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Gabriele D’Annunzio

Data nascita1863
Anni vita75
Data morte1938

Biografia

Nella storia della letteratura italiana Gabriele D’Annunzio è stato uno degli autore più dibattuti e contrastati.

La ragione di tanto fervore polemico è legata alla particolare natura di un’attività letteraria che appare indissociabile dalla vita dell’autore: personalità eccentrica, disinbolta, eclettica, d’Annunzio viene da molti ricordato più per le sue azioni clamorose che per le sue opere.

Al di là delle immagini che lo stesso scrittore ha diffuso con calcolata abilità - da quella del dandy a quella dell’indomito poeta - soldato - si deve riconoscere a d’ANnunzio un’inesauribile e acuta capacità di assimilare le tendenze letterarie e filosofiche della sua epoca e introdurle in un paese ancora provinciale e chiuso alle novità europee.

Questo ruolo di mediatore capace di imporre i nuovi orientamenti del gusto della borghesia italiana, vale a d’Annunzio l’ammirazione della “moltitudine”.

Mentre infatti ottiene largo successo presso i lettori contemporanei, l’autore ha pochi estimatori tra i letterati italiani della sua epoca.


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Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 come terzogenito di cinque figli.

Il padre proviene da una famiglia modesta ma è stato adottatoa da uno zio benestante, da cui ha ereditato i beni e il cognome.

La madre, dolce e premurosa a cui il giovane è molto legato.

Al primo figlio maschio viene risercata una formazione d’eccellenza: il padre lo iscrive al collegio “Cicognini”.

Allievo studioso e brillante, il ragazzo eccelle in tutte le materie e consegue la “licenza d’onore”.

D’Annunzio tende ad attribuirsi una sorte di exxezionalità da enfant prodige irrequieto e ribelle.

Nella volontà di ricreare a posteriori un’immagine mitizzata di sè emerge uno dei tratti fondamentali del personaggio: di ingegno versatile, capace di assorbire e affinare competenze precise in diversi ambiti.

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D’Annunzio si imporrà come un protagonista della vita culturale e politica italiana

Negli anni del collegio d’Annunzio legge voracemente i classici (Virgilio, Catullo, Manzoni, Darwin, …) e soprattutto le Odi barbae di Carducci, poeta che risvegli anel giovane un’improvvisa vocazione lirica.

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Nel 1879, a soli sedici anni, pubblica a spese del padre Primo vere, un libretto di versi “carducciani”, che viene sequestrato dai docenti del collegio in quanto troppo licenzioso e sensuale.

Per promuovere se stesso e i propri libri d’Annunzio non esita a mettersi in scena, e lo stesso Marinetti lo accusa di piegarsi al culto di Notre-Dame la Réclame (nostra signora pubblicità).

Per scuotere il pubblico D’Annunzio fa precedere la seconda edizione di Primo vere dal finto annuncio della propri amorte, accompagnata da commoventi necrologi scritti di suo pungo.

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Si iscrive alla facoltà di Lettere dell’Università “La Sapienza”, ma non porterà mai a termine gli studi, preferendo intrecciare rapporti con gli intellettuali più influenti del mondo editoriale romano.

Nel 1882 d’Annunzio pubblica una nuova raccolta poetica, Canto novo, e il volume Terra vergine.

Il grande successo di queste opere lo eleva al rango di divo e lo incoraggia a coltivare il proprio mito anche al di lĂ  dei confini letterari: partecipando attivamente alla vita dei salotti e rendendo pubbliche le sue numerose avventure amorose, il giovane scrittore estende la propria fama mondana.

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Il suo matrimonio con la duchessa Maria di Gallese, nel 1883, segue un copione romanzato, con tanto di rapimento della sposa.

Grazie a questa unione d’Annunzio pensa di garantirsi il tenore di vita lussuoso che le sue abitudine dispendiose stanno mettendo in pericolo.

Dopo la nascita del primo figlio, nel 1884 l’autore si trova in difficoltà economiche: ha sperperato il patrimonio del padre e non potendo contare su quello del suocero a lui ostile, si rifugia in Abruzzo.


L’attività giornalistica fli permette di fare fronte ai problemi economici e diventa l’occasione di un apprendistato culturale che sarà determinante: nelle sue recensioni di autori italiani ed europei affina le sue qualità di osservatore dei costumi.

Intanto una nuova relazione amorosa lo lega all’esuberante Barbara Leoni, consolidandone la fama di irresistibile seduttore.

Nel 1888, nonostante le persistenti difficoltà economiche, d’Annunzio decide di licenziarsi e isolarsi per concentrarsi sulla stesura di un romanzo, Il piacere.

Il successo del romanzo presso il pubblico indica che esso ha saputo soddisfare una precisa esigenza sociale.


Tra il 1889 e il 1890 deve prestare servizio militare a Roma e interrompere la produzione letteraria.

Nel 1892 vengono date alle stampe anche le Elegie romane, una sorta di diario sentimentale che si ispira alla passione del poeta per Barbara Leoni.

Nel frattempo d’Annunzio rimane attento ai nuovi fermenti culturali, la sua adesione al Simbolismo europeo appare ora più consapevole e matura.


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Intorno al 1892 d’Annunzio si interessa alla filosofia di Nietzsche attraverso la versoine francese di Così parlo Zarathustra.

Nel 1894 pubblica il romanzo Trionfo della morte, che non propone ancora compiutamente la nuova figura mitica del superuomo, ma ne delinea l’avvento.

In definitiva comunque è la morte a prevalere sull’aspirazione alla vita.

Il trionfo della morte, il piacere e l’innocente confluiranno nel cosiddetto ciclo “della rosa”.

Nel 1895 D’Annunzio pubblica Le vergini delle rocce, che segna una svolta ideologica, diventando una sorta di manifesto del superomismo.


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Durante un soggiorno a Venezia incontra la celebre attrice Eleonora Duse, tra i due inizia un’appassionata relazione in cui l’amore si intreccia indissolubilmente con un interesse pratico e artistico.
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Nel luglio 1897 lo scrittore si presenta alle elezioni politiche come candidato alla Camera e viene eletto nelle file della Destra.

Il 1900 segna un radicale cambio di orientamento politico, d’Annunzio passa ai banchi della Sinistra e si candida con il gruppo socialista ma non viene eletto.


Nel 1898 d’Annunzio va a vivere con la Duse in una villa detta “la Capponcina”: si mette in scena con sfarzo e stravaganza, circondandosi di lussuosi arredi, cavalli e levrieri di razza.

Qui lavora alle prime Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi e a un nuovo romanzo, Il fuoco che prolunga la fase del superuomo.

Nel 1904 vengono pubblicati il secondo e il terzo libro delle Laudi, che segnano una sorta di “tregua”, un ripiegamento interno: il poeta si allontana dall’autobiografismo strumentale e idealizzato del “superuomo” puntando su argomenti privati e sulle suggestioni di una lingua più pacata.

Il rapporto con la Duse volge al termine.

Alla Capponcina si installa la nuova amante, ma le spese sostenute per garantirle una vita di lusso portano l’autore all’inevitabile tracollo economico.


Per sfuggire ai creditori, nel 1910, si rifugia in Francia dove rimane per cinque anni.

A partire dall’anno successivo, per far fronte ai problemi economici, l’autore collabora con il “Corriere della Sera” su cui pubblica una serie di scritti autobiografici.

Nello stesso anno d’Annunzio rifiuta la cattedra universitaria di Bologna rimasta vacante dopo la morte di Pascoli.

Tra il 1912 e il 1914 d’Annunzio si dedica a un’intensa attività teatrale ma anche cinematografica.

Allo scoppio della guerra d’Annunzio si reca sul fronte francese come inviato del “Corriere della Sera”.

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Dalle colonne del quotidiano l’autore svolge un’intensa azione di propaganda per l’entrata in campo dell’Italia a fianco dell’Intesa.

Quando il regno d’Italia decide di scendere in guerra d’Annunzio sceglie di arruolarsi.

Divenuto poeta-soldato il vate narra la sua esperienza e le sue imprese nei Canti della guerra latina.

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Il volo su Vienna del 1918, effettuato per lanciare volantini propagandistici di invito alla resa è l’evento più eclatante.

Nel 1916 viene ferito e perde un occhio.

Durante il periodo di convalescenza inizia a redigere alcune note che convergeranno poi nel Notturno.


Un anno dopo la fine del conflitto, d’Annunzio si lancia nell’impresa di Fiume.

Al comando di uomini indignati per la “Vittoria mutilata”, d’Annunzio entra a Fiume senza incontrare resistenze.


Agli inizi del 1922 d’Annunzio cerca di ritagliarsi uno spazio politico autonomo in opposizione al programma del Partito fascista.

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I suoi rapporti con il fascismo sono complicati: l’autore si dimostra ideologicamente prossimo al regime, ma si sente perlopiù usurpato dalle autorità fasciste di cui spesso non condivide le azioni.

Le autoritĂ  fasciste, che hanno interesse ad associare alla propria causa il celebre poeta, lo relegano a un ruolo piĂš decorativo che attivo, sacralizzando la sua immagine e mantenendolo in tal modo sotto controllo.


Lo scrittore trascorre i suoi ultimi anni nella sontuosa villa sul Garda. La sua esistenza è ormai più “notturna” che mondana.

Le sue ultime opere sono anch’esse notturne, sia perchè scritte di notte, sia perchè gravate da un senso di stancehzza e di morte.

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Il poeta ormai esausto muore improvvisamente nel marzo del 1938.

La poetica tra “passato augusto” e la modernità

In qunato erede consapevole del patrimonio estetico italiano, d’Annunzio si attribuisce il compito di coniugare tra loro la tradizione nota e la modernità ignota che è destinata ad accrescere il passato illustre di nuova Bellezza.

A differenza di molti letterati suoi contemporanei che si levano contro gli effetti nefasti dell’industrializzazione, d’Annunzio accoglie la modernità e le sue potenziali bellezze.

Il vate lamenta lo scarso interesse per il passato nazionale della classe dirigente borghese.

Il ricongiungimento ideale tra la classicità e la modernità prende forma compiuta in Maia, il primo libro delle Laudi, in cui d’Annunzio trasfigura in chiave mitica un viaggio in Grecia realmente compiuto, facendosi iniziatore di una nuova arte moderna che trovi nell’arte antica il suo punto di origine.


A differenza dei futuristi, i quali esaltano una modernità che nasce sulle ceneri di un passato da distruggere, per d’Annunzio la modernità è dunque debitrice dell’eredità antica e classica, da cui non può prescindere.

D’Annunzio rivendica la sua libertà di non essere soltanto poeta, ma di poter attingere a ogni campo.

Questo interesse avido e a tutto campo conduce d’Annunzio a esplorare precocemente l’universo dell’immagine, dal film alla fotografia: spinto da una sconfinata fiducia nei confronti del progresso tecnico, d’Annunzio giugne perfino ad auspicare l’invenzione di un oggetto che conservi per la posterità la recitazione degli attori di teatro altrimenti irrimediabilmente dispersa.

Uno degli aspetti puù vistosi di questo allargamento degli orizzonti estetici è l’interesse che d’Annunzio rivolge a quelli che in seguito si definiranno i “beni culturali”: contro il degrado artistico e ambientale, egli milita attivamente per la salvaguardi dele bellezze artistiche e naturali italiane.

Lìapprofondita conoscenza dei beni culturali incide anche sull’elaborazione delle opere; d’Annunzio è infatti solito servirsi di guide specializzate per introdurre nei suoi scritti descrizioni dettagliate e notizie storiche delle grandi città d’Italia e dei loro scorci.


La poetica di d’Annunzio segue diverse fasi, che corrispondono alle tappe di una ricerca del ruolo dell’intellettuale nella civiltà borghese moderna.

La prima fase

La prima fase è quella del cosiddetto “estetismo”, inteso come il culto dell’arte e della bellezza a cui vengono subordinati tutti gli altri valori, compresi quelli morali.

A incarnare l’estetismo dannunziano è Andrea Sperelli, protagonista del Piacere.

La seconda fase

Stanco degli artifici dell’estetismo, d’Annunzio si lancia in un periodo di incerte sperimentazioni.

Sorgono in questo periodo alcune opere che risentono del contatto con altri ambienti sociali stabilito dall’autore durante il servizio militare, ma anche della sua appassionata lettura dei narratori russi dell’Ottocento: è la fase solitamente definita della “bontà”, caratterizzata da un’esigenza di rigenerazione e di purezza, ma anche da uno studio delle passioni più buie dell’animo umano.

La terza fase

Tuttavia la fase della “bontà” è una soluzione provvisoria e di breve durata.

Attraverso il mito del “superuomo” ricavata dalla lettura di Nietzsche d’Annunzio investe di un nuovo compito la figura dell’esteta, non si accontenta più di vagheggiare la bellezza rimanendo isolato dalla societa, ma si incarica di agire sulla realtà.

Nel filosofo tedesco d’Annunzio privilegia i principi a lui più affini, come il vitalismo “dionisiaco”, la teoria del “superuomo”, la libertà d’azione dell’individuo superiore.

Il “superuomo” incarna una nuova filosofia che implica il superamento dell’umano ma non la supremazia dell’uomo sull’uomo, in d’Annunzio questa filosofia diventa azione pratica e politica, e si traduce in violenza, rifiuto della democrazia, bellicismo e disprezzo delle masse.

L’artista superuomo si attribuisce la missione di profeta di questo nuovo ordine rivestendo un ruolo più attivo, più politico.

Mentre durante la fase dell’estetismo e quella del superuomo d’Annunzio aveva opposto alla volgarità moderna il culto della bellezza e dell’eroismo del passato, intorno agli inizi del secolo il mito superomistico entra a sua volta in crisi: l’intervento attivo dell’intellettuale-superuomo nella realtà implica un’opposizione violenta contro la modernità.

La pubblicazione delle prime Laudi segna una svolta radicale: il poeta non si contrappone piĂš al mondo moderno, ma ne canta la segreta bellezza, inneggiando agli aspetti tipici della modernitĂ .

La dirompente energia moderna rivela ai suoi occhi il fascino di un nuovo mito.

Con Alcyone, l’ultlima delle Laudi, d’Annunzio abbandona i toni celebrativi e politici dei primi due libri: l’atmosfera che domina il libro è contemplativa e il tema lirico centrale è quello della metamorfosi panica, cioò la fusione dell’io lirico con la natura.

Proteso a conseguire l’immortalità attraverso la perdita della propria identità umana nel ritmo della natura, il poeta si identifica con le diverse presenze animali, vegetali e minerali e, trasfigurandosi, attinge a una condizione divina


In seguito alla lettura di Nietzsche e ai suoi contatti con le avanguardie storiche, d’Annunzio esplora nuove dimensioni estetiche che prevedono un rapporto più diretto tra lo scrittore e il suo pubblico.

D’Annunzio viene considerato da molti come un precursore della comunicazione di massa.

Tra le sue doti di mediatore culturale della società dei consumi vi è quella di inventore di nuovi nomi, motti, slogan e messaggi pubblicitari di grande successo. (Vittoria mutilata, tramezzino, …)

PiĂš che di vere e proprie invenzioni si tratta il piĂš delle volte di calchi tratti dal latino.

D’Annunzio considera l’arte come una “continuazione” e un’elevazione dell’esistenza che, liberata dalla propria imperfezione, assume un valore assoluto e sacrale.

La forma d’arte più adatta a esprimere questa “continuità vitale” è il romanzo.


Il vate rivendica a sè il ruolo di “artefice” della lingua, il quale ha il compito di operare il fecondo ricongiungimento tra il passato augusto e la modernità.

Le parole per d’Annunzio sono sace e vanno preservate nella loro incomparabile unicità: esse sono “simboli senza possibile sinonimia” che rivelano il loro splendore soltanto “all’artefice il quale sappia scrutarne le origini”.

La lingua italiana non deve dunque essere inventata ex novo, ma riscoperta in tutta la sua infinita ricchezza, riportando alla luce i suoi tesori accumulati nei secoli.

La modernità non coincide pertanto con l’invenzione di nuove parole, ma con l’armonizzazione e la combinazione nuova di elementi che sono caduti in disuso e che l’artefice deve riattivare, rimettere in circolazione.

Compito del poeta è anche quello di recuperare il potere arcaico della parole creatrice, riportando alla luce un patrimonio originario di espressioni della sfera prelinguistica che, sepolte nella coscienza universale, accomunano il poeta a tutti gli esseri viventi.


D’Annunzio trae la sua grande perizia linguistica non da un paziente lavoro di filologo, ma dal contatto con alcuni eruditi di fama che gli forniscono interi repertori di parole rare e preziose.

In questo senso la sua è una vera e propria officina che usa, rielabora e contamina tra di loro termini tratti dai lessici speciali.

D’Annunzio lamenta l’assenza di un registro medio nella lingua italiana, la quale ha il difetto di essere o dialettale oppure artificiosa.=


Il piacere

Il piacere è il primo romanzo scritto da d’Annunzio.

Il protagonista Andrea Sperelli è un giovane aristocratico raffinato e coltissimo che discende da una famiglia di artisti.

Andrea si isola sdegnosamente nel culto di una bellezza raffinata e artificiosa adottando uno stile di vita eccezionale e stravagante, distante dal vivere e dalla morale comuni.

E’ diviso tra due figure femminili antitetiche: la fatale Elena muti, la passione erotica, e Maria Ferres, donna pura.

Andrea Sperelli rappresenta almeno in parte l’alter ego di d’Annunzio, il quale nutre nei confronti del suo personaggio un sentimento duplice, fatto al tempo stesso di ammirazione e di coscienza critica.


Sul piano formale, il romanzo è riconducibile a modelli diversi.

Da un lato, l’evidente ambizione di ricostruire un preciso ambiente sociale indica che il superamento del Verismo non è ancora del tutto avvenuto.

Dall’altro lato, il romanzo appare dominato dall’introspezione psicologica dei personaggi e dai loro tortuosi processi interiori.

Per d’Annunzio la narrativa postnaturalista deve mettere in contatto l’analisi psicologica dei personaggi e la descrizione dei luoghi e degli avvenimenti.

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La lingua del romanzo è aulica, preziosa e la sua avvolgente sensualità risente dell’influsso di Baudelaire e delle suggestioni sintetiche dei simbolisti.

Brani

→ “Un destino eccezionale intaccato dallo squilibrio” - 395/397

→ “Un ambiguo culto della purezza” - 399/402


Alcyone

Alcyone appare lontano dai toni celebrativi e politici dei primi due libri delle Laudi ed è percorso da una vena poetica perplessa e malinconica.

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L’atmosfera che vi domina è contemplativa e il tema lirico centrale è quello della metamorfosi panica, cioè della fusione dell’io lirico con la natura, con il flusso della vita universale.

Proteso a conseguire l’immortalità attraverso la perdita della propria identità umana nel ritmo della natura, il poeta si identifica con le diverse presenze animali, vegetali e minerali e, trasfigurandosi, attinge a una condizione divina.

Il tema mitologico e la parabola stagionale appaiono uniti dal motivo comune della “fine”: la tristezza per l’inevitabile declino dell’estate viene associata all’angoscia nata dalla perdita della dimensione mitica dopo la caduta di Icaro.


L’alternarsi delle fonti e dei registri, le forme espressive sperimentali, l’organizzazione metrica, il raffinato tessuto analogico, fonico e melodico fanno del terzo libri delle Laudi un testo capitale del primo NOvecento a cui attingeranno molti poeti successivi.

Brani

→ “Pioggia nel pineto” - 417/424


Riassunto