📒

Il romanzo

La crisi del Romanzo

La rivoluzione romanzesca del primo Novecento

Nei primi tre decenni del Novecento si compie in Europa una vera e propria rivoluzione estetica che, insieme con la poesia, la musica e la pittura, tocca anche l’arte del romanzo e il modo di rappresentare i personaggi.

La filosofia di Henri Bergson, la teoria psicoanalistica di Sigmund Freud e la nuova fisica di Albert Einstein corrodevano a poco a poco le solide strutture del pensiero sulle quali poggiava la società positivista, dissolvendo la nozione di tempo e quella di individuo:

I romanzieri non possono più accontentarsi della struttura tradizionale del romanzo e cercano nuove forme per esprimere la coscienza incerta del soggetto in questo mondo frantumato.

Il romanzo europeo non cerca più allora di riprodurre la vita né di offrire un’immagine veritiera delle relazioni umane; dal piano oggettivo del narratore si passa al piano soggettivo del protagonista.

La realtà filtrata dalla coscienza

💡
Il sapere a “cosa serve” e “quando si usa” viene dissolto nel ‘900

Paul Valéry riassume efficacemente la comune insoddisfazione dell’epoca verso le forme romanzesche tradizionali proclamando il suo fermo rifiuto di una scrittura narrativa che si limita a una piatta descrizione dei fatti.

A interessare gli scrittori non è più la realtà esterna ma lo spazio vivente della coscienza, l’unico a cui il romanziere possa avere veramente accesso.

La realtà, filtrata attraverso la coscienza del protagonista, non si presenta più cristallizzata in una forma stabile e definitiva ma appare fluida, sfaccettata, instabile, intermittente.

Nascono così opere prive di una struttura “logica”, in cui l’ordine cronologico viene manomesso e il racconto lineare è sostituito dal disordinato flusso di impressioni, di immagini, di impulsi del personaggio.

Tra le opere più significative di questa rivoluzione troviamo:

  • Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust
  • Ulisse di James Joyce
  • Al Faro di Virginia Woolf
  • I romanzi di Franz Kafka

Personaggi divorati dall’interiorità

La disgregazione delle forme romanzesche tradizionali coincide con la dissoluzione stessa del personaggio.

Il romanzo ottocentesco di Alessandro Manzoni aveva creato grandi figure umane la cui apparenza fisica e profondità psicologica erano dotate di un forte rilievo individuale e offrivano l’illusione del reale.

E’ proprio questa corrispondenza tra individuo e società a essere messa in crisi dai grandi innovatori del romanzo.

Al centro delle loro narrazioni si trova un personaggio divorato dalla sua vita interiore, un “inetto” la cui volontà risulta indebolita al punto che egli non sembra più in grado di assumere un’identità persistente, né di conoscere i mezzi necessari a realizzare i suoi incerti fini.

Il suo rapporto con la società è ambiguo e problematico e la sua coscienza riflette il conflitto con un mondo a cui si sente radicalmente estranea.

Una narrativa analitica

La narrativa precedente era esplicativa, la nuova è interrogativa, analitica: alla ricerca delle cause sostituisce la ricerca del senso delle cose, un senso che, retto da un principio di instabilità, compare e sfugge continuamente.

Le modalità della focalizzazione

Mentre nel romanzo ottocentesco dominava la narrazione in terza persona, i romanzi di questo periodo sono spesso scritti in prima persona.

La vera novità formale è legata alle modalità della focalizzazione, che seguono due tendenze concorrenti:

La prima consiste nell’interiorizzazione del mondo romanzesco da parte di una coscienza: la narrazione è cioè espressione di una soggettività nella quale la realtà del mondo viene per così dire assorbita; la focalizzazione è allora prevalentemente interna.

All’interno di questa tendenza troviamo:

  • Proust
  • Woolf
  • Joyce
  • Svevo

La seconda consiste invece nell’abolizione del soggetto, in modo tale che il discorso narrativo non appaia più come la manifestazione di una coscienza, ma diventi anonimo, non assegnabile ad alcun soggetto; la focalizzazione è in questo caso esterna.

In questa troviamo:

  • Kafka


Il romanzo in Italia

Mentre nel resto d’Europa la critica segue con interesse l’evoluzione del romanzo discutendo sulle forme del suo rinnovamento, in Italia i critici assistono con indiffrenza a un tale dibattito.

💭
Lo scarso interesse per il rinnovamento delle forme nasce da un’impostazione critica condivisa, che associa il rifiuto teorico dei generi letterari a una concezione astorica del romanzo inteso come una sorta di essenza immutabile che, definita una volta per tutte secondo il modello classico (Manzoni), non può essere modificata nel tempo.

Così, mentre nel resto d’Europa il romanzo si avvia a uno sconvolgimento senza precedenti, in Italia i critici e i letterati discutono soprattutto di “stile”, di eleganza formale e non concepiscono che si rimetta in discussione la struttura tradizionale.

L’ostilità italiana prende origine da una concezione del romanzo ispirata al modello classico, in base al quale la forma romanzesca esprime un soggetto o rappresenta il mondo per un soggetto.

💡
Il timore diffuso è che la dissoluzione della forma possa mandare in frantumi anche l’unità del soggetto.

Si ha la paura che si perda di vista ciò che dà unità e senso al mondo romanzesco: l’uomo.


Il cosiddetto “modernismo” avrà in Italia alcune caratteristiche particolari, come il mantenimento di una trama anche nei romanzi più destrutturati e il rifiuto del più radicale “flusso di coscienza”.

In questi anni, in Italia, a dettare la moda in fatto di gusto letterario sono alcune riviste fiorentine.

Il primo decennio del Novecento è caratterizzato dal diffondersi di numerose riviste politico-culturali che presentano alcuni tratti comuni: si pongono provocatoriamente contro il positivismo e le sue espressioni letterarie, il Naturalismo e il Verismo.

Sul piano letterario tentano di aprire la cultura italiana alle influenze europee, ma rimangono fortemente vincolate a un estetismo di stampo dannunziano, che tende a non riprodurre, ma a “trasfigurare” la realtà.

Diversa dalle altre e decisiva per il discorso sul romanzo è la più importante tra le riviste fiorentine “La Voce”.

La rivista conosce due fasi molto diverse fra loro:

  • Nella prima fase è caratterizzata dalla volontà di dare “voce” alla nuova generazione intellettuale, spingendola a uscire dal suo isolamento e a reagire alla retorica.
  • Nella seconda fase si trasforma da rivista politico-culturale a rivisita puramente letteraria, teorizzando la poetica detta del “frammento” e difendendo la necessità di una prosa lirica, breve, intensa, che verrà poi denominata “prosa d’arte”.

I principi di questa poetica sono:

lo scrittore deve saper cogliere le vibrazioni segrete del sentimento, esprimendosi in una prosa “lirica”, cioè in un componimento intenso e breve stilisticamente puro, formalmente perfetto.

Alla luce di questa poetica i “frammentisti” sviluppano un vero e proprio programma dell’antinarrativa: contrari a ogni forma di letteratura “costruita” e “oggettiva” essi guardano con diffidenza al romanzo, che considerano come un accumulo di materiali disordinati.


In un tale clima ostile al rinnovamento del genere romanzesco, gli scrittori italiani che vogliono dedicarsi alla narrativa sperimentando nuove forme devono farlo quasi chiedendo il permesso, clandestinamente.

I due autori italiani più vicini al rinnovamento europeo delle forme narrative sono Pirandello e Svevo, i quali sfuggono tanto al purismo dei “frammentisti” quanto al conservatorismo.

I due scrittori giungono da strade diverse a un romanzo di tipo nuovo, analitico e destrutturato.

Sin dai suoi primi romanzi Svevo porta il dramma dentro il personaggio creando un campo narrativo mobile, instabile.

Pirandello racconta l’incertezza di ogni forma, di ogni verità, attraverso una forma frantumata che mima la progressiva dissoluzione del protagonista.

Tuttavia l’Italia non è pronta ad accogliere il rinnovamento delle forme romanzesche: i primi romanzi di Svevo vengono ignorati dalla critica.

L’accoglienza delle opere di Pirandello, pur molto meno ostile di quella riservata a Svevo, traduce la stessa difficoltà italiana ad accogliere le novità in fatto di narrativa.

Non a caso lo scrittore siciliano riesce a imporsi in Italia non tanto con i suoi romanzi, ma attraverso lo “scandolo” del suo teatro.


Riassunto