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Primo Levi

Data nascita1919
Anni vita68
Data morte1987

Biografia

Da ragazzo Primo Levi mostra un carattere schivo e giudizioso: vive a Torino frequentando pochi amici, studia, legge, cammina in montagna.

Questa vita iniziata per scorrere come tante altre viene travolta all’improvviso dal Lager: a ventiquattro anni Levi viene deportato ad Auschwitz, dove rimane per undici mesi. Al suo ritorno nulla è più come prima.

Il ragazzo appartato e tranquillo non essite più, e Levi inizia una lunga battaglia contro la disumanità di cui è stato testimone.

É una lotta fatta di libri, di lezioni e di dibattiti che lo trasforma in un intellettuale dalla parola limpida e autorevole, sempre più ascoltato, riconosciuto, stimato.

Due sono dunque le vite di Levi: la prima, ordinata e tranquilla, chiusa nel piccolo ambiente dei giovani studenti torinesi; la seconda, dopo la frattura del Lager, sempre più pubblica e condivisa.


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Primo Levi nasce a Torino il 31 Luglio 1919 da un’antica famiglia ebraica piemontese.

Il padre, Cesare, è un ingegnere elttrotecnica, la madre, Ester Luzzati, è una giovane di ventiquattro anni.

Dopo avere frequentato il licelo classico di Torino si iscrive alla facoltà di Chimica, attratto da una disciplina che gli pare offrire un codice per capire l’universo.

Già al liceo le discipline scientifiche sembrano a Levi più ricche di risposte di quelle umanistiche: talmente scarso è il suo interesse per la letteratura che all’esmae di maturità viene rimandato nel tema di italiano.

All’Università si appassiona immediatamente alle lezioni dei suoi professori, ma l’anno successivo alla sua iscrizione vengono emanate le leggi raziali (1938).

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Nel 1941 si laurea a pieni voti, con lode: in seguito esprimerà la convinzione che l’eccellenza di quel risultato fosse un modo, da parte dei professori, di manifestare indirettamente il proprio dissenso verso le leggi antisemite.

Subito dopo la laurea Levi deve cercarsi un lavoro: il padre infatti muore lo stesso anno di tumore e il giovane si preoccupare di provvedere economicamente alla famiglia.

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Levi intanto si avvicina al Partito d’azione clandestino e dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 compie una scelta politica: insiieme con alcuni dei suoi amici decide di aderire alle formazioni partigiane antifasciste che si stavano costituendo sulle montagne.

Il 13 dicembre viene arrestato dai fascisti; dopo due mesi rrascorsi nel campo di concentramento di Fossoli, il 22 febbraio 1944 Levi è deportato ad Auschwitz.


Levi trascorre nel Lager unidici mesi, da febbraio 1944 a gennaio 1945, quanto le truppe russe liberano il campo di Auschwitz; il viaggio di ritorno seguirà un lungo e tortuoso tragitto attraverso l’Europa centrale e durerà da giugno a ottobre del 1945.

L’arrivo a casa, a Torino, non porta con sè la gioia sperata.

Tormentato dal dolore per l’esperienza del Lager e dal senso di colpa per essere sopravvissuto a tanti compagni che gli parevano migliori di lui, Levi sta male.

La fine della guerra è vissuta con sollievo dagli italiani: i partigiani raccontano le loro imprese e vengono trattati da eroi, mentre i reduci dai Lager sentono tutto il peso della prigionia e dell’umiliazione subita; nessuno vuole ascoltare i loro racconti.

Ora tutti voglio guardare avanti, dimenticare.

Per Levi la memoria è un imperativo in primo luogo personale, per liberarsi da un peso insostenibile, poi morale e civile, per garantire il ricordo dovuto ai morti e proteggere i vivi dal ripetersi del male.

Già nel Lager egli era riuscito ad annotare poche righe con altissimo rischio; nel gennaio 1946 trova un impiego in una fabbrica di vernici vicino a Torino in cui per un po’ di tempo non gli viene assegnato un compito preciso, e scrive in pochi mesi Se questo è un uomo.

Il libro è pronto nel 1947, ma l’editore Einaudi, a cui Levi lo propone, non vuole pubblicarlo: i tempi non sembrano adatti a vendere libri tanto dolorosi.

Lo pubblica invece una piccola casa editrice torinese, ne venderà solamente poco più della metà.

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Nello stesso mese di gennaio 1946 Levi conosce per caso Lucia Morpurgo, di cui si innamora e che lo aiuta a ritrovare la voglia di vivere.

Nel settembre 1947 Levi sposa Lucia, da cui avrà due figli.


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Dopo la nuova pubblicazione di Se questo è un uomo da parte della casa editrice Einaudi nel 1958, esce La tregua, il libro di memoria che racconta il lungo ritorno ad Auschwitz.

L’opera ottiene il premio letterario Campiello, ma i critici faticano ancora ad accettare l’idea che Levi sia uno scrittore e tendono a ridurne il ruolo a quello di testimone.

In quegli stessi anni Sessanta Levi orienta la sua scrittura verso l’invenzione: con lo pseudonimo di Damiano Malabaila pubblica una raccolta di quindi racconti intitolata Storie naturali.

Si tratta di testi in gran parte di tema fantascientifico, spesso brevi e con una forte impronta morale.

Una seconda raccolta di racconti, intitolata Vizio di forma, esce nel 1971, questa volta con il nome di Levi, ma ottiene dai lettori un tiepido interesse.


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Con la pubblicazione del Sistema periodico (1975), la raccolta di racconti “sulla chimica e sui chimici” concepita per parlare del suo mestiere, Levi diventa scrittore a tempo pieno.

Nello stesso anno infatti dà le sue dimissioni dalla fabbrica di vernici.

Anche in questo libro la memoria è presente, sia quella autobiografica del giovane studioso sia quella del Lager, che ritorna di tanto in tanto come tetro orizzonte delle vicende narrate.

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Tre anni dopo, nel 1978, Levi pubblica il suo primo romanzo di piena invenzione, La chiave a stella.

Storia di un montatore di gru che gira il mondo per svolgere il suo mestiere, sostenuto dalla convinzione che la vera felicità a cui l’uomo può asprirare è quella del “lavoro ben fatto”.

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In tutte le opere di Levi, sia di testimonianza sia d’invenzione, si può cogliere un tratto costante della sua personalità di scrittore: la curiostià per la natura umana, l’interesse per le sfumature dei caratteri e dei modi di vivere insieme, il grande valore attribuito alla dignità dell’uomo.

É come se anche nelle opere di fantasia Levi non potesse fare a meno di parlare della propria esperienza, del proprio bisogno di comprendere l’uomo e i fatti della storia.


Intanto Levi è divenuto sempre più un personaggio pubblico: a partire dagli anni Sessanta le sue opere sono tradotte in moolti paesi stranieri.

Nelle scuole si diffonde la lettura dei suoi libri, proprio con i ragazzi delle scuole Levi si è assunto l’impegno della trasmissione della memoria.

Intanto, a partire dalla fine degli anni Settanta, si diffonde in Europa il fenomeno del revisionismo storico, ovvero l’esplicita negazione della verità storica dello sterminio nazista da parte di intellettuali di diversi paesi, compresi quelli tedeschi.

La memoria del Lager, mai veramente accantonata nella scrittura di Levi, compresa quella d’invenzione, torna a essere il tema centrale della sua ultima opera.

Lo scrittore sente il bisogno di una riflessione più ampia e documentata sul Lager che tocchi i principali problemi filosofici, morali, storici sollevati da quella esperienza.

Il frutto di questa analisi critica è il saggio I sommersi e i salvati uscito nel 1986, è l’opera più impegnata e alta di Levi, un vero e proprio testamento intellettuale.

Si aggrava intanto la crisi depressiva di cui Levi soffre periodicamente.

Il ricovero per un intervento chirurgico e la necessità di accudire nella propria casa l’anziana madre e la suocera gravemetne ammalate accrescono la prostrazione dello scrittore.

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L’11 aprile 1987 Levi muore a 67 anni nella sua casa di Torino, lasciandosi cadere nella tromba delle scale.

La chiave a stella

La chiave a stella è un’ “antologia di avventure di lavoro”, cioè la narrazione in quattordici episodi delle vicissitudini di un operario che gira il mondo per svolgere il mestiere di montatore di gru e tralicci industriali.

La vicenda ha la forma di dialogo tra un narratore, chimico e scrittore, ovvero Levi, e l’operaio Libertino Faussone, che nella lingua semplice e diretta di un uomo illetterato gli racconta la sua esperienza.

Il protagonista del libro riferisce dunque la sua vicenda da testimone diretto, proprio come ha fatto Levi in Se questo è un uomo e La tregua, ma in questo caso le vicende e il personaggio sono frutto di fantasia.

L’idea del libro nasce da una lettura e da un viaggio.

Le quattordici storie raccontate nel libro derivano anche dai racconti degli amici e da letture di articoli su riviste specializzate o manuali tecnici.

A partire da questo vario materiale lo scrittore inventa le avventure di Faussone, sentendosi per la prima volta libero, come dichiara in un’intervista del 1979, dal dovere di verità che si era imposto per i libri sul Lager.

Il tema centrale dei racconti di La chiave a stella è quello del lavoro, inteso come un’opportunità di realizzazione di sé per chi ha la possibilità di svolgerlo con competenza e passione.

Levi evidenzia il valore liberatorio e gratificante del lavoro compiuto a regola d’arte.

Il perfezionismo tecnico, l’orgoglio professionale, la responsabilità per l’esito della propria opera costituiscono la base dell’appagamento che si può trarre da ogni mestiere.

Nel libro viene infatti valorizzato il laboro come atto “creativo”, cioè svolto grazie a una specifica abilità tecnica, e respinta invece l’opinione secondo cui il lavoro è “un’espressione puramente servile dell’uomo”.

Attraverso un mestiere liberamente scelto l’uomo infatti costruisce se stesso, e dagli errori compiuti apprende il modo per non ripeterli, perfezionando la propria capacità di affrontare i problemi e ricavando piacere dal miglioramento di sé.

La principale novità è la lingua: Levi ha voluto infatti riprodurre nel libro la cadenza del dialetto piemontese popolare parlato dal protagonista.

Sono frequenti anche le irregolarità grammaticali proprie della lingua parlata da una persona poco colta.

Per sottolineare il carattere illitterato della lingua di Faussone, Levi si avvale anche della grafia “all’italiana” delle parole straniere.

Lo scarto della lingua rispetto a quella curata ed elegante fino ad allora usata da Levi nei suoi libri è frutto di una sua scelta consapevole, nata dalla volontà di aderire con la scrittura alla vita vera.

Brani

→ Pensare con le mani, pag. 755-758


Riassunto