Casa di Bambola

Atto I

Nel primo atto emerge la figura della padrona di casa, Nora, che, dopo uno scambio amorevole di battute con il marito, incontra la signora Kristine Linde, amica di gioventù. Mentre la prima rende partecipe l’amica della sua felicità (sia per il nuovo ruolo del marito, ormai divenuto Direttore della Banca, sia per la nuova condizione economica della famiglia, in relazione alla quale s'intravede una vita di agio e di benessere), la seconda confessa di non essere propriamente felice. Senza più lavoro, senza più la madre, senza figli, Kristine si sente persa. A quel punto, Nora si offre per proporre al marito l’inserimento lavorativo dell'amica. C’è solo un problema: inserire Kristine, nel contesto della Banca, equivale a licenziare l’avvocato Krogstad, con cui Nora era entrata in contatto, diversi anni prima, per ottenere milleduecento talleri (senza il consenso del marito - cosa non consentita - e falsificando una firma, quella del padre deceduto) finalizzati al trasferimento in Italia, necessario nell’ottica della sopravvivenza del marito. Di conseguenza, Krogstad, pur di non perdere il suo lavoro per la seconda volta (la prima volta lo perse a causa sempre di una firma falsa), decide di ricattare Nora. Per questo Nora, la quale non vuole che il marito venga al corrente della vicenda, chiede a Helmer di non licenziare Krogstad. Inutili i suoi tentativi dinanzi all'inflessibilità, anche morale, del marito. Nora, assalita dai sensi di colpa, chiude con queste parole il primo atto: “Io rovinare i miei bimbi! Avvelenare la nostra casa! Non è vero. Non è vero! Mai! Mai! Per tutta l’eternità ciò non è vero!”

Atto II

Nel secondo atto Nora cerca ancora, tra una cosa e un’altra, negli attimi di preparazione di un ballo, di frenare il licenziamento dell’avvocato. Helmer, però, nella sua inflessibilità, spedisce comunque, attraverso la cameriera, la lettera di congedo. Krogstad si reca dunque a casa di Nora e questa volta esige non i soldi dati in prestito ma fa un'altra richiesta: vuole ottenere un ruolo di rilievo all'interno della Banca. Andandosene, lascia nella cassetta della posta una lettera in cui riferisce al marito l’episodio del prestito e del rapporto economico avuto con Nora. Quando Helmer torna a casa, Nora temporeggia in tutte le maniere per evitare la lettura della lettera da parte del marito.

Atto III

Nel frattempo, la signora Linde, al corrente della situazione, recapita una lettera a casa di Krogstad. All’inizio del terzo atto emerge un particolare, una dinamica: Kristine e Krogstad avevano avuto una relazione, interrottasi per volere della prima. Kristine lo aveva infatti abbandonato per una relazione con un altro uomo. A questo punto, però, quando i due si parlano, si ha la svolta: "Ho bisogno di qualcuno a cui poter fare da madre, e i suoi figli hanno bisogno di una mamma. Anche noi due abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Krogstad, io ho fede nel fondo buono della sua natura… insieme a lei oserò tutto.” Kristine gli propone, con queste parole, di ricongiungersi a lui. Offrendole le mani, con il pensiero della riabilitazione agli occhi di tutti dopo lo spiacevole episodio di cui si era macchiato, l'avvocato accetta senza pensarci.

Helmer, tornato dal ballo, legge comunque la lettera. Sconvolto ("bugiarda, ipocrita, criminale!", queste le parole che indirizza alla moglie), arriva persino al pensiero di congedarla dal suo compito di madre, di sollevarla dall'educazione dei figli. In quell'istante di rabbia giunge la cameriera, con una seconda lettera che rimpiazza la prima e che annuncia, con immensa gioia nell’animo di Helmer, le rinunce dell’avvocato e la salvezza della famiglia.

Per Nora è comunque troppo tardi: l'epifania di cui Nora è protagonista la traghetta alla consapevolezza della propria inferiorità nel contesto familiare, della propria condizione di infantilità. "Quando stavo col babbo egli mi comunicava tutte le sue idee, e quindi quelle idee erano le mie. Se per caso ero di opinione diversa, non glielo dicevo, perché non gli sarebbe affatto piaciuto. Mi chiamava la sua bambolina e giocava con me, come io giocavo con le mie bambole. Poi venni in casa tua…” Il mutamento e la presa di coscienza sulla sua condizione avvengono improvvisamente e Nora decide, quindi, di abbandonare suo marito in cerca della sua vera identità, della strada attraverso la quale educare finalmente se stessa. Comprende la necessità di amarsi, di adempiere ai compiti e ai doveri verso se stessa, al di là dei miserabili lacci della società. E con il tonfo della porta che si chiude, che è anche il tonfo assordante della necessità di auto-determinazione, della affermazione della dignità di essere umano, nonché di ribellione volta a vincere la condizione di subalternità, si chiude anche la meravigliosa opera di Ibsen.