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Giuseppe Ungaretti

Data nascita1888
Anni vita82
Data morte1970

Giuseppe Ungaretti

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Nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto da genitori emigrati dalla provincia di Lucca.

A due anni perde il padre e viene allevato dalla madre in un’atmosfera familiare segnata dal lutto e dalla nostaliga: i racconti materni dell’Italia lo riempiono di meravigli ae alimentano i suoi sogni.

L’infanzia egiziana lascia un segno incancellabile nella sua immaginazione: la luce accecante del giorno e i rumori sinistri delle notti si imprimono nella sua memoria, mentre i paesaggi continuamente modificati dalla sabbia del deserto gli trasmettono un senso generale di precarietà, come se nulla potesse resistere all’azione corrosiva della natura e del tempo.

Ad Alessandria il giovane compie studi rigorosi in una scuola di lingua francese e si avvicina ai gruppi di rivoluzionari.

Ben presto gli interessi di UNgaretti si orientano verso la letteratura e la poesia, sopratttutto italiana e francese: fin dagli anni di scuola legge la prestigiosa rivista francese “Mercure de France” e inizia a collaborare ad alcuni periodici egiziani con articoli di critica letteraria.

Dopo avere fallito alcuni investimenti commerciali, decide di seguire la propria vocazione letteraria e lascia a ventiquattro anni Alessandria per recarsi a Parigi (1912), che in quegli anni è la patria della cultura eropea d’avanguardia


Durante il viaggio verso la capitale francese Ungaretti decide di fare una tappa in Italia, che si materializza infine in un paesaggio profondamente diverso da quello a cui erea abituati.

La vista delle montagne gli lascia un’impressione indimenticabile: si trova infatti improvvisamente di fronte, nella terra dei suoi avi a uno sconosciuto orizzonte di stabilità e lo vive come una rivelazione improvvisa della profondità della storia e delle proprie radici.

Tuttavia decide di proseguire il viaggio e si stabilisce a Parigi.

Risalgono a questi anni i suoi primi contatti con gli intellettuali parigini legati alle avanguardie artistiche e letterarie: i francesi Bergson, Apollinarie e i futuristi italiani.

Ungaretti perfeziona l’apertura cosmopolita della propria educazione, già favorita dalla nascita in una città affollata di emigrati da ogni paese.

Parigi offre a Ungaretti la strada per giungere a una più profonda consapevolezza di sé e riconoscersi definitivamente come poeta.

Il lungo periodo di apprendistato culturale si concretizza infine nel febbraio del 1915, quando Ungaretti, tornato in Italia, pubblica le sue prime poesie su “Lacerba”.

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Negli stessi mesi egli abbandona le idee anarchiche e sovversive per assumere posizioni nazionaliste e patriottiche e partecipa alla campagna per l’intervento dell’Italia nella Prima guerra mondiale.

Arruolatosi come soldato semplice, è inviato a combattere sull’altopiano friulano nel Carso.

Alla disumanità della vita in trincea Ungaretti reagisce affidandosi alla poesia, vera e propria esperienza conoscitiva capace di rivelare all’uomo il senso misterioso delle cose e di restituirgli lo slancio vitale necessario a sopravvivere.

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Nel dicembre del 1916 esce a Udine la prima raccolta di poesie di Ungaretti, Il porto sepolto

Viene stampato diverse volte con un titolo diverso: Allegria di naufragi, Il porto sepolto, e, infine, L’allegria.

Nelle diverse stampe la raccolta subisce revisioni e rimaneggiamenti.


Nel 1918 il reggimento di Ungaretti si trasferisce sul fronte francese e il poeta decide di rimanere in Francia anche alla fine della guerra.

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Nel 1919 Ungaretti aderisce al Fascismo, nel cui programma nazionalistico e sovversivo si riconoscono nel dopoguerra molti reduci delusi come lui.

Nel 1921 lascia la Francia per stabilirsi a Roma, dove ottiene un impiego all’ufficio stampa del Ministero degli Esteri.

Sono questi gli anni in cui Ungaretti si pone il problema di conciliare la spinta rivoluzionaria e anarchica propria della sua formazione con un’esigenza di ordine e misura.

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Sul piano letterario ciò comporta il recupero della tradizione e dei modelli classici della letteratura: il risultato di questa svolta di poetica è la seconda raccolta, Sentimenti del tempo, pubblicata nel 1933.

Ungaretti sottopone le proprie poesie, anche quelle già pubblicate, a un instancavile lavoro di risistemazione, spostandole talvolta da una raccolta all’altra.

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Una sezione di Sentimenti del tempo, chiamata Inni, rispecchia la ocnversione di Ungaretti al cattolicesimo.

Accanto all’attività di letterato, Ungaretti esercita quella di critico letterario, traduttore e conferenziere.


Nel 1936 Ungaretti acoglie l’invito a occupare la cattedra di Letteratura italiana dell’Università di San Paolo del Brasile e vi si stabilisce con la famiglia, fino al 1942.

Sul piano degli affetti familiari sono però anni di profonda afflizione, per la morte dell’unico fratello e la drammatica perdita del figlio Antonietto.

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Il bisogno di superare questi lutti determina una ripresa della scrittura poetica e ispira a Ungaretti le liriche della terza breve raccolta, Il dolore.

Nel 1942 Ungaretti torna in Italia, accolto dal regime fascista con la nomina onorifica a membro dell’Accademia d’Italia e l’assegnazione della cattedra di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma.

Nello stesso anno pubblica l’edizione definitiva delle due prime raccolte.

Con la caduta del fascismo Ungaretti attraversa un momento difficile: vengono infatti messi sotto accusa i suoi legami con il regime ed egli rischia di perdere la cattedra universitaria che ha ottenuto senza conoscorso.

Tuttavia recupera presto la considerazione dei lettori e dei critici e la sua fama di poeta si diffonde sia in Italia sia all’estero.


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Nel 1969 a compimento di un lavoro di rielaborazione durato una vita, l’opera poetica di Ungaretti viene raccolta in un unico volume, intitolato Vita d’un uomo, Tutte le poesie.

Non si può tuttavia affermare che sia la vita del poeta a ispirare la sua poesia: piuttosto è la poesia a ricostruire e dare significato alla sua vita, rivelando il poeta a se stesso e facendogli scoprire, attraverso improvvise e parziali illuminazioni, il senso della propria esperienza.

Anche negli anni della vecchiaia Ungaretti continua la sua instancabile attività di letterato e conferenziere, ricevendo importanti riconoscimenti.

La sua vitalità gli fa prediligere la compagnia dei giovani discepoli, con cui ama intrattenersi in conversazioni letterarie e in letture pubbliche.

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Di ritorno da un viaggio dagli Stati Uniti per ricevere un premio, il poeta si ammala e muore improvvisamente a Milano, nel giugno del 1970.

La formazione e la poetica

La nascita in Egitto, in un ambiente di emigranti caratterizzato dalla mescolanza di culture e lingue differenti, favorisce l’intenazionalità della formazione intellettuale di Ungaretti, il quale si trova presto a contatto con tendenze culturali molto diverse.

Lo studio in una scuola di lingua francee e la curiosità per tutti i fermenti innovativi del pensiero lo mettono precocemente in contatto con l’ambiente francese delle avanguardie.

Con inesauribile energia egli assiste a lezioni e conferenze, cerca contatti con gli intellettuali, interviene nelle polemiche, partecipa attivamente all’atmosfera di fervore creativo che caratterizza Parigi negli anni Dieci del Novecento.

I poeti Apollinaire e Mallarmé sono considerati da Ungaretti maestri nell’arte di ricercare nuove sonorità poetiche: essi isolando la parola nel verso e nellap agina e privandola di punteggiatura, trasformano il testo poetico in una specie di partitura musicale.

Con i futuristi Ungaretti condivide soprattutto il bisogno di rinnovare la parola letteraria, la denuncia di una tradizione logora e delle sue regole, il frequente ricorso all’analogia per generare nuove suggestioni di senso.

FIn dal 1919 prende le distanze dagli eccessi avanguardistici e dalle “parole in libertà” di Filippo Tommaso Marinetti, riconoscendo la necessità di valorizzare la tradizione letteraria e individuando in Petrarca e Leopardi i suoi maestri illustri.


Negli anni Venti matura anche l’avversione di Ungaretti per la teoria di Freud, attraverso la polemica contro quelle avanguardie, come il Surrealismo, che applicano all’arte i principi della psicoanalisi, attribuendo al sogno e all’inconscio un ruolo centrale nell’ispirazione e nella scrittura.

La “scrittura automatica” di Breton è considerata da Ungaretti espressione di una cieca soggettività, che si limita a riprodurre sulla pagina impulsivamente il disordine dell’inconscio; la parole è invece per il poeta il risultato di un lavoro di scavo e ricerca, e tale sforzo non può prescindere dalla memoria della tradizione.

Benché la parola trovata alla fine di questo percorso abbia il potere quasi magico di accendere una luce sulle profondità segrete dell’uomo e di aprire al poeta uno spiraglio sull’assoluto, essa non può tuttavia esaurire il mistero irriducibile che riguarda la vita.

Proprio la convinzione che sia impossibile fare luce sugli abissi interiori dell’io se non per momentanee folgorazioni separa decisamente Ungaretti dalla psicoanalisi freudiana che tale mistero si propone di svelare.


Se il rapporto con le avanguardie nel periodo parigino è stato per Ungaretti la tappa necessaria per definirsi come poeta, negli anni successivi egli si colloca sempre più in una linea di continuità cn i classici della letteratura italiana, di cui studia il verso e il linguaggio nell’incessante sforzo di tornare, attraverso la “memoria” della tradizione letteraria, all’”incoscienza” originaria della lingua, al suo potere di “rivelazione” del mondo.

Egli individua in Petrarca e Leopardi i due poeti che hanno saputo attribuire alla lingua letteraria la facoltà di trasmettere ai lettori un’emozione estetica e una vera e propria rivelazione di significato.

Bisogna dunque mirare a restituire alla parola la sua nudità, la sua primitività, senza dimenticare la musica della tradizione da cui essa deriva.

Una tale accurata attenzione al fare poetico, alla ricerca della parola e al rinnovamento del metro della tradizione induce Ungaretti in diverse occasioni a polemizzare con le concezioni estetiche del filosofo Benedetto Croce, secondo cui la poesia consiste esclusivamente nella fantastia e nell’intuizione, mentre è minimizzato l’aspetto formale.

Ma la poesia non può essere ridotta a “pura anima”: essa è anche forma, metro, musica di secoli da cui non possiamo prescindere.

La poesia non deve nemmeno spostare l’attenzione esclusivamente sulla forma, come avviene per la poesia pura dei simbolisti.

La poesia deve essere dunque non soltanto esercizio formale, ma “atto di purificazione morale”, via al perfezionamento interiore, cammino verso la verità.

Ecco dunque individuato il compito del poeta, che da una parola scelta tra quelle della tradizione, ma rinnovata nella sua espressività, deve fare scaturire la rivelazione di un significato che sia anche una spinta al perfezionamento morale.


L’allegria

La vicenda compositiva ed editoriale della prima raccolta poetica di Ungaretti è lunga e articolata.

Dalla prima edizione del 1916 il poeta compie un continuo lavoro di revisione che produce molteplici varianti: si aggiungono poesie, se ne tolgono altre.

Nella sua formazione definitiva la raccolta comprende cinque sezioni:

  • Ultime
  • Il porto sepolto
  • Naufragi
  • Girovago
  • Prime

La titolazione volutamente rovesciata allude forse alla mescolanza tra i diversi livelli temporali della composizione.

La vicinanza con le avanguardie e il cosmopolitismo della formazione culturale consentono a Ungaretti di sentirsi libero dai condizionamenti della tradizione liricia italiana e di comporre, almeno all’inizio, una poesia indipendente dalle forme metriche regolari.

Unisce le parole in modo inedito, le isola inlunghi silenzi, dà loro concretezza dìimmagine incorniciandole in spazi bianchi: lo scopo è di restituire alle parole logorate dall’uso la capacità di esprimere nuovi significati.

I versi dell’Allegria presuppongono anzi una versa e propria “religione dell’arte”, una valorizzazione della poesia come ricerca dell’assoluto”, cioè di un significato supremo e misterioso.

La prima raccolta si presenta come una specie di diario di una ben precisa esperienza storica: quella del soldato in trincea durante la Prima guerra mondiale.

Accanto al titolo della maggior parte delle poesie il poeta inserisce infatti indicazioni di tempo e di luogo, come se volesse tenere puntualmente traccia di impressioni ed eventi della guerra.

Lo stesso Ungaretti ha voluto presentare la composizione dell’opera come il frutto di una ispirazione occasionale, dichiarando di avere scritto le poesie direttamente al fronte, su pezzi di carta di recupero.

Le poesie dell’Allegria non sono un diario di guerra: esse si presentano piuttosto come una riflessione sul senso della vita e della morte, sulla natura e sul tempo, sulla salvezza e sulla dannazione, e testimoniano la tensione dell’uomo verso una condizione di armonia con il mondo, di pace e di innocenza.

L’esperienza quotidiana della sofferenza e della morte genera nel poeta un profondo desiderio di vita; questo stretto legame tra la minaccia di soccombere e la volontà di aggrapparsi all’esistenza è all’origine del secondo titolo scelto dal poeta per la raccolta, Allegria di Naufragi.

La parola “allegria” potrebbe apparire poco adatta a poesie che trattano di distruzione e di morte, ma l’ossimoro che la unisce a “naufragi” evidenza proprio la volontà del poeta di reagire alla rovina della guerra con la forza dell’istinto vitale.

La poesia ha dunque il potere di offrire una via di salvezza: essa consente infatti al poeta l’evasione dalla sofferenza e dalla brutalità della guerra grazie alla capacità della parola di esprimere i valori segreti dell’esistenza con nuova e meravigliosa chiarezza.

La poesia assume cos’ un valore universale: l’esperienza del dolore e il bisogno di liberarsene non appartengono soltanto all’individuo, ma sono comuni a tutti gli uomini, e il poeta è colui che attraverso la faticosa ricerca della parola riesce a esprimere la voce di tutti.


I temi dell’Allegria.

I temi del naufragio e dell’allegria, cioè del dolore e dell’istinto vitale, si manifestano in tutta la raccolta attraverso le immagini simboliche del buio e della luce.

La desolazione del poeta travolto dalla guerra, angosciato per la percezione della propria fragilità e impotente a dare un senso alla propria esperienza si traduce spesso nell’immagine del buio che lo chiude e lo minaccia.

Allo stesso modo il buio costituisce lo sfondo delle esperienze più drammatiche del poeta-soldato, come il frastuono minaccioso delle armi durante una battaglia notturna.

La luce indica invece tutto ciò che si oppone al naufragio e all’assurdità della guerra: si tratta a volte della luce smorzata della luna, che riesce a farsi largo tra le tenevre e accompagna le momentanee pause delle battaglie.

Altre volte è la luce piena del mattino o del giorno che sembra cancellare temporaaneamente il dolore e disporre il poeta ad accogliere pienamente la vita con una improvvisa eccitazione o con la percezione dell’armonia dell’io con l’intero universo.

Il bisogno di evasione dalla sofferenza si manifesta spesso come metamorfosi dell’io che si disumanizza, si trasforma in cosa, aspria all’annullamento.

Il poeta si raffigura talvolta come un minerale disanimanto, o anche come un oggetto inerte.

L’io si riduce a oggetto insignificante, sperduto in un infinito universo che lo opprime e gli rivela la sua nullità, oppure lo accoglie nella quiete, o lo inebria di meraviglia.


Nella ricerca di un senso da dare all’esperienza terribile della guerra, il poeta si confronta con Dio.

La constatazione dell’estrema fragilità umana e dell’universalità del dolore genera un desiderio di trascendenza, che si manifesta in domande piene di scetticismo.

La risposta oscilla nell’incertezza: da una parte il poeta sente di non ptersi affidare alla fede come i più semplici tra i suoi compagni, dall’altra si abbandona all’aperta preghiera a Dio, nella lirica che conclude la raccolta, perchè gli conceda una morte senza lunghe sofferenze.

L’esperienza del soldato in trincea non è fatta soltanto dell’affanno delle battaglie, ma anche di lunghe pause e interruzioni, in cui trova spazio il ricordo; è così per la memoria dell’amico arabo, morto suicida a Parigi prima della guerra, op er i fiumi delle città attraversate nell’infanzia e nella giovinezza.

Il sogno è anche il luogo in cui si manifesta il desiderio dei sensi, l’unica forma in cui è presente l’amore nell’Allegria: dolora nostalgia di corpi lontani e di abbracci perduti e sognati.

Parallelamente all’imagine dell’”uomo di pena” che si trascina nel fango della trincea, Ungaretti delinea per sè anche quella del nomade, del “girovago” alla ricerca di un approdo.

Mutano i paesaggi e si alternano nella raccolta le tre terre di Ungaretti: l’Africa, l’Italia, Parigi.

Ma anche quando il poeta, cresciuto in un incrocio di varie culture sembra giungere infine a riconosceri in una patria, l’Italia per cui combatte come soldato, la sua condizione di sradicamento riemerge, impedendogli di sentirsi in pace.

La nostalgia della patria è in realtà un’ansia dell’anima, l’illusoria ricerca di una terra promessa dello spirito dove sentirsi autentico e purificato.


Le novità metriche e stilistiche

Il porto sepolto viene accolto dai lettori come un’opera di forte rottura.

L’innovazione radicale a cui ungaretti sottopone i modelli metrici e formali della tradizione lo identifica ben presto come il poeta della modernità.

L’aspetto caratteristico della poesia di Ungaretti è l’ampio territorio degli spazi bianchi, che appaiono come specie di luoghi fisici, spogli e silenziosi, in cui le parole risaltano con l’intensità di un grido.

In questo bianco si stagliano versi brevi, talvolta brevissimi (Versicoli), che mettono in rilievo alcune parole, a volte marginali, come articoli o preposizioni.

Così la parola diventa la protagonista assoluta del discorso poetico e il suo potere di evocare immagini e significati viene amplificato, coerentemente con una poetica che la identifica com il tramite per giungere a una verità.

Gli spazi bianchi, così come le lettere maiuscole distribuite tra i versi, si sostituiscono alla punteggiatura, che è completamente assente: scandiscono le pause e determinano il ritmo del discorso, che richiede una pronuncia molto rilevata e lenta.

Ungaretti sceglie per le poesie dell’Allegria parole di registro medio, proprie del linguaggio comune e prive di preziosismi e ricercatezze: non è la rarità a intensificarne il significato, ma il loro emergere nude nel silenzio, come oggetti che affiorino da un abisso.

Il loro effetto è potenziato dalle figure retoriche, in particolare dall’analogia, cioè dall’accostamento imprevisto, senza mediazioni logiche, di parole molto lontane per il significato: così il cuore del poeta è accostato a un villagio distrutto dalla guerra.

Frequentissime sono anche le similitudini, che fissano concretamente le parole nell’immaginazione del lettore coinvolgendo tutti i sensi: il pianto del poeta è inaridito come una pietra, l’aria è perforata dai colpi di fucile come un tessuto di pizzo.

Per consentire alla singola parola di emergere e di liberarsi dalle pighe del discorso, la sintassi è semplice ed è costituita da periodi brevi, per lo più formati da un’unica proposizione.

Dominano i verbi alla prima persona dell’indicativo presente, segno dell’importanza dell’esperienza diretta dell’io nella poesia di Ungaretti.

L’aspetto forse più scandaloso è la brevità assoluta di alcune poesie, che con pochissime parole si imprimono nel bianco immenso della pagina.

I due versi di Mattina appaiono ancora oggi una specie di provocazione che infrange le aspettative comuni sulla forma e la lunghezza della poesia, ma sono in realtà la coerente manifestazione di una poetica che attribuisce alla parola nuda e isolata la potenzialità di illuminare interi unviersi di senso.

Brani

→ “Fratelli”

→ “Sono una creatura”

→ “I fiumi”

→ “San Martino del Carso”

→ “Mattina

→ “Soldati”

→ “Veglia”


Sentimento del Tempo

La seconda raccolta di Ungaretti, Sentimento del Tempo, esce nel 1933, ma le poesie che la compongono sono state scritte a partire dal 1919.

L’elaborazione di Sentimento del Tempo va di pari passo con la revisione dell’Allegria e dal 1942 assumo anche il titolo Vita d’un uomo.

Tuttavia le differenze di poetica tra le due raccolte sono manifeste e mostrano che a partire dagli anni Venti Ungaretti assume una nuova maniera di comporre versi, più regolare.

Nelle poesie di Sentimento del Tempo il verso torna infatti a estendersi orizzontalmente e ai versicoli dell’Allegria si sostituiscono endecasillabili e settenari, con un chiaro abbandono degli aspetti più rivoluzionari della prima raccolta.

Tale ritorno alla tradizione rimane però confinato in Sentimento del Tempo, senza estendersi altrove.

Esistono dunque nell’opera di Ungaretti due maniere poetiche differenti, come se il poeta operasse su due tavoli di lavoro paralleli; esse confluiscono poi in un unico disegno compositivo, dalle forme diverse ma coesistenti.


Dopo l’esperienza rivoluzionaria delle avanguardie, si assiste nel dopoguerra in Italia a un generale ritorno all’ordine nelle arti e in letteratura.

Anche Ungaretti condivide in quel tempo la volontà diffusa di “ritrovare ordine”.

Egli però non vuole rinunciare al verso.

Il verso è secondo Ungaretti uno “strumento” che bisogna accordare con i tempi moderni e con la propria voce attuale, restituendogli in tal modo vita e risonanza.

Tra i poeti italiani, egli presceglie Petrarca e Leopardi come modelli di armonia.

Il titolo della raccolta, Sentimento del Tempo, annuncia proprio questo proposito di recuperare la percezione della continuazione della poesia attraverso il tempo, riconoscendo nel passato alcuni altissimi modelli a cui cercare di intonare il proprio canto e il proprio cuore.


In Sentimento del Tempo scompare la guerra, che era stata il tema dominante dell’Allegria, e domina, come un vero e proprio personaggio, la natura, spesso attraverso vere e proprie personificazioni.

Spesso il poeta si rivolge agli elementi naturali come interlocutori di un dialogo diretto e segreto, nell’intento di scorgere al di là dell’apparenza sensibile il mistero che essi custodiscono; ma è ricorrente anche il dialogo con la morte, cui è dedicata un’intera sezione che la rappresenta in modo piuttosto convenzionale come approdo temuto e insieme sospirato.


Con il proposito di accostare ciò che è più distante per ottenere effetti suggestivi e poetici, Ungaretti usa frequenti metonimie, ricorrendo a immagini concrete e materiali per descrivere l’astratto, l’immateriale.

La natura descritta con immagini così corporee appare tutavia percorsa da un respiro divino: vi si aggirano creature evanescenti, ninfe e divinità del mito.

Gli elementi della mitologia classica pagana convivono con aperti riferimenti alla tradizione cristiana.

Accanto alla contemplazione della caduta dell’uomo, debole e tentato dal peccato, troviamo il sogno di una purezza paradisiaca, anteriore al male.

L’uomo riconosce la propria superbia nel credersi immortale e si rivolge a Dio, che si è incarnato e ha sofferto per tutti gli uomini, perchè si mostri infine e lo conforti.


Il ritorno all’ordine nella poesia di Ungaretti si manifesta soprattutto sul piano metrico - stilistico: scompare la frantumazione metrica e vengono adottate misure più estese, torna a essere usata la punteggiatura, le poesie appaiono più lunghe e articolate.

La maggiore estensione del verso e dei testi non contribuisce però alla chiarezza del discorso poetico, anzi l’oscurità risulta accresciuta e diffusa nella raccolta.

Accanto a poesie in cui la lingua conserva una sua evidenza comunicativa e la sintassi si snoda in modo coerente, se ne trovano altre in cui sembra smarrirsi il rapporto tra significante e significato, e risluta molto difficile ricostruire i passaggi lodifici tra un’idea e l’altra.

Il potere evocativo delle parole è affidato agli accostamenti inusuali, alla sintassi tortuosa e soprattutto alle analogie estreme.

Il ricorso all’ellissi sintattica, ovvero alla soppressione dei legami logici tra le idee, è consapevole e mira a essere specchio del mistero profondo di cui la poesia vuole essere espressione.

L’esplorazione dell’ignoto richiede dunque che il poeta usi un codice diverso da quello della comunicazione, una lingua che rinunci a essere veicolo di significato e si proponga invece di accendere improvvise suggestioni.

Tuttavia la raccolta di Ungaretti si distingue dalle opere dei poeti ermetici successivi per una maggiore presenza di contenuti capaci di comunicare un significato; resistono al suo interno poesie che conservano una certa comprensibilità e non pretendono di essere contemplate unicamente come oggetti decorativi.

Ungaretti si può dunque considerare il padre dei poetici ermetici italiani, ma non compiutamente poeta ermetico egli stesso.

Brani

→ “Di luglio” - 441


Riassunto