiglio federale) aveva potere di veto legislativo; il potere esecutivo fu affidato al governo presieduto da un cancelliere (Primo ministro) responsabile di fronte al Parlamento. Il presidente della Repubblica era eletto direttamente dal popolo ogni sette anni e deteneva ampi poteri.

Nello stesso periodo in cui veniva elaborata la Costituzione di Weimar, si perveniva all'ultimo atto della guerra con i trattati di pace elaborati dalla Conferenza di Parigi. A Versailles il 28 giugno 1919 fu firmato quello tra la Germania e le nazioni vincitrici. Il trattato riconosceva la Germania unica responsabile della guerra e di tutte le conseguenze da essa provocate. L'umiliazione del Trattato di Versailles rafforzò il nazionalismo tedesco e lo spirito di rivincita delle forze più reazionarie che accentuarono la loro campagna antisocialista e antidemocratica. Soprattutto il problema delle riparazioni dovute ai vincitori, fissate nella cifra astronomica di 132 miliardi di marchi d’oro, suscitò un'infinità di polemiche e di risentimento. Era una pretesa assurda: nella sostanza, la Germania avrebbe dovuto pagare ogni anno una rata pari a circa un quarto del suo prodotto nazionale; e in questo modo avrebbe esaurito il suo debito all'inizio degli anni Sessanta! La destra accusò socialisti e democratici di avere tradito il Paese firmando la pace.

📍2. Dalla crisi economica alla stabilità

Le condizioni di pace imposte alla Germania e le difficoltà nel pagamento delle riparazioni di guerra generarono una profonda crisi economica. La Francia, inoltre, nel 1923, colse l'occasione del mancato pagamento di una rata delle riparazioni, per occupare militarmente la ricca zona industriale della Ruhr come garanzia di pagamento. I Tedeschi risposero con la resistenza passiva: lavoratori e imprenditori lasciarono le fabbriche e si rifiutarono di collaborare con gli invasori. Per garantire un sostegno ai lavoratori e alle imprese, la banca tedesca stampò carta moneta in quantità crescente, inasprendo ulteriormente un'inflazione senza precedenti. La svalutazione del marco raggiunse il fondo quando, nel novembre 1923, il rapporto di cambio fra dollaro e marco fu di 1 dollaro per 4200 miliardi di marchi. L'economia fu travolta, la moneta divenne carta straccia, i salari dei lavoratori vennero ridotti a spiccioli.

Gli anni tra il 1919 e il 1923 furono segnati da gravi tensioni sociali e politiche. Il più attivo tra i gruppi estremisti era il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP), fondato a Monaco nel 1920 da Adolf Hitler. Proprio a Monaco, nel novembre 1923, si verificò un nuovo tentativo di sovvertire le istituzioni democratiche con la forza, il cosiddetto putsch di Monaco. Anche in questo caso Hitler e il generale Ludendorff, responsabili del complotto, furono arrestati e venne ristabilito l'ordine.

Il crollo dell'economia e l'inflazione contribuivano dunque ad alimentare gli estremismi e ciò rendeva ancora più urgente l'esigenza di guidare la Germania fuori dalla crisi.

Nel 1923 si assunse questo compito Gustav Stresemann, il leader del Partito Popolare Tedesco, una formazione di ispirazione democratico-liberale.

Stresemann formò un governo di grande coalizione con il Zentrum e con i socialisti.

Importante in questa prospettiva fu soprattutto la riforma monetaria che sostituì il vecchio e deprezzato marco con il Rentenmark.

Il governo cercò anche di risolvere il conflitto con la Francia e pose fine alla resistenza passiva nella Ruhr.

L'aiuto decisivo alla politica di Stresemann venne dagli Stati Uniti. L'economista americano Charles Gates Dawes elaborò un piano per il risanamento economico della Germania.

Nel 1924, dopo complesse trattative, il piano Dawes venne accettato. Si basava essenzialmente su due punti:

I provvedimenti presi dal governo per il risanamento economico e finanziario furono efficaci e già dal 1925 se ne constatarono i buoni risultati.

La ripresa fu ininterrotta ma dipendeva totalmente da finanziamenti stranieri. Così nel 1929, quando la depressione americana determinò la fine dei finanziamenti, la crisi ricomparve più terribile di prima.

Nel 1925 l'economia e il sistema finanziario tedeschi sembravano dunque aver superato il peggio. Nello stesso periodo, anche i rapporti internazionali della Germania si avviarono verso la stabilizzazione. Superata la spinosa questione della Ruhr, Stresemann strinse con il ministro degli Esteri francese Aristide Briand una serie di patti che normalizzarono i rapporti fra le due nazioni. Nell'ottobre 1925, Germania e Francia giunsero così agli Accordi di Locarno, sottoscritti anche dall'Inghilterra, dall'Italia, dal Belgio e dalla Polonia. Si parlò di spirito di Locarno, intendendo cioè un nuovo periodo di distensione e di convivenza pacifica in Europa. Fu un successo diplomatico per il governo tedesco, confermato l'anno seguente dalla decisione di ammettere la Germania nella Società delle Nazioni. Ci fu un riavvicinamento anche con la Russia bolscevica con la quale il governo tedesco firmò accordi diplomatici e commerciali. La stabilizzazione delle relazioni internazionali fu infine sancita da un nuovo accordo in continuità con lo spirito di Locarno: il Patto Briand-Kellogg entrò in vigore il 24 luglio 1929, coinvolgendo tutte le principali nazioni del mondo.

📍3. La fine della repubblica di Weimar

Tra il 1925 e il 1928 la Germania attraversò un periodo di relativa stabilità e ripresa economica. Restavano, comunque, gravi problemi:

Un primo segno della fragilità della democrazia tedesca si manifestò al momento delle elezioni presidenziali, che si tennero nel febbraio del 1925, quando morì il socialdemocratico Ebert.

Alla carica di presidente venne eletto il vecchio maresciallo Paul von Hindenburg, ciò accadde perché i comunisti, invece di far convergere i loro voti sul candidato del «blocco popolare», preferirono sostenere un loro candidato.

Nel 1928 si tennero le elezioni politiche. La sinistra si rafforzò ma non conquistò una solida maggioranza.

Ne assunse la guida il socialdemocratico Hermann Müller, appoggiato da cattolici, popolari e democratici.

Nel novembre 1929 gli effetti del crollo di Wall Strett iniziarono a farsi sentire in Germania. I crediti statunitensi cessarono e l'economia tedesca precipitò rapidamente in una grave crisi. Il governo Müller non rappresentava, agli occhi dell'opinione pubblica, un'autorità credibile, in grado di affrontare la situazione. Sia a destra che a sinistra vi fu un processo di radicalizzazione delle opposizioni. I nazionalisti predicavano apertamente l'abbattimento della repubblica per sostituirla con un forte potere conservatore di carattere dittatoriale. Nel 1930 il cancelliere socialdemocratico Müller fu costretto alle dimissioni. Era la rottura tra i socialdemocratici e i partiti di centro. Il governo passò in mano al cattolico Heinrich Brüning, politicamente vicino al presidente Hindenburg.

Sotto la cancelleria di Brüning, con i socialdemocratici all'opposizione e con le tensioni provocate dalle forze politiche dell'estrema destra e dell'estrema sinistra, la Repubblica di Weimar si avviò inesorabilmente verso il suo disfacimento. Brüning puntò soprattutto a contenere le spese sociali e a risanare le finanze pubbliche. Per realizzare questa politica esautorò sempre più il Reichstag, ricorrendo sistematicamente a decreti-legge. L'articolo 48 della Costituzione, infatti, consentiva al presidente della Repubblica di emanare in casi eccezionali disegni di legge senza il concorso del Parlamento. Sperando di rafforzare la sua maggioranza, nel 1930 Brüning decise di sciogliere il Reichstag e di indire nuove elezioni politiche. Le elezioni si svolsero in un clima di violenze e scontri fra nazisti e comunisti e i risultati furono lo specchio della radicalizzazione politica di quegli anni.

Tra il 1930 e il 1932 Brüning restò al potere grazie all'appoggio della SPD che decise di sostenere il governo per difendere le istituzioni democratiche dall'attacco dei nazisti e dei comunisti. Il cancelliere restò fedele alla sua politica di austerità e continuò, grazie all'appoggio di Hindenburg, ad approfittare dell'articolo 48, indebolendo sempre più il Parlamento. Ma con il successo elettorale del 1930 Hitler era ormai diventato un importante interlocutore politico anche per la destra «rispettabile», non estremista. Nel marzo 1932, infatti, quando si tennero le elezioni presidenziali, fu proprio Hitler il candidato della destra contrapposto a Hindenburg. Il presidente uscente venne riconfermato grazie all'unione dei voti cattolici e socialdemocratici, ma Hitler ottenne più di 13 milioni di voti: un grande successo personale. In un clima da guerra civile, i Tedeschi andarono alle urne due volte (luglio e novembre 1932), ma in entrambi i casi il governo non ne usci rafforzato. Si rafforzarono, invece, i nazisti che divennero il primo partito della Germania, ottenendo nelle elezioni di luglio il 37,4% dei voti. Hitler ormai rivendicava la Cancelleria del Reich. Anche la grande industria, gli agrari e l'esercito fecero la loro scelta definitiva: tutto il loro appoggio, soprattutto economico, si concentrò sui nazisti, considerati l'unica forza capace di restaurare e imporre un potere forte. Di fronte a questa situazione, Hindenburg fini per cedere e il 30 gennaio 1933 affidò a Hitler l'incarico di formare il nuovo governo. La Repubblica di Weimar era morta.

📍4. Il nazismo

Il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) nacque a Monaco nel 1920, nel clima di delusione e rabbia per gli esiti della pace di Versailles. Il nazismo, infatti, può essere ricondotto nel più generale panorama della destra tedesca, nazionalista e militarista, che rifiutava gli esiti della prima guerra mondiale e considerava il Trattato di Versailles un puro e semplice diktat imposto alla Germania. Secondo questi ambienti, la sconfitta era da attribuirsi non alla forza militare dell'Intesa ma al tradimento di marxisti e pacifisti che avevano sabotato la guerra all'interno del Paese, pugnalando alle spalle l'esercito non ancora sconfitto sul campo di battaglia.

Nelle premesse ideologiche del Partito nazista era centrale il concetto di purezza della razza tedesca, il mito dell'arianesimo. La razza ariana (termine con cui si faceva riferimento al tipo etnico nordeuropeo) era intesa come unità di sangue e spirito germanico ed era la stirpe eletta. Occorreva sottomettere le razze inferiori di «sottouomini», creando una comunità purificata da ogni elemento estraneo. Il razzismo era dunque l'elemento coesivo dell'ideologia nazista. Muovendo dalle tradizioni antisemite delle Chiese cristiane, il nazismo, come altri movimenti, identificò nell'ebraismo la fonte di tutti i mali che affliggevano la Germania. Ma la difesa della purezza della razza doveva essere esercitata anche contro gli zingari, i portatori di handicap, gli omosessuali i malati di mente, tutti colpevoli di «contaminare» il popolo tedesco. Antisemitismo e razzismo si tradussero in un delirante progetto politico. Strumento di questa rigenerazione doveva essere un nuovo Reich («impero»), monolitico, autoritario, che educasse la popolazione alla disciplina e alla lotta. Confluivano nell'ideologia razzista le interpretazioni deformate di filosofi come Hegel o Nietzsche, il pensiero di teorici del razzismo europeo come Gobineau o Chamberlain, la scienza darwininana trasferita sul piano sociale.

Prima di dedicarsi all'attività politica, Adolf Hitler era un uomo dalle modeste qualità: pessimo studente, mediocre pittore, viveva di lavoretti senza prospettive. Fu la guerra a farne un piccolo eroe e a convincerlo della sua missione di rendere grande la Germania dopo l'«ingiusta sconfitta».

Nel dopoguerra iniziò a frequentare un piccolo gruppo di estrema destra all'interno del quale iniziò la sua attività politica e che lui stesso rifondò nel 1920 con il nome di Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. Nel 1923, durante la sua carcerazione per il putsch di Monaco, scrisse il Mein Kampf («La mia battaglia»), base teorica del nazismo. I cardini del pensiero di Hitler erano:

La volontà unificatrice di Hitler si traduceva nella volontà di creare una società compatta e strutturata in una rigida gerarchia. Al vertice di ogni scala gerarchica, in ogni settore della società, dell'economia o della politica, doveva esservi un capo: era il Führerprinzip, «il principio del capo».

All'inizio il Partito nazista si presentava come un piccolo gruppo eversivo che appariva scarsamente credibile all'elettorato tedesco. Dopo il 1924 Hitler decise di dare al suo movimento una veste legalitaria che permettesse di conquistare maggiore consenso nel ceto medio e nella destra tradizionale. Ma non rinunciò per questo a utilizzare il braccio armato del suo partito, le SA (truppe d'assalto), per colpire le organizzazioni comuniste. Il Partito nazista si servì inoltre di una intensa propaganda basata su concetti semplici come la nazione, la razza, la grandezza tedesca, la punizione dei nemici. Con il preciso intento di affossare la Repubblica, nel 1931 Hitler unì tutte le forze conservatrici in un fronte reazionario, il Fronte di Harzburg. Con il volto rispettabile della destra legale riuscì quindi a conquistare anche la simpatia determinante dei grandi capitalisti tedeschi, degli agrari, dell'esercito.

📍5. Il terzo Reich

Hitler andò al governo il 28 gennaio 1933 e lanciò subito una dura offensiva contro gli oppositori: iniziò l'epurazione dall'amministrazione pubblica di ogni soggetto poco fidato; decine di giornali, accusati di fomentare disordini, vennero soppressi; le SA si accanirono contro i militanti politici di sinistra. Il 27 febbraio 1933 un incendio distrusse il Reichstag. Probabilmente furono gli stessi nazisti ad appiccare il fuoco al Parlamento, ma vennero additati come responsabili i comunisti: fu l'occasione che Hitler sfruttò per scatenare una spietata lotta contro di loro e per introdurre nel Paese misure eccezionali. Hindenburg sciolse il Parlamento e vennero fissate nuove elezioni per il 5 marzo. Il Partito nazionalsocialista ottenne il 44,9% dei consensi che, uniti ai voti dei tedesco-nazionali, garantivano a Hitler la maggioranza assoluta del Parlamento. In modo formalmente legale, con l'approvazione del Parlamento, in Germania iniziava la «nazificazione» dello Stato.

In soli sei mesi Hitler stravolse le istituzioni dello Stato democratico e edificò uno Stato totalitario. Alla prima seduta del Parlamento, il 23 marzo 1933, Hitler chiese una legge che gli assegnasse pieni poteri: nella sostanza, il Parlamento fu chiamato a esautorare se stesso dalla propria funzione, delegando al governo il potere legislativo. I comunisti erano già stati epurati; solo i 94 deputati socialdemocratici votarono contro, tutti gli altri partiti si piegarono alla volontà di Hitler. Iniziava così la dittatura del führer. Il 14 luglio 1933 una legge sancì l'instaurazione dello Stato totalitario a partito Unico. I sindacati furono soppressi e sostituiti con un'organizzazione corporativa, il Fronte del lavoro, controllata dallo Stato. Fu creata una polizia segreta, la Gestapo, controllata da Himmler, il capo delle SS. La magistratura fu posta sotto il controllo del governo, il criterio di legalità divenne la volontà del führer. Eliminata ogni possibile opposizione esterna, Hitler affronto il problema del dissenso interno al Partito nazista. Il legame sempre più stretto che univa il führer al mondo dell'industria e della grande finanza veniva infatti contestato dalla sinistra del partito, che restava fedele all'impostazione rivoluzionaria e anticapitalistica delle origini. Questa componente del nazismo, guidata da Ernst Röhm, era rappresentata soprattutto dalle SA. Hitler si decise infine per l'epurazione: nella notte del 30 giugno 1934 - la famosa notte dei lunghi coltelli - le SS e la Gestapo uccisero Röhm e moltissimi rappresentanti delle SA. Vi furono complessivamente oltre mille morti. L'ultimo passaggio nella costruzione del regime avvenne il 2 agosto 1934, quando Hindenburg mori. Hitler assunse subito le funzioni di presidente che si aggiungevano a quelle di cancelliere. A partire da questo momento egli assunse ufficialmente il titolo di führer e divenne il capo assoluto del Terzo Reich.

La Chiesa cattolica, con Pio XI, firmò il 20 luglio 1933 un Concordato con lo Stato tedesco che le garantiva la libertà nel culto e nell'organizzazione ecclesiastica. I cattolici in genere non manifestarono alcuna opposizione al regime, nonostante anche il partito cattolico del Zentrum fosse stato sciolto. Solo nel 1937 di fronte alle azioni del führer che ledevano la Chiesa e i principi del cristianesimo, Pio XI condannò il governo tedesco per la violazione del Concordato, per il razzismo e per la divinizzazione dello Stato e del suo capo. La Chiesa protestante si piegò al regime prestando giuramento al führer nel 1938.

Giunto al potere, Hitler fece dell'odio razziale il cemento del «nuovo ordine». Dapprima gli Ebrei vennero colpiti con la diffamazione, l'aggressione, la discriminazione nell'economia; poi vennero completamente esclusi dalla vita politica e sociale con appositi provvedimenti legislativi;

La persecuzione, dunque, si articolò in tre fasi distinte.

Il 7 aprile 1933 il governo emanò un decreto che imponeva il licenziamento di tutti i dipendenti della pubblica amministrazione «non ariani». Era da considerarsi non ariano chiunque discendesse da genitori o nonni (anche uno solo) non ariani.

circa 6 milioni sarebbero morti in campi di sterminio: ad Auschwitz, Treblinka, Mauthausen, Buchenwald, per citare solo i più noti.

La società che Hitler aveva in mente era una società senza gli Ebrei e con gli Slavi ridotti in schiavitù. Una società in cui non ci fosse dissenso politico, senza criminali, malati di mente, persone con la Sindrome di Down, omosessuali, zingari, testimoni di Geova: tutti soggetti che vennero rinchiusi nei lager. A conferma dell'ordinarietà dello sterminio nel Terzo Reich è significativo notare che il primo campo di concentramento, quello di Dachau, fu istituito poche settimane dopo l'ascesa al potere di Hitler, nel 1933. Nel 1933 venne emanata la prima legge demografica che introdusse la sterilizzazione «eugenetica», cioè il progetto scientifico di migliorare la razza consentendo le riproduzioni solo ai soggetti portatori di caratteri geneticamente favorevoli.

Negli anni del regime nazista la politica repressiva fu costantemente accompagnata da una vasta opera di propaganda dell'ideologia nazionalsocialista. L'apparato propagandistico venne affidato a Joseph Goebbels, il ministro per l'Educazione e la Propaganda. La ricerca del consenso si fondava sulla diffusione del mito della razza pura, dell'uomo bello e sano, legato alla terra in una società di contadini guerrieri. La manipolazione delle coscienze fu costruita con i più moderni strumenti a disposizione: la radio, il cinema, le adunate oceaniche.

📍6. Economia e società

La crisi economica e la lotta alla disoccupazione furono i principali problemi che il Partito nazionalsocialista dovette affrontare appena giunto al potere. Nel settore agricolo, per esempio, fin dal 1933, la produzione, il mercato e il consumo vennero sottoposti al controllo della Corporazione alimentare del Reich. In questo settore, l'obiettivo era il raggiungimento dell'autosufficienza alimentare: la Germania doveva produrre tutto il necessario senza ricorrere a importazioni da altri Paesi.

Gli sforzi maggiori del regime furono rivolti a risollevare il settore industriale. Di qui infatti giunse la ripresa economica, dovuta fondamentalmente alla politica di riarmo. Dal 1935 fu introdotta nuovamente la leva obbligatoria e dal 1936 le commesse militari garantirono un forte incremento della produzione industriale. In questo anno Hitler iniziò a preparare il Paese alla guerra con iniziative di largo respiro: fu varato il «piano quadriennale» per l'economia; lo Stato avviò imponenti lavori pubblici (autostrade, strade, canali) che consentirono di riassorbire la disoccupazione, fino a raggiungere la piena occupazione nel 1938.

Il successo della politica economica del Reich dipese in parte dal totale controllo sui lavoratori e sulle loro organizzazioni. I sindacati furono eliminati e sostituiti con il Fronte tedesco del lavoro, un'organizzazione corporativa che avrebbe dovuto conciliare gli interessI dei lavoratori con quelli degli imprenditori. Tra il 1934 e 1935 il regime varò leggi che:

Lo Stato esercitò il suo controllo anche sulla società e sulla famiglia. La difesa della famiglia era uno dei temi più cari al regime, in funzione della difesa della razza e del popolo.

Furono prese, quindi, iniziative a sostegno della natalità e delle giovani coppie.

L'obiettivo della politica sociale era l'educazione nazionalsocialista delle masse fondata sull'istruzione militare e sulla gestione del tempo libero.

📍7. Gli anni Trenta: nazionalismo, autoritarismo e dittature. La politica estera di Hitler.

Dal 1933, il successo di Hitler apri la strada alla diffusione di movimenti di estrema destra ispirati al nazismo. In Ungheria fin dal 1932 si era affermato il movimento filonazista delle Croci frecciate, un'organizzazione militare estremamente spietata. In Romania si impose un analogo movimento fascista e antisemita, fondato nel 1926 e chiamato Guardia di ferro. Nei Paesi dell'Est europeo, in cui già si erano insediati dei governi autoritari, negli anni Trenta si assistette a una svolta propriamente dittatoriale di stampo fascista. Dal 1933, il successo di Hitler apri la strada alla diffusione di movimenti di estrema destra ispirati al nazismo. In Ungheria fin dal 1932 si era affermato il movimento filonazista delle Croci frecciate, un'organizzazione militare estremamente spietata. In Romania si impose un analogo movimento fascista e antisemita, fondato nel 1926 e chiamato Guardia di ferro. Nei Paesi dell'Est europeo, in cui già si erano insediati dei governi autoritari, negli anni Trenta si assistette a una svolta propriamente dittatoriale di stampo fascista. L'espansione delle dittature fasciste riguardò infine l'area slava e dei Balcani: regimi nazionalisti e autoritari si instaurarono anche in Bulgaria, in Albania, in Iugoslavia, in Grecia. Il modello fascista fu imitato in Polonia, nei Paesi baltici e in Finlandia. Anche nella penisola iberica, una zona ancora arretrata nello sviluppo economico, la crisi degli anni Trenta sfociò in una dittatura militare, con António de Oliveira Salazar in Portogallo e Francisco Franco in Spagna.

Anche in Asia i trattati di pace che chiusero la prima guerra mondiale concorsero a creare instabilità: la Conferenza di Parigi non aveva soddisfatto né il Giappone né la Cina. E anche qui la crisi del 1929 esasperò la situazione, con gravi conseguenze sia all'interno dei Paesi sia nei rapporti tra gli Stati. La partecipazione alla guerra a fianco dell'Intesa aveva accresciuto il prestigio internazionale del Giappone, che aveva guadagnato il controllo su alcuni territori strategici. La guerra aveva favorito anche la crescita economica, stimolando la produzione dell'industria pesante e navale, ma tutto questo venne meno nel dopoguerra, con la ripresa della concorrenza occidentale sui mercati internazionali. La crisi del '29, come ovunque, determinò una contrazione del commercio internazionale e accentuò le difficoltà economiche. Il governo ritenne che la soluzione fosse in una politica espansionistica ai danni della Cina, trovando in questo progetto l'appoggio dei grandi gruppi industriali e delle gerarchie militari. Si rafforzarono quindi i gruppi politici di matrice nazionalista e fascista e si affermò un governo autoritario, sotto la tutela dell'imperatore Hirohito. In Cina, per far fronte all'espansione nipponica, si rafforzò il fronte nazionalista che doveva però anche combattere l'opposizione interna del Partito comunista di Mao Zedong. Nel 1936 comunque tutte le forze politiche cinesi si unirono per respingere l'occupazione giapponese.

Dopo il 1929 la crisi economica aveva piegato la Germania e affossato la democrazia. L'obiettivo fondamentale per il governo nazista era assorbire la disoccupazione e rilanciare l'economia della Germania. Il progetto espansionistico di Hitler, oltre gli aspetti ideologici e politici, era anche funzionale a una nuova crescita economica che gli avrebbe garantito il consenso popolare. Avviò quindi il riarmo e indirizzò l'intera economia tedesca alla produzione bellica. Nel 1935 inoltre, reintrodusse la coscrizione obbligatoria e costruì una flotta navale.

La politica espansionistica del nazismo mise subito in discussione l'equilibrio internazionale stabilito dai trattati di Versailles. La prima mossa, nel 1934, fu il tentativo di annettere l'Austria, per inglobarla nel disegno della Grande Germania, ma si concluse con l'assassinio del presidente Dollfuss e con la forte reazione di Londra, Parigi e soprattutto dell'Italia che schierò addirittura le proprie truppe ai confini. La continua violazione dei trattati internazionali da parte della Germania nazista venne discussa alla Conferenza di Stresa dai rappresentanti della Francia, della Gran Bretagna e dell'Italia che però si limitarono a una prudente e formale condanna. I generici impegni per la pace, senza prendere alcun provvedimento concreto verso la Germania, lasciarono di fatto Hitler libero di procedere con nuove azioni. Nel 1936 infatti Hitler mosse l'esercito tedesco per occupare la Renania, che secondo il Trattato di Versailles doveva restare smilitarizzata. Il successo di questa iniziativa rafforzò ulteriormente il consenso al governo di Hitler che continuò, pressoché indisturbato, nella sua politica aggressiva e tra l'indifferenza delle democrazie europee e la debolezza della Società delle Nazioni. Consapevole dell'impotenza della Società delle Nazioni e dell'arrendevolezza della Gran Bretagna, nel 1936 Hitler trovò un alleato nell'Italia fascista, che nel 1935 aveva occupato con successo l'Etiopia. Firmò quindi con Mussolini un accordo, l'Asse Roma-Berlino, in funzione antibolscevica e per il comune interesse sui Balcani.

L'Unione Sovietica, preoccupata dalla politica estera della Germania e del Giappone, cercò di difendersi entrando nella Società delle Nazioni e stringendo un patto di alleanza con la Francia. Stalin sostenne quindi una nuova linea politica: si trattava di combattere i fascismi in un unico fronte, alleandosi con i partiti democratici e costituendo i cosiddetti «Fronti popolari» nei diversi Paesi. In Francia e in Spagna la coalizione delle forze antifasciste, dai cattolici ai socialisti, ottenne la vittoria elettorale nel 1936, ma in politica estera neppure questa scelta servi ad arginare l'avanzare del nazismo in Europa. La Francia infatti, come la Gran Bretagna, continuò a tentare di contenere le pretese tedesche, puntando a mantenere la pace a ogni costo (appeasement), senza avere la forza di adottare una chiara e autonoma linea antifascista. In Spagna invece la destra militarista non accettò la svolta democratica e diede inizio à una lunga guerra civile.

📍8. La guerra civile spagnola

Agli inizi del Novecento, le condizioni economiche e sociali della Spagna erano di estrema arretratezza. L'economia era dominata da un'agricoltura basata in gran parte sul latifondo. La Chiesa cattolica, inoltre, aveva un enorme potere culturale e controllava in gran parte l'istruzione.

Nel 1923 re Alfonso XIII di Borbone, di fronte alla crisi sociale, preferì esautorare il Parlamento e favori la dittatura militare di Miguel Primo de Rivera. Il governo di Primo de Rivera si ispirava al fascismo italiano e rimase in carica fino al 1930. Nell'aprile del 1931 si tennero le elezioni amministrative: i partiti repubblicani ebbero un clamoroso successo. Il re scelse la via dell'esilio e fu proclamata la repubblica. Anche in Spagna, dunque, si profilava un regime dittatoriale: in questo contesto le forze della sinistra riuscirono a superare le tradizionali divisioni e unirsi in un Fronte unico «per sbarrare la strada al fascismo». Seguendo le direttive di Stalin, anche i comunisti entrarono nella coalizione del Fronte popolare con i liberali, i democratici, i socialisti, gli anarchici, gli autonomisti. Nel febbraio del 1936 il Fronte popolare vinse le elezioni e diede vita a un difficile governo liberaldemocratico moderato, con l'appoggio esterno dei socialisti. La vittoria delle sinistre aveva suscitato molte aspettative di riforme sociali, ostacolate però dalla componente più moderata della coalizione. La tensione sociale cresceva e sembrava sfociare in una rivoluzione sociale. Di fronte a tale timore la destra reazionaria e militare rispose con un colpo di Stato: nel luglio 1936 alcuni reparti delle truppe stanziate nel Marocco spagnolo guidate dal generale Francisco Franco (1892-1975) e aiutate dalla aviazione italiana e tedesca, sbarcarono nel Sud della Spagna. Iniziò così la guerra civile: contro l'esercito della Repubblica si schierarono varie organizzazioni filofasciste che si riunirono nella Falange nazionalista, sotto la guida del caudillo Francisco Franco.

La guerra civile in Spagna si configurò subito come una questione internazionale. Consapevole della propria debolezza militare, il governo repubblicano chiese aiuto alla Francia, guidata nel 1936 da un governo socialista. Per evitare polemiche con il governo inglese, la Francia negò l'intervento di truppe in aiuto ai repubblicani spagnoli. Francia e Inghilterra decisero quindi di promuovere un patto internazionale di non intervento nella guerra spagnola, sottoscritto anche dall'Italia e dalla Germania che tuttavia non lo rispettarono. Hitler e Mussolini infatti inviarono al caudillo spagnolo Francisco Franco uomini e mezzi bellici che rafforzarono la capacità militare della Falange nazionalista. Solo l'Unione Sovietica, attraverso il Comintern, inviò aiuti militari ai repubblicani spagnoli: furono organizzate le Brigate internazionali, reparti di volontari antifascisti provenienti da tutti i Paesi. Migliaia di giovani antifascisti, molto motivati politicamente, partirono per la Spagna in nome della libertà democratica e per combattere la dittatura. Ad accrescere la debolezza dell'esercito repubblicano concorsero anche le divisioni interne alla sinistra: i contrasti politici fra comunisti filosovietici, socialisti e anarchici sfociarono addirittura nello scontro armato. Più unito e dotato di mezzi migliori, l'esercito di Franco ottenne così la vittoria: tra gennaio e marzo del 1939 occupò Barcellona e Madrid. La democrazia era finita anche in Spagna. La dittatura di Franco sarebbe durata fino al 1975.

📍9. Verso la guerra

Durante gli ultimi due anni che precedono la guerra l'obiettivo di Hitler era ormai chiaro anche se le potenze europee sottovalutarono il pericolo e dimostrarono debolezza di fronte all'aggressività della Germania. Il tentativo di annessione (Anschluss) dell'Austria fallito nel 1934, riuscì nel marzo del 1938 con una occupazione militare preceduta da una vasta campagna filonazista. Subito dopo Hitler si diresse verso la Cecoslovacchia occupando la regione di confine dei Sudeti, dove viveva in maggioranza popolazione di lingua tedesca e dove era stanziata buona parte del sistema difensivo cecoslovacco. In base al principio della naturale appartenenza al «mondo tedesco», i nazionalisti rivendicavano la ricongiunzione di quell'area alla Germania, ma il governo ceco non era disposto a cedere. Per risolvere la questione dei Sudeti, il 29 e 30 settembre 1938, Mussolini, Hitler, il premier britannico Chamberlain e il Primo ministro francese Daladier si incontrarono nella Conferenza di Monaco. In questa occasione fu scritta la pagina più vergognosa del cedimento delle democrazie occidentali alla politica nazista. Mussolini, già legato alla Germania con l'Asse Roma-Berlino, aveva espresso parere favorevole al progetto di annessione di Hitler. Francia e Inghilterra, nell'intento di scongiurare il conflitto, non fecero che accettare la situazione di fatto, dietro la promessa che fosse garantita l'indipendenza del resto della Cecoslovacchia.

Nel marzo 1939, non rispettando gli accordi appena stipulati, i nazisti completarono lo smembramento della Cecoslovacchia: la Boemia e la Moravia furono occupate e sottoposte a protettorato tedesco. Ormai la politica di aggressione all'Est europeo era iniziata e il 21 marzo 1939, infatti, la Germania chiese alla Polonia la città di Danzica e la disponibilità della striscia di terra che univa quella città alla Polonia (il corridoio polacco). Nel 1939, anche l'Italia fascista si allineò alla politica aggressiva della Germania: in aprile le truppe italiane occuparono l'Albania che venne annessa all'impero; contemporaneamente Mussolini rivendico Tunisi, Gibuti, Nizza, la Savoia, la Corsica. Il rapporto di amicizia fra Italia e Germania venne rafforzato con un'alleanza militare: il 22 maggio 1939 venne firmato il Patto d'acciaio che sanciva l'impegno a fornirsi reciproco aiuto in caso di guerra, sia offensiva che difensiva.

Nella prospettiva di iniziare la guerra, Hitler però voleva garantirsi la neutralità dell'Unione Sovietica. In caso di attacco alla Polonia, infatti, l'intervento di Stalin sul fronte orientale poteva rivelarsi pericoloso. Il cinismo politico prevalse sull'ideologia: nonostante l'odio feroce, i due dittatori strinsero un accordo diplomatico. Tra lo sbigottimento degli antifascisti europei, il 23 agosto 1939 i ministri degli Esteri dei due Paesi, von Ribbentrop e Molotov, firmarono un patto di non aggressione della durata di dieci anni. A questo patto ufficiale si univa un protocollo segreto che precisava: